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5.0/10
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La guerra medio-orientale appena scoppiata fra gli USA e lo stato del Belgistan è l'occasione per i Gowa, potente famiglia giapponese, e la misteriosa organizzazione Symbol, di rifornire i due eserciti con i Tactical Armor, avveniristici robot da guerra da sperimentare nei campi di battaglia. Yushiro e Miharu, leader dei due rispettivi battaglioni, finiscono presto con lo scontrarsi in prima linea, scoprendo di essere indissolubilmente legati da una tragica storia avvenuta secoli prima e legata alle loro misteriose origini di sacerdoti Kai del culto del dio Gasaraki. Mentre cercano di trovare risposte sulla loro identità dovranno stare attenti al fratello maggiore di Yushiro, Kazukiyo, presto capofamiglia dei Gowa, che intende sia sfruttare i poteri sciamanici di Yushiro per non meglio precisati motivi, che allearsi con una fazione rivoluzionaria dell'esercito giapponese interessata a compiere un colpo di stato in patria.

È troppo facile passare per ignoranti stroncando un titolo come Gasaraki, ritenuto dai suoi appassionati e dalla critica come un grandissimo capolavoro degli anni '90, il canto del cigno di uno dei più geniali registi Sunrise, Ryousuke Takahashi. Eppure, nonostante le ripetute visioni un simile cult per coglierne la grandezza, chi scrive non riesce in alcun modo a soprassedere sull'enorme mediocrità del suo script che ne distrugge le ambizioni, anche se si parla di una storia originale diretta con un'autorialità estrema. Inventore, negli anni '80, della serie robotica più politica e filosofica della Storia, Dougram, e della saga Real Robot per antonomasia, Votoms, dopo un decennio di lavori Ryousuke Takahashi è pronto a chiudere definitivamente il cerchio fondendo le due caratteristiche in Gasaraki, che esplori le caratteristiche dei mezzi robotici realistici fino al limite massimo, fino al realismo supremo e insuperabile.

Inizialmente ambientato durante un conflitto militare nel deserto, ispirato fortemente alla Guerra del Golfo (la classica rilettura del regista di scorci di Storia contemporanea), teatro delle prime battaglie, Gasaraki di fatto presenta i robot militari più credibili mai visti in animazione, gli unici che un domani un qualche esercito sarebbe probabilmente in grado di progettare se lo ritenesse utile. Si tratta dei Tactical Armor, armature robotiche bipedi alte due metri e mezzo, equipaggiate con i massimi ritrovati militari (fucili, mitragliatori, missili, radar, occhiali a raggi infrarossi e a rilevazione termica, mirini automatici) e dotate di uno speciale sistema di movimento che permette loro di correre o arrampicarsi sui muri. Macchine da guerra che vantano un aspetto meccanico dal realismo formidabile, merito dell'accuratissimo mecha design del veterano Yutaka Izubuchi e di Shinji Aramaki. Un design realistico e iper-particolareggiato che è ribadito anche nelle figure umane di Shukou Murase, orientaleggiante nei personaggi asiatici e occidentale in quelli americani. L'appeal visivo è carismatico, forte anche di animazioni che, sopratutto nelle scene di azione, denotano una fluidità impressionante e degna dei fasti della migliore Production I.G. Registicamente e narrativamente, però, si parla di un'opera ampiamente controversa, a metà tra un capolavoro di cura o un tedioso, gelido esercizio di stile.

La storia di Gasaraki, per mettere le cose in chiaro, è complessissima, tra le visioni più intellettualmente ostiche di sempre: pur stupendo per il suo originale mescolamento di sapori antichi e moderni (spiritualismo scintioista, crudeli segreti del periodo feudale e minacciosi mostri-oni convivono con avanzatissime tecnologie militari, fluttazioni economiche in borsa, intrighi politici e filosofeggiamenti vari sull'etica dell'uomo e del Giappone), è raccontata nel modo più scomodamente concepibile. Takahashi e lo staff Sunrise tirano fuori un monumento all'austerità tecnica e narrativa, la cui aridità è uguagliata solo da certe pellicole di Lynch e Oshii: Gasaraki è diretto in modo lento, lentissimo, con pochissima musica, lunghe e meticolose sequenze dialogiche, prolungati silenzi, semplici effetti sonori ambientali, inquadrature immobili... Si può parlare tranquillamente di un monologo, di una storia mostrata e non raccontata, imperturbabile come un documentario. Gasaraki segna il punto di arrivo della filosofia takahashiana, ma non si capisce se di evoluzione o involuzione si tratta: se nelle grandi opere degli anni '80 il regista parla degli stessi argomenti in modo avvincente, sul finire del millennio sembra essersi dimenticato come intrattenere lo spettatore. La sua cura estrema nelle interazioni tra personaggi e background politici/militari danno una così fedele rappresentazione della realtà da rendere come lei freddi e impersonali gli attori, spesso mere presenze sullo sfondo. Il realismo sovrasta tutto uccidendo il coinvolgimento e il senso di meraviglia. Impossibile affezionarsi ai protagonisti di Gasaraki perché questi sono tutti, nessuno escluso, dei perfetti ghiaccioli. Takahashi raggiunge una raffinatezza espositiva enorme, sicuramente post-moderna, ma per chi scrive è davvero difficile decretare se questa "evoluzione" si possa conciliare con il concetto di intrattenimento.

Ancora di salvezza nel "mortorio" è sicuramente la cura suprema in aspetto visivo e animazioni, merito di un comparto tecnico da paura. Le movenze di attrezzature tecnologiche e personaggi, unite alla già citata, strabiliante cura grafica, portano a sequenze registiche di fortissimo impatto cinematografico, splendenti nelle scene d'azione che hanno per protagonisti i TA o i mostruosi Kugai, emanazioni di Gasaraki. Non è indifferente neanche la vice-regia di Goro Taniguchi, ancora in attesa di debutto come regista titolare in una serie televisiva, il cui contributo si vede sopratutto nel continuo rimaneggiamento di immagini nella meravigliosa opening Message #9, brano trip hop da voci e sonorità ancestrali perfettamente azzeccate con le atmosfere mistiche. Sunrise, insomma, confeziona il suo consueto "kolossal" televisivo. Peccato come, anche soppesando pro e contro, il risultato finale non sia sufficiente: pur autoriale fino allo stremo, Gasaraki è scritto indiscutibilmente male. I due sceneggiatori, Toru Nozaki e Chiaki J. Konaka, oltre a non fornire la minima carica emozionale ai personaggi, oltre a non rendere piacevole la visione, non riescono neppure a rendere chiara la storia: a fine visione rimangono tanti punti interrogativi, sia perché la materia è così complessa che spesso chiavi importanti alla comprensione sono contenute in mezze frasi perse nell'oceano dei dialoghi e mai più riprese, e sia perché spazio non indifferente della storia è occupato da riempitivi (almeno 7/8 puntate, comprensive della fuga nel bosco, del TA "posseduto" e l'avventura nei bassifondi del Kansai) che rubano spazio prezioso alle spiegazioni. Si arriva così in fondo con l'insoddisfatta sensazione di aver perso per strada pezzi importanti della trama: sicuramente può c'entrare la disattenzione del momento verso qualche dialogo importante (tutti fondamentali, caldamente raccomandato l'uso del backward, guai ad assistere passivamente), ma rimane assurdo che questioni tanto importanti siano citate giusto una volta poi abbandonate per strada, come fossero già date per assimilate. Aggiungiamo infine come, per chi scrive, nella sua interezza e complessità il soggetto di Gasaraki non è comunque nulla di davvvero fondamentale.

Tirando le somme, per uno degli ultimi veri cult di Ryousuke Takahashi, l'aggettivo "avveniristico" è indubbiamente meritato, e questo è un oggettivo punto a suo favore. Un giorno, forse, critica e pubblico definiranno addirittura epocale uno stile di racconto così impostato. Il problema è semplicemente che, punto di arrivo o meno del Real Robot, monumento fondamentale o meno a una vocazione "totalitaria" al realismo, Gasaraki non è MAI, neppure per un momento, un piacere da guardare, mal sceneggiato e con una storia non lascerà il segno. Non giustifica una simile sofferenza da parte dello spettatore.