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Aaaaaah, il buon vecchio “Saint Seiya”!
Ho avuto modo di recuperare questa serie solo di recente e, devo dire la verità, con il fumetto di Kurumada in particolare ho una specie di rapporto di amore/odio, ma vediamo di andare con ordine e di spiegare perché.

Se si escludono i primissimi capitoli, che sono pieni di punti morti e spiegoni vari parecchio sonnolenti, la scorrevolezza è sicuramente un punto a favore. Il manga si lascia leggere, ti prende abbastanza, tanto che io l’ho finito in pochissimi giorni. Poi ovvio, questo è un parere puramente soggettivo, non lo elevo di certo a verità assoluta, può darsi anche che a qualcun altro abbia annoiato.
Un'altra caratteristica positiva è sicuramente l’idea di base da cui Saint Seiya trae le sue origini. La mitologia, quella greca in particolare, mi è sempre piaciuta, per cui trovarla trattata in un manga, mixata inoltre con un pizzico di cultura orientale, non può che farmi piacere, anche se sfortunatamente, nonostante le ottime premesse, la trattazione dell’argomento in sé da parte dell’autore non è stata per nulla soddisfacente, rivelandosi presto abbozzata e superficiale, oltre che incoerente, roba da rendere la saga di Percy Jackson mitologicamente accurata.
Come ultima cosa per quanto riguarda i lati positivi di questo manga, non posso che citare le armature, o meglio, le “Cloth”. Sono tutte molto diverse fra loro, perlopiù ispirate ai modelli medievali (specialmente le Gold), particolarmente dettagliate, ben costruite e accuratamente descritte attraverso vari schemi che si trovano alla fine di ogni volumetto. Certo, ce ne sono di più belle e meno belle, ma tutto sommato si fanno apprezzare.

E ora, purtroppo, non posso che passare alle note dolenti, che sono tante, ma TANTE.
La prima caratteristica negativa che salta all’occhio è senza dubbio il disegno. Definirlo osceno è dire poco, Kurumada non è proprio capace di disegnare; le tavole salvabili, se proprio vogliamo esser buoni, si contano davvero sulle dita di una mano. E no, il fatto che sia stato scritto e disegnato di fretta e che si tratti di un’opera ormai anzianotta non è un’attenuante, esistono manga della stessa epoca i cui disegni sono decisamente migliori. In Saint Seiya l’anatomia non esiste, le prospettive sono completamente sballate e le espressioni dei personaggi spesso paiono ricopiate da una vignetta all’altra.
I personaggi poi, che siano protagonisti, antagonisti o comparse, si somigliano tutti fra loro (eccezion fatta per alcuni elementi caricaturali resi volutamente orribili dal punto di vista estetico, Jamian del Corvo e Ichi dell’Idra, per citarne alcuni) e differiscono principalmente per le capigliature, a volte neanche per quelle, tanto da risultare indistinguibili, vedi Seiya e Jabu o Aiolia e Aiolos. Se non fosse per le Cloth indossate farei più fatica a distinguere loro che i gemelli Saga e Kanon! Roba da non credere.
Si migliora un po’ verso la saga di Hades, ma in generale dal punto di vista grafico si rimane sempre sulla mediocrità.
Nemmeno gli scontri si salvano da questa mattanza, in quanto mancano di dinamismo, risultando estremamente statici e “legnosi”. I contendenti assumono sempre le stesse pose, salvo poi spararsi qualche blast d’energia o sferrarsi dei pugni a caso, tanto che sembra più di assistere a una rissa da bar che a uno scontro vero e proprio.

Parlando poi della trama, definirla ripetitiva è un eufemismo.
La storia si divide in tre saghe, una dannatamente uguale all’altra e tutte piene di incongruenze. Cambia solo l’antagonista, per il resto è tutto quasi completamente identico. Per farla breve: Atena – la divinità che i protagonisti, denominati “Saint”, difendono e servono – reincarnata in una sprovveduta, viziata e spocchiosa ragazzina di nome Saori Kido, viene imprigionata, ridotta in fin di vita o ingannata dal cattivone di turno e i suoi cinque guerrieri più fidati (leggasi schiavetti personali), tali Seiya di Pegaso, Shiryu del Dragone, Hyoga del Cigno, Shun di Andromeda e Ikki della Fenice, devono farsi un mazzo tanto per salvarla, rischiando più volte la vita e battendosi contro nemici sempre più potenti, i quali hanno il vizio di sfruttare ogni volta uno stupido quanto ridicolo sistema a cronometro. In parole povere, i cinque protagonisti hanno tot di tempo per salvare la squinzia, altrimenti lei schiatta. E questo avverrà in ogni singola saga. Originale, neh?
I cinque pisquani di cui parlo fanno parte della classe più bassa delle tre (Bronze, i più scarsi, Silver, quelli che dovrebbero essere nella media ma poi si rivelano essere solo carne da macello, e Gold, l’élite del Santuario) in cui sono divisi i circa ottantotto Saints al servizio di Atena, ovvero quella dei cavalieri di bronzo ma, non si sa perché, dando ogni volta un pugno alla logica, riescono sempre a sconfiggere avversari ben più potenti e addestrati di loro (che, ricordo, sono dei novellini che all’inizio della storia nemmeno sapevano indossare correttamente le proprie armature) solo grazie alla forza di volontà (o sarebbe meglio definirla “raccomandazione di Atena”?) e ripetendo all’infinito gli stessi colpi, anche se due secondi prima il nemico in questione se n’era uscito senza manco una pellicina tolta e, stando alle regole basilari del manga – che poi lo stesso Kurumada viola in continuazione – “la stessa tecnica non funziona due volte su un Saint”.
Ognuno dei protagonisti, inoltre, può contare sul proprio cliché personale, cosa che, esattamente come il sistema a cronometro per salvare Atena, si ripete in ogni arco narrativo. Seiya si batte contro il primo e l’ultimo nemico della scalata oppure casca in un crepaccio, Shiryu perde la vista nelle maniere più disparate, Hyoga uccide un amico o un parente stretto per poi lagnarsi, Shun – grazie alla sua natura di povero cucciolo indifeso – viene sempre massacrato dal suo avversario e Ikki, asociale del gruppo, perennemente latitante e fratello di sangue del suddetto Shun, accorre per salvarlo, anche se fino a quel momento era creduto morto.
Insomma, sempre degli stessi schemi si tratta.

I personaggi sono un’altra pecca assolutamente non trascurabile, specialmente i protagonisti.
Le loro caratterizzazioni, comprese quelle degli antagonisti, sono molto stereotipate, abbozzate.
Se si escludono alcuni casi, si può dire che in media il cast di questa serie possiede la profondità psicologica di un comodino. Senza contare poi la netta divisione fra buoni e cattivi! O è nero o è bianco, non esistono vie di mezzo. Gli unici personaggi “grigi” (e che infatti sono caratterizzati leggermente meglio rispetto agli altri) degni di nota sono il già citato Ikki, Kanon dei Gemelli (Sea Dragon nella saga di Poseidone), Shaka della Vergine e un po’ Shura del Capricorno, ai quali si aggiunge anche Saga dei Gemelli, che però è un caso più particolare, essendo contemporaneamente bianco e nero in quanto affetto da un disturbo di duplice personalità, cosa che paradossalmente nell’ottica della storia va solo a suo favore, dato che lo rende un pochino più sfaccettato del piattume che si aggira per tutta la serie.
Menzione d’onore poi va ad Atena/Saori, che riesce a farsi odiare dalla prima all’ultima vignetta, tanto da spingerti a tifare per gli antagonisti. Dovrebbe essere la reincarnazione della dea della saggezza e della strategia bellica, eppure non è capace di far nulla, a parte farsi fregare da chiunque e mettersi in pericolo da sola, consegnandosi infiocchettata e disarmata ai nemici o addirittura inviando lettere in cui svela i suoi piani a un uomo che la vuole morta! Un’offesa bella e buona al personaggio mitologico! Non contiamo poi la sua profonda ipocrisia, dato che si spaccia tanto per buona e generosa, sparando sermoni buonisti vari, quando in realtà è la prima a vivere nella bambagia (senza neanche dare un centesimo o sbattersi minimamente per aiutare le persone in difficoltà) e a maltrattare i protagonisti. E questa, secondo la logica della serie, dovrebbe essere la dea della giustizia? Ma anche no!
Il problema più grosso poi è che Kurumada generalmente pone delle basi per costruire dei personaggi anche interessanti e sfaccettati, ma poi li lascia lì, allo stato brado, senza degnarsi minimamente di approfondirli un poco perché troppo impegnato a mettere in risalto solo ed esclusivamente le cinque primedonne, Seiya soprattutto, il quale – malgrado lo spazio a lui dedicato – rimane comunque uno dei più piatti e noiosi.

Ultima, ma non meno importante, l’ideologia della serie, che è quanto di più stupido, banale e, soprattutto, ipocrita possa esistere. E parlo dell’ideologia dei cosiddetti “buoni”, dato che quella degli antagonisti si traduce nelle solite stupide manie di conquista della Terra, con l’unica eccezione del già nominato Saga che, anche se comunque affetto dai sempreverdi deliri di onnipotenza, almeno faceva riferimento a un non originalissimo ma interessante ideale distorto di giustizia, ovviamente non approfondito, non sia mai che sennò togliamo spazio alla primadonna Seiya!
Tornando a noi, l’ideologia dei buoni si può riassumere con un pratico “Atena ha sempre ragione”.
Non importa cosa lei faccia, non importa che la suddetta Saori Kido abbia mandato a morire centinaia di bambini dei quali solo dieci sono miracolosamente sopravvissuti, il tutto dopo averli schiavizzati e rinchiusi in una specie di lager con tanto di filo spinato elettrificato e guardie pronte a picchiarli per ogni minima sciocchezza (e non sto scherzando), non importa che – diversamente dal redento Julian Solo, corpo ospite di Poseidone e antagonista della seconda saga – non si impegni minimamente per migliorare la situazione degli esseri umani che tanto dice di amare, lei sarà sempre dalla parte del giusto. Potrebbe pure ordinare ai suoi Saints di sterminare l’intera popolazione dell’Africa, loro le darebbero ragione a prescindere.
Da sotto questo punto di vista, un’altra menzione d’onore va anche al personaggio di Mitsumasa Kido, nonno adottivo di Saori e responsabile della sua (aberrante) educazione. Costui non solo ha seminato centinaia di figli in giro per il mondo (e infatti è il padre di tutti i protagonisti), ma – dopo essersene bellamente fregato di loro per un sacco di tempo – li ha anche prelevati forzatamente dalle loro case, salvo poi rinchiuderli nel lager sopracitato e spedirli dopo anni di maltrattamenti e sevizie ad allenarsi in posti infernali con la complicità della mostruosa nipotina; eppure, nonostante gli stessi bronzini lo definiscano un demonio in carne e ossa, si cerca comunque, nell’ottica della storia e specialmente per bocca di Saori, di farlo passare come un personaggio positivo. Allucinante.

In conclusione, che dire ancora di “Saint Seiya”?
Di sicuro, nonostante sia incredibilmente riuscita ad avere un grande successo, è una serie che avrebbe potuto dare tanto, ma purtroppo è stata affidata a un autore senza la benché minima voglia di lavorare e di dare profondità e spessore ai suoi personaggi. Il mio voto è un sei risicatissimo, se non le affibbio un bel quattro è perché si tratta comunque di un’opera che ha fatto la storia degli shonen e perché è da questo fumetto che, grazie al compianto Shingo Araki e a un preparatissimo staff di animatori, è stata tratta una delle serie anime che più ho adorato e che ancora oggi, a distanza di trent’anni dalla sua prima trasmissione, costituisce ancora un prodotto di tutto rispetto. E termino qui.