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Con i suoi racconti, Anderson è da sempre considerato come un esempio di giusta moralità per adulti e soprattutto per bambini. Tante erano le notti che passavamo con le nostre madri, le quali ci raccontavano le varie storie di Andersen, ricche di propositi sani ed educativi, e molteplici le opere che si ispiravano alle loro morali. Un’ispirazione che colse anche molti registi orientali. Uno di questi fu Osamu Dezaki (celebre per aver diretto importanti serie del passato, come “Astro Boy”, “Dororo” e “Ashita no Joe”), che utilizzò il pensiero di Andersen per poter creare una serie animata che si rifà ad uno dei più famosi e longevi racconti del poeta, chiamato “The Snow Queen”, o “Yuuki no Joo” in giapponese. Tra l’altro, sempre parlando del concetto di ispirazione, il racconto di Anderson ha avuto un altro adattamento animato, ma stavolta russo (di Lev Atamanov), il quale, a sua volta, ha influenzato enormemente la carriera di Hayao Miyazaki, la cui visione gli ha permesso successivamente di non aver più alcuna indecisione sulla sua carriera da regista e animatore. Un’opera quindi che ha decisamente contribuito alla crescita esponenziale dell’animazione giapponese.

Venendo quindi a noi, “Yuuki no Jou” racconta le vicissitudini di Gerda, una bambina che vive in un paesino nordico insieme alla nonna, e che impiega molte delle sue energie nel lavoro e trascorre molto tempo con il suo migliore amico, chiamato Kay. Questa vita piena ma felice viene però scombussolata dalla scomparsa di Kay, tanto che alla fine la sua famiglia, dopo vari tentativi, deve rinunciare alla sua ricerca. Nella storia però si capisce fin da subito che Kay è vivo. Una figura misteriosa chiamata “regina delle nevi” lo ha fatto salire con sé nella sua carrozza bianca, per poterlo portare nella sua dimora. Questo per salvarlo da una maledizione (che rende gli uomini, a lungo andare, sempre più distanti dalle emozioni genuine), scaturita da un frammento di vetro che gli si è conficcato nell’occhio. Vetro appartenente ad uno specchio creato probabilmente dal diavolo in persona, e quindi infuso di malvagità.

Nel resto della storia, Gerda si metterà in viaggio per poter ritrovare il suo buon amico Kay, incontrando nel suo cammino tante situazioni che la renderanno più forte e consapevole delle avversità della vita. Una maturazione che le permetterà di creare felicità anche nei cuori delle persone con cui interagirà nel corso del viaggio. Esplorerà e si troverà in mezzo anche a tante situazioni di estrema povertà, cercando di risolvere, insieme ad altri amici che incontrerà successivamente, dispute o soprusi, da parte della classe nobiliare o borghese, ai danni di quelli meno abbienti. Un anime che quindi va oltre la semplice storia, per poter comunicare, nel modo più realistico possibile, forti emozioni.

Nella sua interezza, la storia inizia e finisce con le vicende originali del racconto omonimo di Anderson. Per rendere il tutto più approfondito ed emozionante, sono stati introdotti nuovi personaggi fondamentali per il viaggio di Gerda, come un menestrello chiamato Ragi e un lupo, che ha lo stesso nome di un eroe delle leggende danesi, e tanti altri però di minore importanza. Altra particolarità di questo anime è l’adattamento ulteriore di altri scritti di Anderson, oltre quello del “La regina delle nevi”, ed è per questo che gli episodi aumentano molto di numero. Troveremo per esempio adattate fiabe, e alcune di esse abbastanza conosciute, come “La sirenetta”, “Scarpette rosse”, “La piccola fiammiferaia”, “I vestiti nuovi dell’imperatore”, “Non era una buona a nulla” e tanti altri piccoli richiami simbolici ad altre sue opere. Alcune di queste sono state adattate coerentemente, mentre altre hanno subito evidenti modifiche. Sicuramente un motivo principale è dato dal fatto che si sarebbero discostate troppo dalla trama, se rappresentate con assoluta fedeltà.

La storia presenta vicende magiche ma sempre con un tono molto leggero e, quindi, cerca di evitare elementi che vanno a toccare temi troppo teologici o mistici. Si concentra poco sull’azione, sul combattimento o nell’evidenziare le figure che simboleggiano il male o il bene, perché, alla fine, quello che l’anime vuole rappresentare è sia la storia di Kay e Gerda che una visione, quanto più realistica possibile, della condizione umana quando messa a dura prova. Condizione che viene rappresentata sia dal punto di vista psicologico che da uno esterno, cioè ambientale. In fondo, la descrizione del luogo è in stretta correlazione con gli individui che vi abitano, ed è questo che ci segna particolarmente mentre visioniamo l’intero viaggio di Gerda. Si può dire quindi che il tutto assomiglia ad altri anime di genere “meisaku”, anche se però non va troppo a ricalcare i contesti socio-culturali, valorizzando invece di più la componente dell’avventura e della crescita dei personaggi.

L’animazione, in generale, è accettabile, sebbene datata rispetto a tanti altri anime realizzati nel lontano 2004. Infatti i personaggi potrebbero apparire inizialmente poco piacevoli da guardare (specie i diavoli e le creature), nonostante ci sia la mano di Akio Sugino (infatti alcuni volti rimandano ai personaggi di “Lady Oscar”, come quello di Ragi, il cui creatore si è proprio ispirato al disegno di Akio stesso) come direttore delle animazioni e del character design. Ciò non toglie che è significativa la pregevole cura con cui si sono realizzati paesaggi, i fondali, i colori della natura, gli agenti atmosferici e anche le città/villaggi stessi. Tutti elementi molto significativi dell’opera che si possono apprezzare benissimo se riusciamo a tralasciare il disegno un po’ antiquato. Infatti, un consiglio che posso dare, per visionare l’anime con un occhio diverso, è considerare il viaggio, compiuto da Gerda, come se lo stessimo facendo anche noi. Un viaggio senza meta alla scoperta del vero significato che si cela dentro il nostro io interiore.

È una storia adatta a tutti, quindi non vedremo scene di grande violenza da parte dei personaggi dell’opera. Nessuno rappresenta il male o il bene assoluto, sono tutte persone che alla fine possono migliorare, e molte di queste dovranno fare scelte ardue. Gerda sarà, nella maggior parte delle occasioni, quel tocco finale per far sì che il dubbio si trasformi in giuste e profonde decisioni. Ovviamente non tutti continueranno a vivere senza sofferenza, ma alla fine, come dice l’anime stesso, può essere considerato miracolo anche il solo cambiamento stesso, perché esso ci apre comunque nuove strade. Questo è insomma il significato che sta alla base del rapporto di Gerda con tutti i personaggi che incontrerà. Un’altra particolarità dell'opera è proprio il pianto. Difficilmente vedremo gente non piangere per sofferenza o gioia, e Gerda stessa ne è l’esempio principale, le cui lacrime scorrono praticamente in ogni episodio. Non so se a tutti potrà piacere questa forma di sentimento, che sta alla base della personalità della protagonista, ma non penso che sia debilitante per la visione dell’anime.

Per quanto riguarda la sceneggiatura e la regia, di certo non si può dire che tutto quadra perfettamente. Come ho detto prima, l’anime punta sulla scoperta in generale, ma quelle poche scene di combattimento, utili per il proseguimento della storia originale, sono piuttosto mediocri a livello di tecnica e durata. Inoltre, dal punto di vista registico, avvengono pesanti tagli in diverse scene dell’anime. Probabilmente perché alcuni episodi, creati in maniera autoconclusiva, necessitano di una durata minore. Decisione presa quindi per poter saltare eventi superflui o semplicemente perché non si potevano adattare tutti i racconti in maniera coerente. Ciononostante, certe scelte possono un po’ destare disorientamento e confusione nello spettatore. L’anime comunque è abbastanza scorrevole e leggero, e quindi può essere visto, anche senza far troppo caso a questi problemi.

Parlando del comparto sonoro, non si può che affermare, con orgoglio, che la colonna sonora è davvero stupenda e rilassante. Akira senju (lo stesso che realizzato le musiche in “Full Metal Alchemist”) ha composto questi pezzi principalmente usando strumenti a cordofoni, e quindi viola, violino e anche chitarra acustica. Generalmente le parti più emozionanti sono quelle in cui vari archi suonano insieme, i quali seguono adagi a tempi semplici a 4/4. L’opening “The Snow Diamond” (non cantata) e il pezzo finale “White and Blue” (cantato da Mayo Suzukaze) rispecchiano questa ideologia. Perfette e naturali, esprimono al meglio le meravigliose sensazioni positive che pervadono in tutto il contesto dell’opera; esse meritano davvero di essere sentite più e più volte.

La vita (collegandomi alle scene dell’opening) è davvero paragonabile ad una eterna danza. Non finiamo mai di operare scelte che ci possano far comprendere meglio noi stessi e il mondo che ci si para davanti. L’opera ci insegna che troveremo sempre, lungo il continuo cammino, delle difficoltà ad aspettarci, perché non sempre abbiamo la conoscenza per poterle affrontare. Però, grazie ad una sana e fervida volontà, otterremo sempre dei risultati, qualunque essi siano, con i quali possiamo continuare a fare altre scelte. Nonostante tutto continueremo a danzare, forse ad esistere anche dopo la morte. Almeno questo è quello che ho realizzato dopo aver visto il finale positivo di “Yuuki no Jou”.

Detto questo, concludo dicendo che l’intera opera, come comprensione, è alla portata di tutti. L’unico ostacolo è il genere, che può annoiare chi non è veterano dell’animazione oppure quelli a cui non interessa visionare opere più antiche. Personalmente, lo consiglio vivamente a tutti. “The Snow Queen” è un’opera abbastanza inesplorata dalla gente; non merita di essere dimenticata.