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3650 giorni senza te è la prima opera di hitomi, ma è giunta in Italia per seconda, dopo il volume unico Transparent Love. Riguardo a quel manga diversi lettori, me inclusa, avevano riscontrato vari problemi: in particolare la brevità e la fretta non avevano permesso di sviluppare adeguatamente l’universo sovrannaturale e di trasmettere al meglio le emozioni dei protagonisti (rimando per questo discorso alla recensione ufficiale di AnimeClick e ai relativi commenti). Nonostante questo è stato un manga che ho letto volentieri e ho voluto dare a hitomi una seconda chance. Tra l’altro la storia di 3650 giorni senza te mi incuriosiva più della precedente.

Nel bene e nel male le mie impressioni della mangaka sono state confermate e anche quest’opera mi ha provocato sentimenti contrastanti. Basta prendere in mano il volume per rendersi conto della sua brevità e la “sorpresa” è che la storia principale ne occupa poco più di tre quarti, in quanto è presente anche un racconto extra. Considerando la velocità con cui l’ho divorato, non posso certo dire che non mi sia piaciuto. I disegni sono meravigliosi, la storia è interessante e i personaggi ben costruiti. Però l’autrice ha sempre l’acceleratore spinto al massimo e anche questo manga risulta frettoloso.

La trama in sé è davvero scarna e non succede molto più di quanto sia già anticipato dalla sinossi. L’unico aspetto che mi ha colto di sorpresa è stato l’atteggiamento di Maki (che considero il personaggio meglio riuscito): quel “ti punirò” mi aveva fatto pensare a uno sviluppo di tutt’altro tenore. Meglio così, perché il modo in cui Maki si prende cura di Katsumi è davvero molto bello.
Però l’evoluzione del rapporto tra i due meritava più tempo e più spazio, un ritmo più lento. E anche l’antefatto che dà origine a tutto si poteva centellinare un po’ di più, invece di spiegarlo per filo e per segno fin dall’inizio. Certi nodi fondamentali andavano dilatati, per dare modo al lettore di entrare anche con il cuore e con le emozioni in quei passaggi decisivi della storia.

Non servivano necessariamente più volumi o un malloppo gigante. Mentre nel caso di Transparent Love un doppio volume avrebbe funzionato bene, qui bastava un volume unico di dimensioni adeguate. Ragionando in termini di generi narrativi (romanzo, racconto, romanzo breve, racconto lungo) mi sembra chiaro che l’autrice sia portata per la media lunghezza ma che debba ancora affinare questa attitudine.

Un altro punto debole è la scrittura: mentre alcuni dialoghi sono belli (vedi per esempio la conversazione al parco), altri risultano farraginosi e, con i baloon fuori campo, è difficile capire chi stia parlando. Certe battute che, si intuisce, dovrebbero essere importanti, le ho trovate di difficile comprensione.
Il punto forte di hitomi sono senza dubbio i disegni: le espressioni dei volti e la gestualità dicono molto più delle battute di dialogo, sia al livello di emozioni che di contenuto. C’è per esempio una scena che rappresenta quello che Katsumi sta facendo con un tizio “poco raccomandabile”: bastano poche vignette, ben bilanciate come dimensioni e prospettiva, e senza nemmeno dover mostrare parti censurabili, per trasmettere tutta la sofferenza fisica e psicologica di Katsumi e la violenza dell’uomo. Non c’è bisogno di dilungarsi ulteriormente: qui il dono di hitomi per la sintesi funziona.

Un’ultima osservazione sul racconto extra: anche questo costituisce una lettura piacevole, ma presenta gli stessi problemi. Per il tema campagna-città ricorda un po’ Darling, Give Me a Break! di Minta Suzumaru, di due anni precedente e uscito da poco in Italia.

Concludendo, e mettendo le mani avanti sul fatto che non sono un’esperta ma una semplice lettrice, credo che se hitomi riuscisse a perfezionare gli aspetti del suo lavoro che risultano ancora deboli potrebbe davvero regalarci qualcosa di memorabile. Io certamente continuerò a tenerla d’occhio.