logo AnimeClick.it

-

Ikoku Nikki è una perla rara nel panorama dei manga moderni. È un lavoro che ha l’ambizione di voler parlare di persone vere e situazioni reali; parla di problemi e sfide quanto più ordinarie possibili, nonché quando più dolorose o odiose possibili, come d’altronde solo la vita vera ci sa presentare.
Proprio perché si pone un progetto molto ambizioso, nei suoi 11 volumi (forse pochi per un obbiettivo del genere) tratta i temi più disparati: identità di genere, coppie same sex, timori e ambizioni professionali, e ancora amore, amicizia, il desiderio di essere accettati e il coraggio di non arrendersi.
Tutto questo contorna il tema centrale del superamento del lutto, di cosa resta a coloro che rimangono quando chi c’era fino a un attimo prima d’un tratto non esiste più. La protagonista cerca di affrontare questa dolorosa sfida, mentre affronta i problemi tipici della sua età e vive da spettatrice inerme le sfide di chi la circonda.
Tutto è trattato con estrema delicatezza, quasi in punta di piedi, come se non si volesse mai influenzare il lettore, come l’apparentemente algida zia ripete continuamente alla nipote, la quale, invece, come il lettore, è alla disperata ricerca di risposte e punti di riferimento. Proprio per questo sono proprio pochi i temi e gli interrogativi per i quali l’autrice sembri essere disposta a dare voce ad una risposta schietta e tranciante, lasciando quasi tutto avvolto nella nebbia e alla libera interpretazione di chi legge (nulla di particolarmente complicato, ma non necessariamente soddisfacente per chi non ama i sottintesi).
Nonostante la delicatezza dei toni, l’ho trovata un’opera di una crudezza straziante, ma non tanto per il tema del lutto, quanto piuttosto per quello della solitudine, che costituisce il vero filo conduttore di tutta l’opera.
Partendo dal deserto interiore della piccola protagonista, pian piano è disvelata la solitudine di tutti i personaggi, nessuno escluso…incluso il lettore alla fine: non importa che ne siano consapevoli o meno, che ammettano di soffrirne o che anzi si crogiolino in essa per allontanarsi dal frastuono che li circonda, sono tutti irrimediabilmente e inesorabilmente soli e per questo ritengo che a quest’opera non possa darsi il massimo del punteggio. Tra le sue molte ambizioni, infatti, c’era anche quella di comunicare al lettore che persino nella situazione più disperata, quando si ha il deserto dentro, quando si crede di non avere nulla o nessuno di speciale al proprio fianco (scelto o “impostoci” alla nascita), quando ci sente incompresi o non si riesce a comprendere l’altro, non si è mai veramente soli e che ciascuno alla fine trova o riesce a costruire sempre il proprio posto nel mondo, un proprio nucleo. Tuttavia, temo che quest’ambizione, a differenza delle altre, sia rimasta solo sulla carta e che non sia effettivamente riuscita ad arrivare al cuore di chi legge.
Anzi, più ho riflettuto sulla condizione finale di ciascuno dei personaggi, più ho avuto la sensazione che ciascuno fosse rimasto un polo assestante rispetto agli altri; dopo tutto ciò che li ha uniti, sono tutti rimasti satelliti in orbita, che si guardano l’un l’altro, ma da lontano, senza mai osare avvicinarsi (metafora utilizzata dall’autrice stessa).
Ecco, senza nulla togliere alla bontà di tutto il resto, l’aver fallito nel veicolare l’idea tanto proclamata che la propria solitudine non è assoluta e granitica, ma capace di essere smussata e persino ridimensionata, trovo che sia una grave mancanza, non perché ogni opera debba necessariamente finire con un fiabesco “per sempre felici e contenti”, ma perché da un romanzo di formazione in manga, pieno di non detti e sottintesi, in cui la solitudine la fa da padrone in ogni singola riga, in ogni pannello, in ogni intervallo tra un capitolo e l’altro, proprio questo messaggio non doveva restare affidato a una serie di dichiarazioni programmatiche, ma tradursi in una consapevolezza nuova, rispetto al punto di partenza, per i personaggi. Così anche il lettore avrebbe giovato di questa evoluzione e recepito, oltre che letto, una morale tanto importante.
E invece, purtroppo, si rimane con un senso di vuoto, chiedendosi che senso abbiano avuto tutte le belle parole lette, se alla fine si rimane pur sempre tutti numeri primi.