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kirk

Episodi visti: 12/12 --- Voto 6
Premetto, di ogni episodio non ho guardato almeno un quarto, se non di più: è possibile, chiederete voi? Sì, perché alla fine di ogni episodio e per svariati minuti c’erano quelle che credo fossero le doppiatrici, con il loro siparietto “comico”... il fatto è che io non ascolto i DJ alla radio che fanno discorsi stupidi sul più e sul meno, figurarsi se ascolto queste... e poi, come dice Alessandro Borghese, tutto quello che è nel piatto deve essere commestibile, per essere mangiato: detto chiaramente, immagino che animare ventiquattro minuti costasse troppo e, per fare economie, la Big Firebird Cultural Media Co., che mi dicono (ma non ne sono certo) sia cinese o comunque abituata a lavorare con i cinesi, ha ridotto i minuti del cartone animato a quindici/diciassette, occupando comunque uno spazio di un normale episodio.
Per quello che ho visto, il prodotto meriterebbe un sette, ma il problema di cui sopra, il fatto di dover tagliare la visione ad un certo punto, mi costringe a diminuirlo a sei.

Ma cos’è “Frankestein Family”? Una commedia con spunti che potevano trasformarla in dramma a carattere fantascientifico.
Cinque ragazzi sono stati modificati geneticamente dai loro genitori, i quali si comportano da scienziati pazzi: abbiamo il ragazzo che si trasforma in cane, la ragazza che legge nella mente, le gemelle, una che si trasforma in ragno, l’altra in pianta, e infine abbiamo il bambino genio. All’inizio della serie i loro genitori sono arrestati e loro sono spediti dai servizi sociali a vivere con un giovane in un’isola vicino a casa loro...
Naturalmente non vogliono che si scopra il loro segreto, per non essere additati come mostri e trattati da cavie.

La storia funziona ed è carina, sia pur con alcune mancanze e con possibili miglioramenti.
Il character design dei personaggi è decisamente simile ad anime giapponesi, la colonna sonora funziona, ma... sarebbe stato meglio far durare gli episodi meno minuti, ma minuti veri.


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Atenaide

Episodi visti: 12/12 --- Voto 2,5
Siamo una famiglia (di mostri)!

Attenzione: la recensione contiene spoiler

Cinque fratelli restano soli, senza i genitori dati per scomparsi, e devono sopravvivere come possono in un ambiente nuovo, affidati alle cure di un tutore assente. Portano con sé la loro storia che non possono raccontare a nessuno e ognuno di loro ha qualcosa da nascondere, a volte così lampante da impedirgli di uscire di casa senza una giusta preparazione.

Questo è il riassunto della serie e, scritto così, parrebbe assai tragico ma grondante di promesse, una buona trama che promette grandi emozioni, eppure... eppure ben presto cominciano i dolori.

L’idea originale è quella di un manhua cinese. Io adoro gli anime cinesi ben fatti, ma ne conosco i limiti, tra cui la spaventosa brevità che monca sul nascere ogni speranza di un buon sviluppo di trama o personaggi, aggiunta alla cattiva caratterizzazione dei personaggi, a volte macchiette per questione di tempi e copione.

L’anime è una commedia che cerca di far convivere le cinque diverse personalità dei protagonisti: c’è il fratello minore, Tanisu, protagonista della serie, il cui grande QI così ben sbandierato (e lodato dai genitori) pare essere andato in vacanza per lasciare un bambino nevrotico, stressato e fortemente emotivo, tanto da provocarmi un vero fastidio; seguono due gemelle, una più diretta ma sotto sotto gentile, l’altra dolce e sensibile; infine c’è la sorella taciturna che sfoglia sempre libri, imperturbabile ma saggia, e il fratello maggiore assai posato e passivo.

Questi poveri ragazzi sono stati cresciuti da genitori che non fatico a definire mostri: li avranno sì “amati” e allevati, ma solo perché i figli erano i loro esperimenti. Sì, avete letto bene, sono stati in grado di prendere i piccoli dalla culla, trasferirli su un tavolino operatorio e trasformare la loro stessa prole in mostri: il fratello maggiore può diventare un cane, la sorella taciturna legge nella mente (poveraccia, che vita), una delle due gemelle è un ragno e quell’altra è una pianta. L’unico non modificato è Tanisu, spinto invece ad incrementare il suo QI in modo ossessivo. I genitori hanno cresciuto la prole addestrando ciascuno secondo la sua mutazione e, alla scoperta delle loro nefandezze e prima del loro arresto, hanno affidato al figlio piccolo il prosieguo dei loro esperimenti, dandogli come cavie i fratelli, di cui avere cura.

E così il nostro Tanisu, solo in un mondo nuovo, senza uno straccio di tutore presente perché molto occupato, si trova a dover fare da balia a quattro fratelli maggiori, acquistando cibo (con quali soldi?), curando la casa e cucinando (va bene che i suoi fratelli non hanno mai imparato a fare le faccende domestiche, ma possono farlo!). Desidera farli tornare umani (ma di chi era l’idea balorda di averli resi mostri e perché si ostina a raccogliere campioni dai propri stessi fratelli?).
I conflitti e le incomprensioni sono all’ordine del giorno (tanto più che vivono in un appartamento minuscolo, di cui, tra parentesi, al loro arrivo, mancava pure la mobilia che hanno dovuto costruirsi).

Il medicinale che li rende temporaneamente umani (altrimenti, come farebbero a passare inosservati? Furbi i genitori a pensarci per i loro scopi!) ha effetti collaterali spaventosi, ma davanti al fatto visibile Tanisu prima raccoglie campioni e poi, in una comica, assalta le sorelle abbigliandole al volo, come se nulla fosse, quasi per nulla dispiaciuto dal loro stato, che tanto, poi, si risistema da solo.

Slice of life e pathos nei momenti in cui i fratelli parlano del loro rapporto, ci rimuginano su o ricordano i (felici!) momenti della loro infanzia al laboratorio si sprecano, ma rispetto al tema delle sperimentazioni umane risultano troppo edulcorati e banali. Probabilmente, se fossero stati solo cinque fratelli “normali”, l’anime sarebbe risultato carino ma troppo stucchevole, però per un certo tipo di pubblico non avrebbe così stonato. Eppure prosegue in un patetismo autoreferenziale e avanza con una lentezza micidiale.
A titolo d’esempio, cito l’episodio delle gemelle, il cui amore reciproco è sempre stato innegabile, ma in due episodi (due!) viene approfondito: seguono scene costanti con un “Siamo uguali?” ripetuto davanti a riscontri negativi di fratelli e genitori. Il loro arco termina come ce lo si aspetta, con la dichiarazione reciproca dell’affetto sempre presente e l’accettazione della loro differenza, perché tanto si sarebbero sempre riconosciute l’una negli occhi dell’altra. Detta così, è molto bella, vista, sfiora il patetismo.

Un altro problema legato al procedere della trama è l’incentrarsi sui patemi degli altri fratelli, ma soprattutto del protagonista dell’anime, Tanisu. Il fratellino minore dovrebbe essere un genio, ma resta comunque un bambino, e così agisce per tutto l’anime. Da una parte vuole proseguire le ricerche dei genitori, dall’altra, pur dovendo gestire le faccende di tutti i giorni per i fratelli sfaccendati, ha le difficoltà e i patemi di un bambino. Per quanto ami la sua famiglia, ne ha un rapporto conflittuale. Unico umano tra cinque fratelli, dovrebbe farli tornare normali, ma non sa quando riuscirà. Non è chiaro dove possa proseguire le ricerche, se i suoi genitori disponevano di una laboratorio e lui no.

Dilemma della serie è il seguente: se i genitori hanno reso i loro figli dis-umani ed è da anni che convivono con quella diversità, perché farli tornare umani? Perché lo vogliono davvero? Perché affidare il progetto ad un bambino, seppur genio (e rieccoli i genitori, i veri mostri)? Com’è possibile crescere figli modificati in un contesto di laboratorio, per poi inventarsi un placebo per i guai (la medicina che li rende temporaneamente umani), per poi ripetere il ritornello per tutta la serie: “Tornerete (torneremo) umani per vivere tra gli umani?”

Quel che è peggio è che nessuno dei figli condanna quanto i genitori hanno fatto loro, mai un risentimento verso la mutazione subita (vista e sentita come fosse la loro stessa natura), mai un rimprovero a quei genitori gelidi e anaffettivi (bastava il rapporto tra fratelli e la naturale amorevolezza dei bambini ad indorare per bene la loro crescita deprecabile).

Di solito non faccio mai spoiler, perché ci tengo a preservare quanto più intatta la sorpresa negli occhi di chi guarderà un anime dopo di me, ma, se scrivo questa recensione, è per denunciare quest’opera totalmente inguardabile e, se devo mettere uno sopra l’altro tutti i punti critici che mi spingono a sostenere l’asserzione dell’inutilità dell’esistenza di questa serie, allora lo farò fino in fondo.

La parte finale dell’anime tende a sfilacciarsi. Se la trama poteva avere un esile filo logico, poi si perde nei meandri della testa dei personaggi fino ad un finale monco, che vedremo.
Inizia focalizzandosi con la sorella taciturna, in realtà in pena per la salute del fratello che ha una “malattia endemica”. Alzi la mano chi sa cos’è, sta di fatto che in una chat di Internet scrive proprio “Cerco la cura per una malattia endemica”. Rispondono che la cura la hanno, adescano la poveretta in un bar e qui scopre che è la maestra che tiene un negozio di articoli di seconda mano. La donna le dice di stare più attenta, ma le dà la medicina, lodando il suo buon cuore (!). D’accordo che vivono su un’isola, ma la mancanza di una medicina per la febbre, ebbene sì, era febbre che passa da sé, e il successivo adescamento sembrano il classico esempio di chi se la canta e se la suona da solo.

Che Tanisu fosse un bambino era un fatto certo, ma, quando vede la coetanea che si definisce sua amica dopo avergli parlato due volte (basta poco!) tenere sulle ginocchia la testa del fratello steso sulla panchina e tentare di baciarlo (quando poco prima il povero Snow in una crisi di ‘canitopia’ aveva provato a sbranarla senza troppo pathos o convinzione... aiuto! Ci sono forzature a go go!) iniziano le dolorossisme (per Tanisu sono un patema, per lo spettatore un martirio da occhi roteati al cielo) fisime mentali. Sentendosi tradito dal fratello, che gli ha rubato la donna, si getta in una crisi esistenziale che coinvolge lui, i fratelli, il mondo ma mai i genitori. E partono domande contingenti e filosofiche: i mostri possono convivere con gli umani? E lui, che posizione ha, mostro in una famiglia di mostri? Verrebbe accettato o no? E insomma, va bene essere fratelli, ma lui che cavolo sta a fare con loro e quanto tempo gli ci vorrà a renderli umani per riscattare prima non loro, ma lui?!

Davanti alla sua crisi di pianto stizzoso i fratelli prendono posizione, senza che ci sia un confronto chiaro su nulla, a parte la sorella che gli ha letto nella mente e che avrebbe dovuto avere la decenza di aprire lei il dialogo, dato che, se stavano tutti nella stessa barca, era per colpa de genitori sadici, e tornano a casa al laboratorio. E in un deux ex machina salta fuori la chiave che permette di accedere alla sezione più segreta del laboratorio, quella in cui altri scienziati, dopo l’arresto dei genitori (per quali capi di accusa non è chiaro nemmeno a Tanisu, le informazioni viaggiano lente pure con Internet!), hanno proceduto con le ispezioni del caso. Nemmeno i fratelli sanno cosa ci sia dentro e nella visita precedente al laboratorio non si sono nemmeno premurati di andarlo a vedere. Eppure è casa, no?

Tanisu incontra la ragazzina del fattaccio, ma ci parla come fosse nulla, e quella, senza capire nulla della sua situazione famigliare, gli dà un consiglio gratuito: a casa ci sarà sempre qualcuno che ti aspetta. Ma a casa non c’è nessuno, e qui vediamo in moto le doti di “genio” di Tanisu. Va dalla maestra, donna capace di accusare il loro tutore di incapacità, che dà al ragazzino dell’intelligente solo perché le fa il postulato sul perché lei dovrebbe potersi procurare una barca, per poi terminare con un “Sei l’unico adulto che io conosca”. Il buon senso spingerebbe un adulto a non assecondare un ragazzino che vuole affrontare la tempesta per andare dove (?) sono andati i fratelli, a detta sua scomparsi. E nemmeno fa altri tentativi per chiamare la polizia o attende ulteriori spiegazioni. Tratta un ragazzino come un adulto, e la cosa è spaventosa e insensata.

Al laboratorio poi arrivano Tanisu, il tutore che ha la barca (ah, ad almeno qualcosa serve!) e la maestra. E qui, tra un cavallone e l’altro, Tanisu ringrazia dell’aiuto, ma è ovvio, ragazzino! Come se un bambino potesse fare tutto da solo. Banale, banale, banale, ma glielo hanno fatto credere, facendogli fare davvero tutto da solo! Ma i servizi sociali hanno tenuto conto del fattore umano, affidando cinque minori ad un tutore così assente?

Sull’isola del laboratorio trattano il ragazzino come un adulto: se la questione è privata, vai, penetra la boscaglia, ammazzati in un burrone, ma raggiungi pure i tuoi fratelli, e la maestra è pure d’accordo. Quale adulto ragionerebbe così?! E il nostro Tanisu, con zero senso dell’orientamento, abilità fisiche residuali ma tanta disperazione e tanto ingegno, raggiunge i fratelli sotto la tempesta davanti al laboratorio, e qui si urlano le loro motivazioni senza che nessuno li senta da dentro. Il dialogo è la sagra del nonsense.

Tanisu li rivuole tutti, sono la sua famiglia, se bisogna procedere, lo si faccia assieme. Ci vorrà pur tempo per sviluppare la medicina, ma tra di loro risolveranno i guai strada facendo. Snow per la prima volta tira fuori il carattere e dichiara che il luogo dei mostri deve essere separato da quello degli umani. Loro sono condannati al buio e all’oscurità (tesoro, che melodrammatico!), lui no. Però sono mostri buoni, aggiunge, perché i loro genitori li hanno resi così per non farli diventare assassini o peggio. Non vi si accappona la pelle ad una simile assoluzione verso i genitori?
Poteva finire qui, e avrei applaudito senza risultare oltremodo velenosa, ma no, il buon cuore vince. Mentre i fratelli vanno verso la struttura, di spalle, all’ultimo grido da cucciolo di Tanisu, Snow, il capo “morale” dei fratelli, cede e desidera tornare con lui. Della serie tanto rumore per nulla, tra grida, rimproveri e molta, molta pioggia battente. Ridevo per non piangere, guardandolo: pareva un pessimo cliché.

L’ultimo episodio è quanto di più disgraziato esista. Dopo essere sopravvissuta ad una porcheria del genere, speravo in una chiusa quantomeno “logica”, ma no, era chiedere troppo. Dopo un pranzetto riappacificatore, Tanisu propone di parlare di loro al tutore, crede che li accetterà. E, mentre ci provano, perché il tutore capita là per caso per sentire giusto giusto l’ultima parte del discorso e interessarsene, la mente dell’uomo va in loop, pensa intensamente ad una Yukychan e a come, da smozzichi di inizio spiegazione dati da Tanisu, possano i ragazzi essere collegati a lei. Al tutore dal tanto pensare quasi esce il fumo dalle orecchie, la sorella taciturna, in quel loop di pensieri, va in black out e sviene. Fine della serie.

Un finale monco, insensato, di una serie pesante e insulsa merita un commento acido, ma, giunta alla fine, ero senza forze nel commentare. Se avete il coraggio, guardate e commentatevelo da voi stessi, che io ho finito le parole indignate per il tempo perso a vedere quest’opera la cui natura è dis-umana.

A livello di chara design non c’è nulla da criticare, e i fondali sono belli da vedere. Lo studio psicologico dei personaggi è mancante, stereotipato, facendoli risultare piatti, in filigrana, mono-motivati o invisibili, come mere comparse al momento giusto. Quest’anime pare uno spettacolo teatrale in cui non ci si premura di nascondere i trucchi di scena e, se lo si fa, è perché si è a corto di idee e si spara a casaccio.