Takopi's Original Sin
Sono sufficienti pochi minuti di visione per capire che "Takopi’s Original Sin" non è una favola per bambini. Questa serie animata, tratta dall’omonimo manga di Taizan5, affronta il tema del bullismo e della violenza in tutte le sue forme, con una sincerità brutale, senza filtri né consolazioni.
Takopi è un piccolo alieno rosa, proveniente dal Pianeta della Felicità, arriva sulla Terra con l’ingenuo intento di portare gioia attraverso i suoi gadget magici. Il suo primo incontro è con Shizuka, una bambina di nove anni che non riesce più a sorridere.
La scelta di rappresentare il piccolo alieno come un polpo credo non sia casuale.
Nella cultura giapponese il polpo (tako) è una creatura ambigua: buffa e tenera, ma anche sfuggente e misteriosa. È spesso usato dagli studenti come amuleto portafortuna, simbolo di protezione e dolcezza. Takopi richiama proprio questa tradizione: il suo aspetto kawaii, rotondo e infantile lo rende inizialmente una presenza rassicurante, quasi magica. Anche la sua voce infantile contribuisce a questa impressione: cantilenante, tenera, come un tentativo di portare luce dove la luce si è spenta, come se questa dissonanza servisse ad alleggerire il peso della narrazione.
Tuttavia, basta osservare i suoi tentacoli rosa, che si muovono in tutte le direzioni nel tentativo di afferrare un mondo che non riesce a comprendere, per cogliere quella spaccatura tra la realtà e il suo candore.
Takopi diventa così il simbolo perfetto dell'innocenza che si confronta con la brutalità. Ed è proprio questo contrasto che amplifica il senso di smarrimento, rendendo ancora più disturbante la realtà che lo circonda.
All’inizio della storia l’atmosfera sembra quasi fiabesca, ma è solo un’illusione. Presto l’anime si trasforma in una narrazione drammatica e profonda, dove si affrontano temi delicati come la solitudine, la depressione, il senso di colpa e il desiderio di redenzione. La sofferenza infantile viene mostrata senza edulcorazioni, e questo rende la visione tanto intensa quanto disturbante. La serie è breve (sei episodi, il primo più lungo) ma ogni puntata è un pugno allo stomaco, con continui colpi di scena.
Il legame tra Takopi e Shizuka è il cuore emotivo della storia, e ci costringe a confrontarci con scelte difficili, ambiguità morali e momenti di grande impatto. Possiamo dire che fantasia e realismo qui si intrecciano in modo sorprendente, lasciandoci completamente disarmati.
Una delle scelte narrative più efficaci è il contrasto scelto tra la dolcezza di Takopi e la crudeltà degli eventi. L’ingenuità disarmante del polpo, specchio perfetto del mondo idilliaco da cui proviene, rende ancora più brutali le situazioni che si susseguono.
Takopi fa del suo meglio per aiutare, ma ogni suo tentativo fallisce. I suoi gadget, pensati per portare felicità, finiscono per innescare conseguenze impreviste e spesso tragiche. È ingenuo pensare che basti un oggetto magico per risolvere problemi così profondi, eppure è proprio questa sua candida fiducia a renderlo un personaggio così struggente. La sua inconsapevolezza emotiva è tale da non cogliere nemmeno le variazioni nei toni di voce. Quando assiste a litigi o urla, interpreta tutto come semplice comunicazione, quasi con compiacimento. Questo atteggiamento ci spiazza: non possedere senso critico, non distinguere tra aggressività e dialogo, lo rende ancora più puro e vulnerabile. E in alcuni momenti chiave, quando subisce violenza lui stesso, non reagisce con rabbia o paura, ma con scuse confuse perché dice di non capire. Non capisce davvero cosa ha vissuto Shizuka, né il grave peso emotivo di ciò che lo circonda.
Guardare "Takopi’s Original Sin" non è semplice: serve una certa predisposizione emotiva. Io stessa ho fatto fatica a digerire alcune scene: il dolore dei bambini, mostrato senza filtri, è tra le immagini più difficili da sostenere. I sentimenti che emergono durante la visione possono essere talmente intensi da risultare quasi insopportabili, e non solo per chi è genitore.
A rendere tutto ancora più disturbante è il ruolo che qui hanno gli adulti, che sono presenti, sì, ma nel peggior modo possibile: figure tossiche, incapaci di offrire modelli positivi, bisognosi loro stessi di aiuto. Anziché proteggere, amare ed educare, generano solo confusione e dolore.
Ed è fin troppo facile riconoscersi in queste dinamiche. In ogni personaggio (Shizuka, Marina, Azuma, persino Takopi) possiamo rivedere nostro figlio, i nostri genitori, i compagni di scuola. E noi stessi. Nessuno è completamente positivo, nemmeno Takopi, le cui azioni, pur animate da buone intenzioni, diventano col tempo sempre più discutibili.
Uno dei momenti più toccanti e rivelatori dell’intera serie è racchiuso in una frase che Takopi rivolge ad Azuma, l’amico fidato di Shizuka: “Non capisco più niente... Shizuka è cattiva, ma anche gentile. Ha fatto cose brutte a Marina, ma poi mi ha dato del pane...” In poche parole, Takopi esprime il cuore del suo dilemma morale: l’impossibilità di incasellare le persone come “buone” o “cattive”. Per lui, che viene da un mondo dove la felicità è assoluta e il dolore non esiste, questa ambiguità è sconvolgente, ma è anche profondamente umana.
Il titolo stesso, "Original Sin", richiama il concetto religioso del peccato originale, quella macchia morale che ogni essere umano porta con sé fin dalla nascita. Nell’anime questo concetto viene reinterpretato in chiave psicologica e sociale, ma a ben vedere si può sicuramente leggere l’intera opera anche attraverso una lente simbolico-religiosa. Il Pianeta Happy ricorda il paradiso cristiano: un luogo puro, privo di dolore, dove tutto è gioia. Takopi, che da lì arriva sulla Terra, somiglia a un angelo caduto, una creatura innocente che si confronta con il peccato e la sofferenza umana. E la figura della Madre di Takopi, che osserva da lontano e sembra incarnare un’autorità superiore, può essere letta come una rappresentazione di Dio. Curiosamente è una figura femminile: una divinità materna, dolce, ma anche distante, impossibilitata a intervenire. Ed è proprio il suo essere femmina ad aggiungere una nota di tenerezza e mistero…
Shizuka, come ogni bambino, nasce innocente, ma le esperienze dolorose (bullismo, abbandono, solitudine) la portano a compiere azioni che non si possono definire semplicemente “buone” o “cattive”. Takopi, con la sua visione binaria, non riesce a comprendere questa complessità, per lui la bontà è un valore assoluto, e la cattiveria un errore da correggere. Quando vede Shizuka compiere gesti gentili e crudeli nello stesso tempo, il suo sistema di valori collassa. Da qui il suo smarrimento: “Non capisco più niente...”
Ma è proprio questa confusione che ci riguarda da vicino, "Takopi’s Original Sin" ci dice che la sofferenza genera contraddizione. Nessuno è solo vittima o solo carnefice, anche i bambini, che dovrebbero essere puri, possono ferire gli altri se feriti a loro volta, e questo non li rende malvagi, ma umani. Takopi diventa lo specchio della nostra difficoltà nell'affrontare il dolore senza giudizio. La sua innocenza ci mette di fronte a domande scomode: come possiamo amare qualcuno che ha fatto del male? Come possiamo perdonare chi ha sofferto e ha fatto soffrire?
Anche i gadget di Takopi, provenienti dal Pianeta della Felicità, diventano simboli potenti. In apparenza sono oggetti magici e innocui (che inizialmente ci strappano persino un sorriso), pensati per portare gioia e risolvere i problemi, ma il loro uso solleva domande non troppo leggere. La Happy Camera, ad esempio, permette di tornare indietro nel tempo, ma ci si chiede: se potessimo correggere il passato, a quale prezzo lo faremmo? E chi decide cosa va corretto? Gli altri gadget, che agiscono sulla memoria, sulle emozioni, sui legami, non sono semplici giocattoli, ma possono essere considerati metafore della tentazione di evitare il dolore anziché affrontarlo. Il piccolo polpo li usa per aiutare, ma scopre che la felicità non si impone, e che il dolore non si cancella con un bottone.
Takopi, in questa sua esperienza terrena, incontra anche Azuma, un personaggio chiave che rappresenta un altro tipo di dolore: quello che non esplode, ma si accumula. A differenza di Shizuka, che agisce in modo più impulsivo e contraddittorio, Azuma è silenzioso, osserva, trattiene, ma dentro di lui c’è un tumulto emotivo che lo rende vulnerabile, e a volte pericoloso. Takopi capisce che la sofferenza non ha un’unica forma, che non tutti gridano, non tutti piangono, alcuni si chiudono, altri si spezzano dentro. E questo rende ancora più difficile per lui distinguere il bene dal male.
Shizuka e Marina, invece, incarnano due volti opposti ma complementari del dolore infantile. Shizuka è la solitudine che non fa rumore, Marina è la rabbia che esplode. La prima si chiude, la seconda attacca. Tuttavia entrambe sono bambine che cercano di sopravvivere in un mondo che non le capisce. E Takopi, con la sua innocenza aliena, è il testimone di questa lotta. L’opera ci invita così a non giudicare, ma a comprendere, a vedere che dietro ogni gesto c’è una storia, e che il vero peccato originale non è la cattiveria, ma l’incapacità di ascoltare il dolore degli altri.
Takopi non è solo un semplice alieno: rappresenta la parte di noi che vorrebbe che tutto fosse semplice, ma il mondo umano è complesso, e l’unico modo per affrontarlo è accettare che il bene e il male convivano, anche dentro chi amiamo.
Il comparto grafico amplifica tutto questo. Takopi è disegnato in stile kawaii, rotondo, tenero, da cartone animato per bambini. Gli umani invece sono realistici, cupi, con espressioni tese e ambienti grigi. Questo contrasto visivo crea un effetto straniante: sembra di assistere a una storia per l’infanzia, mentre in realtà ci troviamo immersi in un racconto profondamente adulto. È come se il mondo ovattato di Takopi venisse lentamente inghiottito da una realtà buia che lo sovrasta e lo confonde. Gadget e grafica non sono dunque semplici elementi estetici, ma diventano strumenti narrativi, mostrandoci quanto sia difficile affrontare il dolore, quanto sia facile volerlo cancellare, e quanto sia pericoloso farlo senza comprenderlo.
L’animazione contribuisce a sottolineare la drammaticità degli eventi e le paure dei personaggi. Lo stile visivo è graffiante, nervoso, con tratti aggressivi che amplificano il senso di tensione e fragilità. In alcuni momenti, le linee si fanno spigolose, i tratti si allungano, le figure si deformano. È una scelta stilistica che non cerca la bellezza, ma l’impatto emotivo. Emblematico è il modo in cui viene rappresentato il fratello di Azuma: la sua figura viene distorta, resa minacciosa, quasi mostruosa. Non perché lo sia davvero, ma perché così lo percepisce in quel momento Azuma, travolto dalle sue paure. È una sequenza che ci mostra come l’animazione possa diventare linguaggio psicologico, capace di dare forma all’invisibile.
Anche il comparto sonoro gioca un ruolo fondamentale. Qui le melodie dolci e giocose si alternano a tracce cupe e dissonanti, riflettendo perfettamente il tono mutevole della serie. La musica non accompagna semplicemente la storia, ma l'amplifica, la contraddice, la rende più profonda. È come se fosse la voce interiore dei personaggi, soprattutto di Takopi, che non riesce a esprimere a parole la sua confusione.
Merita attenzione anche l’opening che contribuisce a questo gioco di contrasti: la melodia e la grafica evocano le sigle di anime leggeri e spensierati, quasi da palinsesto pomeridiano per bambini. È un’introduzione che ci coglie in contropiede, facendoci credere di essere davanti a una storia leggera. Ma proprio questa dissonanza iniziale (tra ciò che vediamo e ciò che ci aspetta) sembra voluta, come se l’opera volesse metterci subito in uno stato di vulnerabilità. È un altro modo, sottile ed efficace, per raccontare quanto sia facile confondere la superficie con la profondità.
Tornando ai rimandi di natura religiosa, ma senza entrare nei dettagli, è difficile non cogliere nel percorso di Takopi un richiamo a figure spirituali. La sua missione (portare felicità a chi soffre) nasce da un intento puro, quasi angelico, ma il viaggio sulla Terra lo costringe a confrontarsi con il dolore, la complessità, l’ambiguità dell’animo umano. In questo ricorda Siddharta, che lascia il palazzo per conoscere la sofferenza del mondo.
E il gesto finale, compiuto per amore e senza riserve, ha qualcosa di profondamente cristico: non più semplice aiuto, ma dono totale, rinuncia, compassione assoluta.
Non è dunque solo una storia di crescita, ma di trasformazione interiore, e forse, proprio lì, si nasconde la vera illuminazione…
Durante la visione si è portati a pensare, con un certo dolore, che la violenza generi altra violenza (come un’eco che rimbalza da un cuore all’altro) senza spiragli di luce, senza soluzioni facili né redenzioni miracolose. Solo la consapevolezza che il dolore non si cancella, ma si attraversa.
Non c’è speranza, dunque?
O forse la speranza non risiede nel lieto fine, ma nella nostra capacità di guardare il dolore negli occhi, di scegliere ogni volta di non voltarsi altrove.
Guardare il dolore negli occhi significa anche riconoscerlo nei volti che ci somigliano, nei gesti che ci appartengono, nelle ferite che, in fondo, non sono mai solo degli altri…
Ogni personaggio in questa storia porta una ferita diversa, e chi guarda può riconoscersi in ognuno di loro.
Personalmente (e paradossalmente) mi sono rivista proprio in Takopi: nella sua fiducia genuina verso il prossimo, e nella sua incapacità di comprendere e reagire alla violenza.
Credo sia questo uno dei motivi per cui questa storia mi ha toccata così profondamente.
Concludendo, consiglio caldamente questa serie a chi cerca un’opera impattante, dai contenuti forti e realistici, capace di lasciare il segno e di indurre una riflessione autentica.
Agli animi più sensibili (o a chi ha vissuto esperienze simili) suggerisco di prepararsi emotivamente: non è una visione facile, ma proprio per questo può diventare profondamente significativa.
Takopi è un piccolo alieno rosa, proveniente dal Pianeta della Felicità, arriva sulla Terra con l’ingenuo intento di portare gioia attraverso i suoi gadget magici. Il suo primo incontro è con Shizuka, una bambina di nove anni che non riesce più a sorridere.
La scelta di rappresentare il piccolo alieno come un polpo credo non sia casuale.
Nella cultura giapponese il polpo (tako) è una creatura ambigua: buffa e tenera, ma anche sfuggente e misteriosa. È spesso usato dagli studenti come amuleto portafortuna, simbolo di protezione e dolcezza. Takopi richiama proprio questa tradizione: il suo aspetto kawaii, rotondo e infantile lo rende inizialmente una presenza rassicurante, quasi magica. Anche la sua voce infantile contribuisce a questa impressione: cantilenante, tenera, come un tentativo di portare luce dove la luce si è spenta, come se questa dissonanza servisse ad alleggerire il peso della narrazione.
Tuttavia, basta osservare i suoi tentacoli rosa, che si muovono in tutte le direzioni nel tentativo di afferrare un mondo che non riesce a comprendere, per cogliere quella spaccatura tra la realtà e il suo candore.
Takopi diventa così il simbolo perfetto dell'innocenza che si confronta con la brutalità. Ed è proprio questo contrasto che amplifica il senso di smarrimento, rendendo ancora più disturbante la realtà che lo circonda.
All’inizio della storia l’atmosfera sembra quasi fiabesca, ma è solo un’illusione. Presto l’anime si trasforma in una narrazione drammatica e profonda, dove si affrontano temi delicati come la solitudine, la depressione, il senso di colpa e il desiderio di redenzione. La sofferenza infantile viene mostrata senza edulcorazioni, e questo rende la visione tanto intensa quanto disturbante. La serie è breve (sei episodi, il primo più lungo) ma ogni puntata è un pugno allo stomaco, con continui colpi di scena.
Il legame tra Takopi e Shizuka è il cuore emotivo della storia, e ci costringe a confrontarci con scelte difficili, ambiguità morali e momenti di grande impatto. Possiamo dire che fantasia e realismo qui si intrecciano in modo sorprendente, lasciandoci completamente disarmati.
Una delle scelte narrative più efficaci è il contrasto scelto tra la dolcezza di Takopi e la crudeltà degli eventi. L’ingenuità disarmante del polpo, specchio perfetto del mondo idilliaco da cui proviene, rende ancora più brutali le situazioni che si susseguono.
Takopi fa del suo meglio per aiutare, ma ogni suo tentativo fallisce. I suoi gadget, pensati per portare felicità, finiscono per innescare conseguenze impreviste e spesso tragiche. È ingenuo pensare che basti un oggetto magico per risolvere problemi così profondi, eppure è proprio questa sua candida fiducia a renderlo un personaggio così struggente. La sua inconsapevolezza emotiva è tale da non cogliere nemmeno le variazioni nei toni di voce. Quando assiste a litigi o urla, interpreta tutto come semplice comunicazione, quasi con compiacimento. Questo atteggiamento ci spiazza: non possedere senso critico, non distinguere tra aggressività e dialogo, lo rende ancora più puro e vulnerabile. E in alcuni momenti chiave, quando subisce violenza lui stesso, non reagisce con rabbia o paura, ma con scuse confuse perché dice di non capire. Non capisce davvero cosa ha vissuto Shizuka, né il grave peso emotivo di ciò che lo circonda.
Guardare "Takopi’s Original Sin" non è semplice: serve una certa predisposizione emotiva. Io stessa ho fatto fatica a digerire alcune scene: il dolore dei bambini, mostrato senza filtri, è tra le immagini più difficili da sostenere. I sentimenti che emergono durante la visione possono essere talmente intensi da risultare quasi insopportabili, e non solo per chi è genitore.
A rendere tutto ancora più disturbante è il ruolo che qui hanno gli adulti, che sono presenti, sì, ma nel peggior modo possibile: figure tossiche, incapaci di offrire modelli positivi, bisognosi loro stessi di aiuto. Anziché proteggere, amare ed educare, generano solo confusione e dolore.
Ed è fin troppo facile riconoscersi in queste dinamiche. In ogni personaggio (Shizuka, Marina, Azuma, persino Takopi) possiamo rivedere nostro figlio, i nostri genitori, i compagni di scuola. E noi stessi. Nessuno è completamente positivo, nemmeno Takopi, le cui azioni, pur animate da buone intenzioni, diventano col tempo sempre più discutibili.
Uno dei momenti più toccanti e rivelatori dell’intera serie è racchiuso in una frase che Takopi rivolge ad Azuma, l’amico fidato di Shizuka: “Non capisco più niente... Shizuka è cattiva, ma anche gentile. Ha fatto cose brutte a Marina, ma poi mi ha dato del pane...” In poche parole, Takopi esprime il cuore del suo dilemma morale: l’impossibilità di incasellare le persone come “buone” o “cattive”. Per lui, che viene da un mondo dove la felicità è assoluta e il dolore non esiste, questa ambiguità è sconvolgente, ma è anche profondamente umana.
Il titolo stesso, "Original Sin", richiama il concetto religioso del peccato originale, quella macchia morale che ogni essere umano porta con sé fin dalla nascita. Nell’anime questo concetto viene reinterpretato in chiave psicologica e sociale, ma a ben vedere si può sicuramente leggere l’intera opera anche attraverso una lente simbolico-religiosa. Il Pianeta Happy ricorda il paradiso cristiano: un luogo puro, privo di dolore, dove tutto è gioia. Takopi, che da lì arriva sulla Terra, somiglia a un angelo caduto, una creatura innocente che si confronta con il peccato e la sofferenza umana. E la figura della Madre di Takopi, che osserva da lontano e sembra incarnare un’autorità superiore, può essere letta come una rappresentazione di Dio. Curiosamente è una figura femminile: una divinità materna, dolce, ma anche distante, impossibilitata a intervenire. Ed è proprio il suo essere femmina ad aggiungere una nota di tenerezza e mistero…
Shizuka, come ogni bambino, nasce innocente, ma le esperienze dolorose (bullismo, abbandono, solitudine) la portano a compiere azioni che non si possono definire semplicemente “buone” o “cattive”. Takopi, con la sua visione binaria, non riesce a comprendere questa complessità, per lui la bontà è un valore assoluto, e la cattiveria un errore da correggere. Quando vede Shizuka compiere gesti gentili e crudeli nello stesso tempo, il suo sistema di valori collassa. Da qui il suo smarrimento: “Non capisco più niente...”
Ma è proprio questa confusione che ci riguarda da vicino, "Takopi’s Original Sin" ci dice che la sofferenza genera contraddizione. Nessuno è solo vittima o solo carnefice, anche i bambini, che dovrebbero essere puri, possono ferire gli altri se feriti a loro volta, e questo non li rende malvagi, ma umani. Takopi diventa lo specchio della nostra difficoltà nell'affrontare il dolore senza giudizio. La sua innocenza ci mette di fronte a domande scomode: come possiamo amare qualcuno che ha fatto del male? Come possiamo perdonare chi ha sofferto e ha fatto soffrire?
Anche i gadget di Takopi, provenienti dal Pianeta della Felicità, diventano simboli potenti. In apparenza sono oggetti magici e innocui (che inizialmente ci strappano persino un sorriso), pensati per portare gioia e risolvere i problemi, ma il loro uso solleva domande non troppo leggere. La Happy Camera, ad esempio, permette di tornare indietro nel tempo, ma ci si chiede: se potessimo correggere il passato, a quale prezzo lo faremmo? E chi decide cosa va corretto? Gli altri gadget, che agiscono sulla memoria, sulle emozioni, sui legami, non sono semplici giocattoli, ma possono essere considerati metafore della tentazione di evitare il dolore anziché affrontarlo. Il piccolo polpo li usa per aiutare, ma scopre che la felicità non si impone, e che il dolore non si cancella con un bottone.
Takopi, in questa sua esperienza terrena, incontra anche Azuma, un personaggio chiave che rappresenta un altro tipo di dolore: quello che non esplode, ma si accumula. A differenza di Shizuka, che agisce in modo più impulsivo e contraddittorio, Azuma è silenzioso, osserva, trattiene, ma dentro di lui c’è un tumulto emotivo che lo rende vulnerabile, e a volte pericoloso. Takopi capisce che la sofferenza non ha un’unica forma, che non tutti gridano, non tutti piangono, alcuni si chiudono, altri si spezzano dentro. E questo rende ancora più difficile per lui distinguere il bene dal male.
Shizuka e Marina, invece, incarnano due volti opposti ma complementari del dolore infantile. Shizuka è la solitudine che non fa rumore, Marina è la rabbia che esplode. La prima si chiude, la seconda attacca. Tuttavia entrambe sono bambine che cercano di sopravvivere in un mondo che non le capisce. E Takopi, con la sua innocenza aliena, è il testimone di questa lotta. L’opera ci invita così a non giudicare, ma a comprendere, a vedere che dietro ogni gesto c’è una storia, e che il vero peccato originale non è la cattiveria, ma l’incapacità di ascoltare il dolore degli altri.
Takopi non è solo un semplice alieno: rappresenta la parte di noi che vorrebbe che tutto fosse semplice, ma il mondo umano è complesso, e l’unico modo per affrontarlo è accettare che il bene e il male convivano, anche dentro chi amiamo.
Il comparto grafico amplifica tutto questo. Takopi è disegnato in stile kawaii, rotondo, tenero, da cartone animato per bambini. Gli umani invece sono realistici, cupi, con espressioni tese e ambienti grigi. Questo contrasto visivo crea un effetto straniante: sembra di assistere a una storia per l’infanzia, mentre in realtà ci troviamo immersi in un racconto profondamente adulto. È come se il mondo ovattato di Takopi venisse lentamente inghiottito da una realtà buia che lo sovrasta e lo confonde. Gadget e grafica non sono dunque semplici elementi estetici, ma diventano strumenti narrativi, mostrandoci quanto sia difficile affrontare il dolore, quanto sia facile volerlo cancellare, e quanto sia pericoloso farlo senza comprenderlo.
L’animazione contribuisce a sottolineare la drammaticità degli eventi e le paure dei personaggi. Lo stile visivo è graffiante, nervoso, con tratti aggressivi che amplificano il senso di tensione e fragilità. In alcuni momenti, le linee si fanno spigolose, i tratti si allungano, le figure si deformano. È una scelta stilistica che non cerca la bellezza, ma l’impatto emotivo. Emblematico è il modo in cui viene rappresentato il fratello di Azuma: la sua figura viene distorta, resa minacciosa, quasi mostruosa. Non perché lo sia davvero, ma perché così lo percepisce in quel momento Azuma, travolto dalle sue paure. È una sequenza che ci mostra come l’animazione possa diventare linguaggio psicologico, capace di dare forma all’invisibile.
Anche il comparto sonoro gioca un ruolo fondamentale. Qui le melodie dolci e giocose si alternano a tracce cupe e dissonanti, riflettendo perfettamente il tono mutevole della serie. La musica non accompagna semplicemente la storia, ma l'amplifica, la contraddice, la rende più profonda. È come se fosse la voce interiore dei personaggi, soprattutto di Takopi, che non riesce a esprimere a parole la sua confusione.
Merita attenzione anche l’opening che contribuisce a questo gioco di contrasti: la melodia e la grafica evocano le sigle di anime leggeri e spensierati, quasi da palinsesto pomeridiano per bambini. È un’introduzione che ci coglie in contropiede, facendoci credere di essere davanti a una storia leggera. Ma proprio questa dissonanza iniziale (tra ciò che vediamo e ciò che ci aspetta) sembra voluta, come se l’opera volesse metterci subito in uno stato di vulnerabilità. È un altro modo, sottile ed efficace, per raccontare quanto sia facile confondere la superficie con la profondità.
Tornando ai rimandi di natura religiosa, ma senza entrare nei dettagli, è difficile non cogliere nel percorso di Takopi un richiamo a figure spirituali. La sua missione (portare felicità a chi soffre) nasce da un intento puro, quasi angelico, ma il viaggio sulla Terra lo costringe a confrontarsi con il dolore, la complessità, l’ambiguità dell’animo umano. In questo ricorda Siddharta, che lascia il palazzo per conoscere la sofferenza del mondo.
E il gesto finale, compiuto per amore e senza riserve, ha qualcosa di profondamente cristico: non più semplice aiuto, ma dono totale, rinuncia, compassione assoluta.
Non è dunque solo una storia di crescita, ma di trasformazione interiore, e forse, proprio lì, si nasconde la vera illuminazione…
Durante la visione si è portati a pensare, con un certo dolore, che la violenza generi altra violenza (come un’eco che rimbalza da un cuore all’altro) senza spiragli di luce, senza soluzioni facili né redenzioni miracolose. Solo la consapevolezza che il dolore non si cancella, ma si attraversa.
Non c’è speranza, dunque?
O forse la speranza non risiede nel lieto fine, ma nella nostra capacità di guardare il dolore negli occhi, di scegliere ogni volta di non voltarsi altrove.
Guardare il dolore negli occhi significa anche riconoscerlo nei volti che ci somigliano, nei gesti che ci appartengono, nelle ferite che, in fondo, non sono mai solo degli altri…
Ogni personaggio in questa storia porta una ferita diversa, e chi guarda può riconoscersi in ognuno di loro.
Personalmente (e paradossalmente) mi sono rivista proprio in Takopi: nella sua fiducia genuina verso il prossimo, e nella sua incapacità di comprendere e reagire alla violenza.
Credo sia questo uno dei motivi per cui questa storia mi ha toccata così profondamente.
Concludendo, consiglio caldamente questa serie a chi cerca un’opera impattante, dai contenuti forti e realistici, capace di lasciare il segno e di indurre una riflessione autentica.
Agli animi più sensibili (o a chi ha vissuto esperienze simili) suggerisco di prepararsi emotivamente: non è una visione facile, ma proprio per questo può diventare profondamente significativa.
Attenzione: la recensione contiene spoiler
“Si deve essere in due per scoprire la verità: uno che la esprime e un altro che la comprenda” (K. Gibran)
"Takopi's Original Sin" ha rappresentato una vera sorpresa: non ho letto il manga, ma la sua trasposizione in animazione è stata sufficiente a farmi comprendere che, nella pletora di offerta di anime troppo spesso molto simili e alquanto superficiali, ne esistono alcuni che hanno ancora il coraggio di affrontare temi "scomodi" in modo stimolante e metaforico, anche a prezzo di risultare indigesti, disagevoli o disturbanti.
A riguardo di "Takopi's Original Sin" (d'ora in poi "TOS") potrei esprimere qualche appunto meramente personale sulle modalità scelte per la rappresentazione e la sceneggiatura, ma devo riconoscere in positivo che la sua originalità dolorosa consiste nell'accostamento di eventi traumatici e brutali considerati dal punto di vista della ingenuità fanciullesca e della sua incapacità di comprenderne i motivi e le ragioni, fino alla ineluttabilità delle estreme conseguenze.
"TOS" nasce da un’idea tanto semplice quanto spiazzante: un piccolo alieno rosa, Takopi, arriva sulla Terra dal Pianeta della Felicità con l’intento di “diffondere gioia” grazie ai suoi strumenti magici. Il suo modo di esprimersi sembra quello di un bambino, ma anche la sua capacità di comprensione di ciò che gli accade e osserva del nuovo mondo in cui è arrivato. L’incontro con Shizuka, una bambina di nove anni dall'aria perennemente mesta, ma di buon cuore perché gli offre del cibo ricevuto a scuola alla mensa, segna l’inizio di una sorta di dramma kafkiano costruito su situazioni angoscianti, paradossali, in cui Takopi, nonostante l'impegno profuso per risolvere i problemi delle protagoniste Shizuka e Marina, rimane incapace di comprenderli o di reagire in modo efficace, rimanendo ancorato a un senso di disorientamento e impotenza. Man mano che la trama procede, lo spettatore sprofonda in una sorta di downward spiral, un calvario emotivo con i protagonisti della serie che trasforma suo malgrado l'aiutante "magico” in un vero e proprio catalizzatore di tragedie, di cui progressivamente acquista la consapevolezza.
In soli sei episodi "TOS" non si limita a raccontare una storia di dolore e sofferenza, ma ne esalta senza particolari filtri e in modo "oggettivo" gli aspetti più brutali, costringendo lo spettatore ad osservare con gli occhi della fanciullezza il lato, purtroppo nemmeno troppo, oscuro dell’infanzia.
Utilizzo di elementi fantastici (viaggi nel tempo, mondi alternativi, creature aliene) per narrare e amplificare il dramma umano
Takopi è il protagonista che rappresenta la metafora della fanciullezza non ancora violata. Il suo aspetto buffo, puccioso, e la sua sconfinata ingenuità, lo rendono un essere/entità non coerente con il contesto in cui si sviluppa la vicenda. Lui se ne accorgerà man mano a forza di errori, nei goffi tentativi di porre rimedio al bullismo, alla violenza e alla sofferenza patite dalle due protagoniste Shizuka e Marina, e alle aspettative altissime dei genitori del loro compagno di classe Naoki.
Takopi ricorda Doraemon in un contesto molto diverso, in cui il primo non riesce a risolvere i problemi di Shizuka o di Marina con la sua magia. Sebbene animate da buone intenzioni, le sue azioni portano inesorabilmente a conseguenze peggiorative della situazione che intendeva risolvere con la sua weltanshauung pura e candida.
Nella spasmodica ricerca di fare la cosa giusta, Takopi ha a disposizione la possibilità di viaggiare nel tempo, per modificare il futuro e risolvere i problemi delle ragazze cui si è affezionato. Eppure, come in "Steins;Gate", pur creando linee temporali alternative, ottiene solo ed esclusivamente fallimenti, a comprova che anche dei piccoli cambiamenti possono avere effetti devastanti o salvifici a seconda del punto di vista. E sembra pleonastico evidenziare che i fallimenti non sembrano altro che una metafora che ogni scelta ha un peso e ogni dolore può essere ancora vissuto e non sempre evitato, e, in ultima battuta, che "non puoi tornare indietro e cambiare l’inizio, ma puoi iniziare dove sei e cambiare il finale" (C.S Lewis).
Tuttavia, questo aspetto fantasy/fantascientifico della serie è quello che mi ha convinto meno: la contrapposizione tra argomenti piuttosto duri, brutali e stile fiabesco/fanciullesco mi è sembrata più una soluzione di comodo per facilitare lo sviluppo della narrazione piuttosto che attraverso la costruzione di personaggi più sfaccettati e meno polarizzati, anche e soprattutto del mondo adulto.
Rappresentazione del dolore infantile senza edulcorarlo: il dramma della solitudine
Il bullismo in "TOS" è a tratti brutale e sempre realistico nella sua realizzazione ad opera di ragazzini. Non ci sono eroi salvifici, e nemmeno Takopi è in grado di capire il dolore e lo smarrimento dei fanciulli. Certe scene sono rasoiate che fendono e tagliano anche solo sfiorando, e le ferite bruciano tantissimo.
La disperazione e il dolore che si consumano nel silenzio sono asfissianti e opprimenti, e mettono lo spettatore di fronte all'ipocrisia profonda della realtà che i ragazzi non sono in grado di comprendere e superare, ma solo di subire fino a soccombere, nel caso di soggetti più deboli e soli. È piuttosto facile individuare i collegamenti con i numerosi episodi di cronaca sui soprusi perpetrati su bambini, ragazzi soli o semplicemente persone sole e in apparenza deboli e isolate.
Al di là degli atti di sopruso, odio o cattiveria gratuita, quello che colpisce nelle storie di Shizuka, Marina, e anche in un certo senso di Naoki, è la solitudine generata in situazioni e ambienti completamente diversi. Solitudine che si manifesta sia a livello fisico (Shizuka) sia a livello psicologico (Marina, ma anche Naoki), che portano i tre protagonisti a dover compiere scelte e azioni frutto della loro immaturità completamente sbagliate, perché non supportati da alcun sostegno familiare. E la loro personalità si sviluppa in modo incontrollato e senza freni inibitori, fino a diventare dei cloni in negativo degli adulti che dovrebbero essere il loro riferimento, ripetendo e peggiorando i loro errori.
Critica dell’assenza e dell’inadeguatezza degli adulti e della società
Uno degli aspetti più facilmente individuabili dell’opera e che colpisce lo spettatore è l’indifferenza, il cinismo e l'incapacità di gestione dei ragazzi da parte degli adulti. Figli che sembrano più degli incidenti di percorso su cui scaricare le proprie frustrazioni e fallimenti affettivi e di realizzazione personale. Adulti che non sembrano mai diventati tali e che, non essendolo, mascherano le loro profonde lacune di struttura con l'assenza emotiva. Nessuno si salva: gli adulti non vedono, non ascoltano, non intervengono, ma parlano e agiscono solo perché a loro volta vogliono essere ascoltati per i loro problemi. Peccato che agiscono nei confronti dei soggetti più esposti e indifesi, quelli che non possono reagire...
Sotto questo aspetto "TOS" fa pieno centro, ma presenta il limite di polarizzare in eccesso ai fini di trama le carenze adulte, e non solo di quelli che sono vicini ai protagonisti della serie, ma di tutto l'universo dei grandi. Se di Shizuka e di Marina viene tracciato un quadro sfaccettato, in cui entrambe vestono i ruoli di boia e vittima, gli adulti (ove appaiono) sono monodimensionali e irreali (la madre di Naoki e il suo culto dell'eccellenza del figlio maggiore ne è l'esempio).
Riflessione sulla responsabilità, sulle aspettative tradite e il bisogno di essere considerati
Il tema dell’innocenza perduta è particolarmente evidente in "TOS", ed è trattato sostanzialmente con l'evidenziazione di tutto ciò che non va fatto o omesso nei loro confronti. Se i loro bisogni di attenzione, affetto, comprensione sono ignorati, la realtà ai loro occhi appare come ostile, e li costringe a trovare in surrogati alternativi delle figure di riferimento (come un goffo essere alieno o un cane).
"TOS" è una rappresentazione di quanto la fanciullezza possa diventare una colpa da espiare e una sorta di incubo senza fine e senza speranza, in cui l'unica via di uscita sembra quella estrema del concludere anzitempo l'esistenza. E la responsabilità non è imputabile ai bambini...
Il peccato originale di Takopi
Il titolo della serie è stimolante, perché quale colpa potrà mai essere attribuita all'alieno nei suoi tentativi di porre rimedio alle sofferenze delle protagoniste? Forse potrei sostenere che ha una semplice responsabilità: quella di non aver compreso la verità, che, come al solito, è sempre più complessa e sfaccettata di quanto possa apparire prima facie.
Quando riesce ad avvicinarsi ad essa, compie il gesto melodrammatico di una purezza estrema: il suo sacrificio. Pur essendo stato testimone di profonde nefandezze umane, ne ha compreso l'essenza, dopo aver compiuto svariati errori anche non risolvibili, cui ha posto rimedio con i suoi poteri.
Il finale sa un po'di deus ex machina ma dà adito al classico messaggio di speranza che lo spettatore si attende come un lenitivo dopo tutte le brutture e tragedie cui ha assistito. In fondo, a Shizuka e Marina sarebbe bastato comprendere la reale causa delle loro sofferenze, ma il percorso di crescita richiede tempo e affrontare le più svariate esperienze positive e negative, ossia tutto quanto sia profondamente umano ma anche tragicamente doloroso e significativo.
“Si deve essere in due per scoprire la verità: uno che la esprime e un altro che la comprenda” (K. Gibran)
"Takopi's Original Sin" ha rappresentato una vera sorpresa: non ho letto il manga, ma la sua trasposizione in animazione è stata sufficiente a farmi comprendere che, nella pletora di offerta di anime troppo spesso molto simili e alquanto superficiali, ne esistono alcuni che hanno ancora il coraggio di affrontare temi "scomodi" in modo stimolante e metaforico, anche a prezzo di risultare indigesti, disagevoli o disturbanti.
A riguardo di "Takopi's Original Sin" (d'ora in poi "TOS") potrei esprimere qualche appunto meramente personale sulle modalità scelte per la rappresentazione e la sceneggiatura, ma devo riconoscere in positivo che la sua originalità dolorosa consiste nell'accostamento di eventi traumatici e brutali considerati dal punto di vista della ingenuità fanciullesca e della sua incapacità di comprenderne i motivi e le ragioni, fino alla ineluttabilità delle estreme conseguenze.
"TOS" nasce da un’idea tanto semplice quanto spiazzante: un piccolo alieno rosa, Takopi, arriva sulla Terra dal Pianeta della Felicità con l’intento di “diffondere gioia” grazie ai suoi strumenti magici. Il suo modo di esprimersi sembra quello di un bambino, ma anche la sua capacità di comprensione di ciò che gli accade e osserva del nuovo mondo in cui è arrivato. L’incontro con Shizuka, una bambina di nove anni dall'aria perennemente mesta, ma di buon cuore perché gli offre del cibo ricevuto a scuola alla mensa, segna l’inizio di una sorta di dramma kafkiano costruito su situazioni angoscianti, paradossali, in cui Takopi, nonostante l'impegno profuso per risolvere i problemi delle protagoniste Shizuka e Marina, rimane incapace di comprenderli o di reagire in modo efficace, rimanendo ancorato a un senso di disorientamento e impotenza. Man mano che la trama procede, lo spettatore sprofonda in una sorta di downward spiral, un calvario emotivo con i protagonisti della serie che trasforma suo malgrado l'aiutante "magico” in un vero e proprio catalizzatore di tragedie, di cui progressivamente acquista la consapevolezza.
In soli sei episodi "TOS" non si limita a raccontare una storia di dolore e sofferenza, ma ne esalta senza particolari filtri e in modo "oggettivo" gli aspetti più brutali, costringendo lo spettatore ad osservare con gli occhi della fanciullezza il lato, purtroppo nemmeno troppo, oscuro dell’infanzia.
Utilizzo di elementi fantastici (viaggi nel tempo, mondi alternativi, creature aliene) per narrare e amplificare il dramma umano
Takopi è il protagonista che rappresenta la metafora della fanciullezza non ancora violata. Il suo aspetto buffo, puccioso, e la sua sconfinata ingenuità, lo rendono un essere/entità non coerente con il contesto in cui si sviluppa la vicenda. Lui se ne accorgerà man mano a forza di errori, nei goffi tentativi di porre rimedio al bullismo, alla violenza e alla sofferenza patite dalle due protagoniste Shizuka e Marina, e alle aspettative altissime dei genitori del loro compagno di classe Naoki.
Takopi ricorda Doraemon in un contesto molto diverso, in cui il primo non riesce a risolvere i problemi di Shizuka o di Marina con la sua magia. Sebbene animate da buone intenzioni, le sue azioni portano inesorabilmente a conseguenze peggiorative della situazione che intendeva risolvere con la sua weltanshauung pura e candida.
Nella spasmodica ricerca di fare la cosa giusta, Takopi ha a disposizione la possibilità di viaggiare nel tempo, per modificare il futuro e risolvere i problemi delle ragazze cui si è affezionato. Eppure, come in "Steins;Gate", pur creando linee temporali alternative, ottiene solo ed esclusivamente fallimenti, a comprova che anche dei piccoli cambiamenti possono avere effetti devastanti o salvifici a seconda del punto di vista. E sembra pleonastico evidenziare che i fallimenti non sembrano altro che una metafora che ogni scelta ha un peso e ogni dolore può essere ancora vissuto e non sempre evitato, e, in ultima battuta, che "non puoi tornare indietro e cambiare l’inizio, ma puoi iniziare dove sei e cambiare il finale" (C.S Lewis).
Tuttavia, questo aspetto fantasy/fantascientifico della serie è quello che mi ha convinto meno: la contrapposizione tra argomenti piuttosto duri, brutali e stile fiabesco/fanciullesco mi è sembrata più una soluzione di comodo per facilitare lo sviluppo della narrazione piuttosto che attraverso la costruzione di personaggi più sfaccettati e meno polarizzati, anche e soprattutto del mondo adulto.
Rappresentazione del dolore infantile senza edulcorarlo: il dramma della solitudine
Il bullismo in "TOS" è a tratti brutale e sempre realistico nella sua realizzazione ad opera di ragazzini. Non ci sono eroi salvifici, e nemmeno Takopi è in grado di capire il dolore e lo smarrimento dei fanciulli. Certe scene sono rasoiate che fendono e tagliano anche solo sfiorando, e le ferite bruciano tantissimo.
La disperazione e il dolore che si consumano nel silenzio sono asfissianti e opprimenti, e mettono lo spettatore di fronte all'ipocrisia profonda della realtà che i ragazzi non sono in grado di comprendere e superare, ma solo di subire fino a soccombere, nel caso di soggetti più deboli e soli. È piuttosto facile individuare i collegamenti con i numerosi episodi di cronaca sui soprusi perpetrati su bambini, ragazzi soli o semplicemente persone sole e in apparenza deboli e isolate.
Al di là degli atti di sopruso, odio o cattiveria gratuita, quello che colpisce nelle storie di Shizuka, Marina, e anche in un certo senso di Naoki, è la solitudine generata in situazioni e ambienti completamente diversi. Solitudine che si manifesta sia a livello fisico (Shizuka) sia a livello psicologico (Marina, ma anche Naoki), che portano i tre protagonisti a dover compiere scelte e azioni frutto della loro immaturità completamente sbagliate, perché non supportati da alcun sostegno familiare. E la loro personalità si sviluppa in modo incontrollato e senza freni inibitori, fino a diventare dei cloni in negativo degli adulti che dovrebbero essere il loro riferimento, ripetendo e peggiorando i loro errori.
Critica dell’assenza e dell’inadeguatezza degli adulti e della società
Uno degli aspetti più facilmente individuabili dell’opera e che colpisce lo spettatore è l’indifferenza, il cinismo e l'incapacità di gestione dei ragazzi da parte degli adulti. Figli che sembrano più degli incidenti di percorso su cui scaricare le proprie frustrazioni e fallimenti affettivi e di realizzazione personale. Adulti che non sembrano mai diventati tali e che, non essendolo, mascherano le loro profonde lacune di struttura con l'assenza emotiva. Nessuno si salva: gli adulti non vedono, non ascoltano, non intervengono, ma parlano e agiscono solo perché a loro volta vogliono essere ascoltati per i loro problemi. Peccato che agiscono nei confronti dei soggetti più esposti e indifesi, quelli che non possono reagire...
Sotto questo aspetto "TOS" fa pieno centro, ma presenta il limite di polarizzare in eccesso ai fini di trama le carenze adulte, e non solo di quelli che sono vicini ai protagonisti della serie, ma di tutto l'universo dei grandi. Se di Shizuka e di Marina viene tracciato un quadro sfaccettato, in cui entrambe vestono i ruoli di boia e vittima, gli adulti (ove appaiono) sono monodimensionali e irreali (la madre di Naoki e il suo culto dell'eccellenza del figlio maggiore ne è l'esempio).
Riflessione sulla responsabilità, sulle aspettative tradite e il bisogno di essere considerati
Il tema dell’innocenza perduta è particolarmente evidente in "TOS", ed è trattato sostanzialmente con l'evidenziazione di tutto ciò che non va fatto o omesso nei loro confronti. Se i loro bisogni di attenzione, affetto, comprensione sono ignorati, la realtà ai loro occhi appare come ostile, e li costringe a trovare in surrogati alternativi delle figure di riferimento (come un goffo essere alieno o un cane).
"TOS" è una rappresentazione di quanto la fanciullezza possa diventare una colpa da espiare e una sorta di incubo senza fine e senza speranza, in cui l'unica via di uscita sembra quella estrema del concludere anzitempo l'esistenza. E la responsabilità non è imputabile ai bambini...
Il peccato originale di Takopi
Il titolo della serie è stimolante, perché quale colpa potrà mai essere attribuita all'alieno nei suoi tentativi di porre rimedio alle sofferenze delle protagoniste? Forse potrei sostenere che ha una semplice responsabilità: quella di non aver compreso la verità, che, come al solito, è sempre più complessa e sfaccettata di quanto possa apparire prima facie.
Quando riesce ad avvicinarsi ad essa, compie il gesto melodrammatico di una purezza estrema: il suo sacrificio. Pur essendo stato testimone di profonde nefandezze umane, ne ha compreso l'essenza, dopo aver compiuto svariati errori anche non risolvibili, cui ha posto rimedio con i suoi poteri.
Il finale sa un po'di deus ex machina ma dà adito al classico messaggio di speranza che lo spettatore si attende come un lenitivo dopo tutte le brutture e tragedie cui ha assistito. In fondo, a Shizuka e Marina sarebbe bastato comprendere la reale causa delle loro sofferenze, ma il percorso di crescita richiede tempo e affrontare le più svariate esperienze positive e negative, ossia tutto quanto sia profondamente umano ma anche tragicamente doloroso e significativo.
Quando ho finito di vedere questo anime, mi sono trovato a vivere uno stato di confusione, misto a emozione, misto a rabbia, misto a scoraggiamento, misto a... tutto il resto. Questo perché "Takopi's Original Sin" è una di quelle opere che non puoi giudicare se prima non la metabolizzi come si deve. Io, ad esempio, per scrivere questa recensione, ho avuto bisogno di almeno una settimana per smaltire il tutto. A distanza di giorni, continuavo a pensare alla serie, al fatto che potessi parlarne su AnimeClick.it o meno, ma non mi sentivo ancora pronto a buttare su un testo tutti i miei pensieri verso questa mini-serie. Poi, ho preso coraggio e mi sono detto: "Bene, forse ci siamo". E quindi, eccoci qui. Ce l'abbiamo fatta. Finalmente.
Partiamo dal presupposto che "Takopi's Original Sin", se si potesse descrivere con solo una parola, potrebbe essere "coraggioso". Coraggioso nel trattare in modo diretto e senza alcun filtro tematiche attualissime e decisamente non di poco conto, come il suicidio, la violenza domestica, il senso di inferiorità nei confronti dei propri fratelli e tanto, tanto altro. Forse è questo il suo punto di forza, che la rende cruda e realistica allo stesso tempo, ed è proprio ciò che mi ha spinto a cominciare a guardarla, dato che, da grande appassionato di storie drammatiche e filosofiche, sono alla costante ricerca di qualcosa che mi colpisca forte e mi scuota emotivamente. Ecco, sotto questo punto di vista, l'opera è riuscita nel suo intento di farmi capire e di fare capire al pubblico che i bambini (ma anche gli adulti, ricordiamocelo) possono essere vittime di atrocità che li segnano per sempre. Penso che siano pochissime le opere su questo filone.
Forse, a causa della sua palpabile crudeltà, la serietà viene un attimo smorzata dalla presenza "pucciosa" di Takopi, che rende l'opera leggermente più fruibile e permette allo spettatore di immergersi in una realtà sì drammatica, ma che garantisce comunque un attimo di respiro. Questa (chiamiamola così) "strategia letteraria" mi è piaciuta, onestamente. Non so se sia stata voluta dall'editore o dall'autore del manga, ma funziona proprio per questo. Takopi si fa portavoce di quello che potrebbe essere il nostro spirito di sopravvivenza, quella vocina interiore che non riusciamo ad ascoltare quando raggiungiamo livelli tali di demoralizzazione, che non vediamo nessuna via d'uscita.
Un altro punto di forza della storia? La profonda caratterizzazione dei personaggi principali della storia: Marina, Naoki e Shizuka, i tre bambini protagonisti di questo racconto, che vivono delle esperienze al limite del disumano che li spingono a compiere, a loro volta, delle azioni disumane. Il dolore di un trauma ti segna per sempre, soprattutto se lo vivi da bambino. Sembra quasi, quello dell'autore, un monito all'umanità, raccontando una storia che può essere letta in modo universale: i tre ragazzi vivono in Giappone, ma la storia potrebbe essere benissimo ambientata ovunque. Siamo umani, facciamo cose umane. E, ahimè, non sempre le nostre sono azioni belle. Il contrasto che ho adorato è stato proprio quello tra bambini (traumatizzati) e genitori (cause dei traumi), dove si vedono proprio delle figure agli antipodi: gli adulti non sono per nulla delle figure positive e amorevoli e, anzi, crescono i propri figli nella paura, nella minaccia costante che, se non si viene fatto qualcosa per compiacerli (anche se, il più delle volte, neanche questo è sufficiente), possono trasformarsi in demoni che non si fanno certo problemi a aggredirli verbalmente e fisicamente.
Vi starete chiedendo qual è il motivo del perché ho deciso di mettere 6 a quest'opera. Una sufficienza risicata e non un alto voto con lode. Chi legge le mie recensioni sa che mi piace partire dagli aspetti positivi, per poi analizzare quelli negativi. Ecco, la spiegazione di questo voto basso è molto semplice: a partire dal terzo episodio, "Takopi's Original Sin" diventa un'opera quasi irriconoscibile da quella vista nei primi due episodi. Ci sono cambi repentini di atteggiamento da parte dei protagonisti, ci sono decisioni prese a caso, ci sono scoperte dell'ultimo minuto... e, come spettatore, è impossibile non trovarsi a pensare: "Ma perché non ci hanno pensato prima?", oppure "Ma era proprio necessaria questa cosa?". Non mi è possibile farvi degli spoiler, però, seppur il registro si mantenga sempre drammatico, si rimane particolarmente disorientati da quello che si sta guardando. L'opera inizia a partire per la tangente, a fare voli pindarici e viaggi nel tempo che non stanno né in cielo né in terra... fino al "lieto" fine: a mio parere, una cosa patetica ai limiti dell'indecenza. Si cerca in qualche modo di mettere una toppa, ma, secondo me, senza un vero e proprio risultato soddisfacente che, invece, si tramuta in cocente delusione. La mia valutazione, infatti, è stata: episodi 1-2, pollice verde, episodio 3, pollice verde tendente al giallo, episodio 4, pollice giallo, episodi 5-6, pollice rosso. Capite bene come un'opera che comincia in pompa magna e che ti lascia sbalordito, quando scende di qualità, diventa solo un'opera come tutte le altre. Ed è, duole dirlo, quello che è successo a me. Quest'opera non ha mantenuto le promesse fatte nelle... premesse (gioco di parole voluto).
Conclusioni: ritorniamo al "coraggio" di "Takopi's Original Sin". Come già ribadito, ho visto poche, pochissime opere che sanno trattare in modo così diretto e realistico tematiche umane, e, sicuramente, questo è il suo più grande pregio. Ti fa riflettere, ti lascia un groppo in gola, ti fa empatizzare con i protagonisti e ti fa indignare. Sotto questo punto di vista, ha decisamente fatto centro... su tutto il resto, invece, no. Ha toppato. E anche molto, molto male, a mio parere. Naturalmente, prendete con le pinze la mia opinione, sono solo uno dei tanti che ha visto questa serie e sta esprimendo il suo pensiero.
P.S. Inutile dire questa cosa, ma meglio rimarcarlo come chiusura definitiva: non guardate l'opera se state passando un periodo negativo della vostra vita. Chiedete aiuto, non siete soli. Anche quando tutto sembrerà nero, la luce si troverà.
Firmato, una persona che vi vuole bene
Partiamo dal presupposto che "Takopi's Original Sin", se si potesse descrivere con solo una parola, potrebbe essere "coraggioso". Coraggioso nel trattare in modo diretto e senza alcun filtro tematiche attualissime e decisamente non di poco conto, come il suicidio, la violenza domestica, il senso di inferiorità nei confronti dei propri fratelli e tanto, tanto altro. Forse è questo il suo punto di forza, che la rende cruda e realistica allo stesso tempo, ed è proprio ciò che mi ha spinto a cominciare a guardarla, dato che, da grande appassionato di storie drammatiche e filosofiche, sono alla costante ricerca di qualcosa che mi colpisca forte e mi scuota emotivamente. Ecco, sotto questo punto di vista, l'opera è riuscita nel suo intento di farmi capire e di fare capire al pubblico che i bambini (ma anche gli adulti, ricordiamocelo) possono essere vittime di atrocità che li segnano per sempre. Penso che siano pochissime le opere su questo filone.
Forse, a causa della sua palpabile crudeltà, la serietà viene un attimo smorzata dalla presenza "pucciosa" di Takopi, che rende l'opera leggermente più fruibile e permette allo spettatore di immergersi in una realtà sì drammatica, ma che garantisce comunque un attimo di respiro. Questa (chiamiamola così) "strategia letteraria" mi è piaciuta, onestamente. Non so se sia stata voluta dall'editore o dall'autore del manga, ma funziona proprio per questo. Takopi si fa portavoce di quello che potrebbe essere il nostro spirito di sopravvivenza, quella vocina interiore che non riusciamo ad ascoltare quando raggiungiamo livelli tali di demoralizzazione, che non vediamo nessuna via d'uscita.
Un altro punto di forza della storia? La profonda caratterizzazione dei personaggi principali della storia: Marina, Naoki e Shizuka, i tre bambini protagonisti di questo racconto, che vivono delle esperienze al limite del disumano che li spingono a compiere, a loro volta, delle azioni disumane. Il dolore di un trauma ti segna per sempre, soprattutto se lo vivi da bambino. Sembra quasi, quello dell'autore, un monito all'umanità, raccontando una storia che può essere letta in modo universale: i tre ragazzi vivono in Giappone, ma la storia potrebbe essere benissimo ambientata ovunque. Siamo umani, facciamo cose umane. E, ahimè, non sempre le nostre sono azioni belle. Il contrasto che ho adorato è stato proprio quello tra bambini (traumatizzati) e genitori (cause dei traumi), dove si vedono proprio delle figure agli antipodi: gli adulti non sono per nulla delle figure positive e amorevoli e, anzi, crescono i propri figli nella paura, nella minaccia costante che, se non si viene fatto qualcosa per compiacerli (anche se, il più delle volte, neanche questo è sufficiente), possono trasformarsi in demoni che non si fanno certo problemi a aggredirli verbalmente e fisicamente.
Vi starete chiedendo qual è il motivo del perché ho deciso di mettere 6 a quest'opera. Una sufficienza risicata e non un alto voto con lode. Chi legge le mie recensioni sa che mi piace partire dagli aspetti positivi, per poi analizzare quelli negativi. Ecco, la spiegazione di questo voto basso è molto semplice: a partire dal terzo episodio, "Takopi's Original Sin" diventa un'opera quasi irriconoscibile da quella vista nei primi due episodi. Ci sono cambi repentini di atteggiamento da parte dei protagonisti, ci sono decisioni prese a caso, ci sono scoperte dell'ultimo minuto... e, come spettatore, è impossibile non trovarsi a pensare: "Ma perché non ci hanno pensato prima?", oppure "Ma era proprio necessaria questa cosa?". Non mi è possibile farvi degli spoiler, però, seppur il registro si mantenga sempre drammatico, si rimane particolarmente disorientati da quello che si sta guardando. L'opera inizia a partire per la tangente, a fare voli pindarici e viaggi nel tempo che non stanno né in cielo né in terra... fino al "lieto" fine: a mio parere, una cosa patetica ai limiti dell'indecenza. Si cerca in qualche modo di mettere una toppa, ma, secondo me, senza un vero e proprio risultato soddisfacente che, invece, si tramuta in cocente delusione. La mia valutazione, infatti, è stata: episodi 1-2, pollice verde, episodio 3, pollice verde tendente al giallo, episodio 4, pollice giallo, episodi 5-6, pollice rosso. Capite bene come un'opera che comincia in pompa magna e che ti lascia sbalordito, quando scende di qualità, diventa solo un'opera come tutte le altre. Ed è, duole dirlo, quello che è successo a me. Quest'opera non ha mantenuto le promesse fatte nelle... premesse (gioco di parole voluto).
Conclusioni: ritorniamo al "coraggio" di "Takopi's Original Sin". Come già ribadito, ho visto poche, pochissime opere che sanno trattare in modo così diretto e realistico tematiche umane, e, sicuramente, questo è il suo più grande pregio. Ti fa riflettere, ti lascia un groppo in gola, ti fa empatizzare con i protagonisti e ti fa indignare. Sotto questo punto di vista, ha decisamente fatto centro... su tutto il resto, invece, no. Ha toppato. E anche molto, molto male, a mio parere. Naturalmente, prendete con le pinze la mia opinione, sono solo uno dei tanti che ha visto questa serie e sta esprimendo il suo pensiero.
P.S. Inutile dire questa cosa, ma meglio rimarcarlo come chiusura definitiva: non guardate l'opera se state passando un periodo negativo della vostra vita. Chiedete aiuto, non siete soli. Anche quando tutto sembrerà nero, la luce si troverà.
Firmato, una persona che vi vuole bene
Una premessa sulla serie: tratta dei temi estremamente pesanti e, almeno all'inizio, in modo molto crudo. Questo non lo considero assolutamente un difetto, ma rende la serie "non per tutti".
Ora, i primi tre episodi sono fantastici, migliorano sempre di più andando avanti (non la situazione dei protagonisti, quella degenera costantemente), e Takopi passa dall'essere l'elemento "debole" della serie a diventarne la cosa migliore. La scena finale di Takopi nel terzo episodio è di un impatto e di una scrittura incredibile. E allora perché do 4,5 alla serie? Eh, perché dopo il terzo episodio ci sono gli episodi quattro, cinque... e sei.
Il quarto e il quinto sarebbero salvabili, se avessero speso meno tempo dell'episodio 4 a ripeterci informazioni che già si sapevamo e al loro posto davano qualche dettaglio in più; sarebbe comunque stato poco, ma avrebbe migliorato la situazione (l'ideale sarebbe stato aggiungere un episodio, ma, a meno che non sono state tagliate delle scene rispetto al manga, il problema sta proprio in quanto scritto dall'autore); uno dei punti positivi dei primi episodi era come anche i personaggi "cattivi" venivano descritti come "grigi", e quelli totalmente negativi erano semplicemente poco approfonditi... credevo appunto che ne avrebbero parlato nel resto della serie. Beh, no, nella seconda metà i cattivi sono tutti marci fino al midollo, e non vengono mai approfonditi. Molte scene succedono "perché sì" e il colpo di scena dell'episodio 5 è così tanto 'rushato', che sembra irrilevante. E poi c'è il finale... Non voglio 'spoilerare', ma credo che sia il peggior finale possibile (a livello di coerenza narrativa) e dà il colpo di grazia alla serie: succedono così tante cose comode e senza senso... E il doppio deus ex machina finale...
Voglio anche parlare un secondo dell'aspetto tecnico della serie: ho sentito qualcuno elogiare le animazioni, ed effettivamente molte parti sono belle e i personaggi principali delle scene sono molto fluidi nei movimenti. Ma gli elementi secondari sono orribili, ci sono elementi di scena che si muovono a due frame al secondo, e si nota. E poi le lucette... Cavolo, se le ho odiate, che senso ha riempire delle scene emotive di luci a caso? In una scena emotiva gli elementi importanti sono tre: voice acting, scrittura e musica, il resto è secondario. Per me quelle lucette distraggono dal focus emotivo delle scene, perché lo spettatore sta lì a chiedersi: "Ma che è 'sta roba a schermo?" Le tre persone con cui ho visto la serie tutte erano concordi su questo punto, e ci sarà un motivo. A un certo punto c'è pure lo scontro tra le luci belle di Takopi e le luci oscure di un personaggio...
Ora, i primi tre episodi sono fantastici, migliorano sempre di più andando avanti (non la situazione dei protagonisti, quella degenera costantemente), e Takopi passa dall'essere l'elemento "debole" della serie a diventarne la cosa migliore. La scena finale di Takopi nel terzo episodio è di un impatto e di una scrittura incredibile. E allora perché do 4,5 alla serie? Eh, perché dopo il terzo episodio ci sono gli episodi quattro, cinque... e sei.
Il quarto e il quinto sarebbero salvabili, se avessero speso meno tempo dell'episodio 4 a ripeterci informazioni che già si sapevamo e al loro posto davano qualche dettaglio in più; sarebbe comunque stato poco, ma avrebbe migliorato la situazione (l'ideale sarebbe stato aggiungere un episodio, ma, a meno che non sono state tagliate delle scene rispetto al manga, il problema sta proprio in quanto scritto dall'autore); uno dei punti positivi dei primi episodi era come anche i personaggi "cattivi" venivano descritti come "grigi", e quelli totalmente negativi erano semplicemente poco approfonditi... credevo appunto che ne avrebbero parlato nel resto della serie. Beh, no, nella seconda metà i cattivi sono tutti marci fino al midollo, e non vengono mai approfonditi. Molte scene succedono "perché sì" e il colpo di scena dell'episodio 5 è così tanto 'rushato', che sembra irrilevante. E poi c'è il finale... Non voglio 'spoilerare', ma credo che sia il peggior finale possibile (a livello di coerenza narrativa) e dà il colpo di grazia alla serie: succedono così tante cose comode e senza senso... E il doppio deus ex machina finale...
Voglio anche parlare un secondo dell'aspetto tecnico della serie: ho sentito qualcuno elogiare le animazioni, ed effettivamente molte parti sono belle e i personaggi principali delle scene sono molto fluidi nei movimenti. Ma gli elementi secondari sono orribili, ci sono elementi di scena che si muovono a due frame al secondo, e si nota. E poi le lucette... Cavolo, se le ho odiate, che senso ha riempire delle scene emotive di luci a caso? In una scena emotiva gli elementi importanti sono tre: voice acting, scrittura e musica, il resto è secondario. Per me quelle lucette distraggono dal focus emotivo delle scene, perché lo spettatore sta lì a chiedersi: "Ma che è 'sta roba a schermo?" Le tre persone con cui ho visto la serie tutte erano concordi su questo punto, e ci sarà un motivo. A un certo punto c'è pure lo scontro tra le luci belle di Takopi e le luci oscure di un personaggio...
Che dire? Un pugno nello stomaco.
Dopo il primo episodio ero incerto sul continuare, perché il mood era "senza speranza". E se non hai speranza, è difficile andare avanti. Col secondo episodio, a sorpresa, le cose sono addirittura peggiorate. Quindi, il consiglio è: tenete duro e proseguite, perché la serie merita davvero, adatta a un pubblico adulto per i suoi contenuti forti, che stridono col polpetto rosa puccioso e ottimista.
Le animazioni sono di ottimo livello e finale forse è un po' forzato e non del tutto in linea col carattere dei personaggi, ottimamente delineati nella prima parte e un poco confusi e forzati nella seconda.
Ma quanta solitudine e disperazione c'è nei giovani d'oggi...
Dopo il primo episodio ero incerto sul continuare, perché il mood era "senza speranza". E se non hai speranza, è difficile andare avanti. Col secondo episodio, a sorpresa, le cose sono addirittura peggiorate. Quindi, il consiglio è: tenete duro e proseguite, perché la serie merita davvero, adatta a un pubblico adulto per i suoi contenuti forti, che stridono col polpetto rosa puccioso e ottimista.
Le animazioni sono di ottimo livello e finale forse è un po' forzato e non del tutto in linea col carattere dei personaggi, ottimamente delineati nella prima parte e un poco confusi e forzati nella seconda.
Ma quanta solitudine e disperazione c'è nei giovani d'oggi...
Trama: il succo della storia è sostanzialmente seguire Takopi, un essere di natura innocente, e per questo simile ad un bambino, nelle sue disavventure con un gruppetto di bambini. Detta così, sembra la premessa di una storia leggera, ma, purtroppo, non è assolutamente adatta ai deboli di cuore.
Personaggi: premesso che a mio parere in questa storia l'obbiettivo non è pontificare sul bene o sul male, tutto sommato lo schema del cast è facile. Gli adulti rappresentano tutto ciò che c'è di corrotto nell'essere umano e i bambini ne rappresentano la flebile innocenza. Qua questi concetti sono forse rappresentati un po' in maniera estrema, ma assolutamente non irreale. Tutto sommato, adulti a parte, i personaggi hanno discreta profondità di carattere. Lo stesso Takopi ha mostrato lati che almeno all'inizio non mi sarei mai aspettato. Ah, altra cosa, ho odiato alcuni personaggi, ma come persone e non come "personaggi", penso che ognuno svolga molto bene il proprio ruolo nella storia.
Svolgimento: come scritto sopra, la trama è relativamente semplice, ma in alcune fasi (specie verso la fine) si crea un po' di confusione. Inoltre, il finale non mi ha colpito come speravo... però, ecco un gran però: non mi sono annoiato per un secondo. Questa storia è capace di lasciare increduli, e alcune scene lasciano veramente col fiato sospeso, grazie a questo non mi sono mai annoiato.
Design e animazioni: la qualità è indubbiamente alta, e nonostante lo stile a volte un po' stilizzato rimane evidente la cura nei dettagli. Gran lavoro sulle espressioni. Doppiaggio molto buono: alcuni attori, specialmente quelli degli adulti, hanno trasmesso emozioni forti.
Musiche: grottesco accostamento di musiche speranzose e quasi allegre a scene devastanti, un contrasto palesemente voluto che per me ha esaltato l'assurda crudezza di questa storia.
Personaggi: premesso che a mio parere in questa storia l'obbiettivo non è pontificare sul bene o sul male, tutto sommato lo schema del cast è facile. Gli adulti rappresentano tutto ciò che c'è di corrotto nell'essere umano e i bambini ne rappresentano la flebile innocenza. Qua questi concetti sono forse rappresentati un po' in maniera estrema, ma assolutamente non irreale. Tutto sommato, adulti a parte, i personaggi hanno discreta profondità di carattere. Lo stesso Takopi ha mostrato lati che almeno all'inizio non mi sarei mai aspettato. Ah, altra cosa, ho odiato alcuni personaggi, ma come persone e non come "personaggi", penso che ognuno svolga molto bene il proprio ruolo nella storia.
Svolgimento: come scritto sopra, la trama è relativamente semplice, ma in alcune fasi (specie verso la fine) si crea un po' di confusione. Inoltre, il finale non mi ha colpito come speravo... però, ecco un gran però: non mi sono annoiato per un secondo. Questa storia è capace di lasciare increduli, e alcune scene lasciano veramente col fiato sospeso, grazie a questo non mi sono mai annoiato.
Design e animazioni: la qualità è indubbiamente alta, e nonostante lo stile a volte un po' stilizzato rimane evidente la cura nei dettagli. Gran lavoro sulle espressioni. Doppiaggio molto buono: alcuni attori, specialmente quelli degli adulti, hanno trasmesso emozioni forti.
Musiche: grottesco accostamento di musiche speranzose e quasi allegre a scene devastanti, un contrasto palesemente voluto che per me ha esaltato l'assurda crudezza di questa storia.
Attenzione: la recensione contiene spoiler
"Takopi's Original Sin" è il campione olimpico dei 110 metri ostacoli: elegante, perfetto, poesia in movimento. Fino all'ultimo salto, dove inciampa e, dopo un capitombolo sgraziato, taglia il traguardo. Arriva primo, sì, ma non vince come avrebbe dovuto e potuto.
Questo, in sintesi, è il mio giudizio su "Takopi's Original Sin" (da qui in avanti TOS, per abbreviare). Uno degli anime della stagione, è vero, con voti altissimi. Ma che proprio sul finale incappa nel suo vero peccato: manca di coraggio. Perché la storia di TOS è una delle più crude messe in animazione negli ultimi anni, senza filtri, senza ipocrisie, così violenta da disturbare anche gli stomaci più forti. Non si risparmia mai e ci si aspetta anche il peggio del peggio a un certo punto della storia. Eppure, proprio quando dovrebbe affondare il colpo definitivo, quando dovrebbe spingere sull'acceleratore per fare quell'ultimo rettilineo, alza il piede e accosta a bordo strada.
Non mi dilungo sulla storia che l'anime racconta, il cui fulcro è Takopi, un alieno buono ma anche ingenuo che prova a influenzare positivamente le vite dei protagonisti. Di recente, qualcosa del genere si è vista in "Dead Dead Demon's Dededededestruction" con Isobeyan, una parodia di Doraemon, il prototipo dell'alieno bislacco e puccioso con i suoi gadget miracolosi. Se non che in TOS la storia è tutt'altro che all'acqua di rose.
TOS è encomiabile nel presentarci la crudele esistenza di tre giovanissimi protagonisti che vivono un'infanzia drammatica, ognuno di loro pesantemente influenzato da famiglie disfunzionali, con padri assenti e madri, ciascuna in maniera diversa, soffocanti. Un peso che non è gestibile da dei bambini che vanno alle elementari. Le liti, le violenze, le privazioni, è tutto "perfetto" nella sua brutalità.
Shizuka, Marina e Naoki sono tre anime sole, incomprese, travolte da un mondo che non sembra davvero curarsene. Che in certi casi sembra preferire non fossero mai esistite, ed è il caso di Shizuka. Mentre Marina è una spugna che assorbe gli sfoghi di una madre ormai sull'orlo del baratro psichiatrico e sfoga tutta la sua frustrazione, bullizzandola pesantemente, su Shizuka, la cui madre, accompagnatrice in un host club, sarebbe una delle cause dell'abbandono del padre della compagna di classe. Infine, Naoki, che vive all'ombra di un fratello brillante e di una madre che pretende da lui la stessa eccellenza, solo sfiorata, e che si mostra delusa, nonostante il bambino risulti comunque il migliore della scuola. Ognuno dei tre vive un dramma così sapientemente narrato, che fa terrore.
In questo si inserisce l'ingenuità di Takopi, che prova in qualche modo ad aggiustare le cose, ma involontariamente le fa precipitare ulteriormente, fino a quando non uccide Marina per difendere Shizuka durante l'ennesimo episodio di bullismo, rompendo la macchina fotografica (l'arma del delitto) che gli permetteva di riavvolgere il tempo fino al giorno in cui aveva scattato una foto con Shizuka, subito prima di un evento tragico che aveva portato la ragazzina a suicidarsi con un nastro preso allo stesso Takopi.
Qui l'anime non perde un colpo, in un susseguirsi di eventi tragici, con il coinvolgimento nel delitto di Naoki, infatuato di Shizuka, e una discesa nel pozzo della follia della bambina, fino a un deludente ricongiungimento con il padre - dove si era illusa fosse stato portato il cane Chappy che aveva morso Marina - e le atrocità commesse nei confronti della nuova famiglia del genitore.
Il quinto episodio è il climax della storia, che ci svela il vero peccato originale di Takopi, il suo primo viaggio nel 2022 e l'incontro con Marina, l'infrazione delle regole e il ritorno al 2016 dove avrebbe dovuto uccidere Shizuka, per rendere l'altra felice. Ma i ricordi dell'alieno sono svaniti a lungo, e tornano solo dopo la violenza di Shizuka, ormai del tutto folle, nei suoi confronti.
Come detto, TOS non tira mai indietro la gamba, per usare una metafora calcistica, non ha paura di affondare la stoccata e poi di infierire sulla ferita aperta. Poi arriviamo al finale dell'anime che, fino alla decisione di Takopi di sacrificarsi per resettare ancora una volta tutto e tornare al giorno in cui aveva scattato la foto, poco prima del suicidio di Shizuka, resta coerente con sé stesso. È qui però che il coraggio viene meno.
Io mi sarei aspettato il seguente scenario: Takopi torna all'istante della divergenza della linea temporale, subito prima del suicidio di Shizuka e, magari coinvolgendo Naoki, lo traduce in un tentato suicidio, così come sembrava essere nella realtà originale del 2022. In questo modo di fatto avrebbe reso il tempo lungo una realtà specifica ciclico - così come di fatto dovrebbe essere, "Steins;Gate" insegna - e invece Takopi trasla tutto in una nuova linea temporale, dove la storia si chiude, mi dispiace ma non trovo altra espressione, "a tarallucci e vino". Shizuka e Marina non si ricordano di Takopi, ma condividono una rimembranza nostalgica che le fa diventare amiche di punto in bianco, e quindi il reciproco supporto permetterà loro di superare le difficoltà della vita.
Qui l'anime perde senso logico e tradisce il suo spirito. Marina infatti ha conosciuto Takopi solo nel 2022, come fa ad avere questi offuscati ricordi nel 2016? Ok che il tempo dovrebbe essere ciclico, ma non appare stagnante come nei giochi From Software. Inoltre, da aguzzina di Shizuka cambia completamente faccia. Infine, se fino a ridosso del finale tutta la storia è intrisa da un dramma senza apparente via d'uscita, ecco che Takopi si trasforma in un deus ex machina che, con uno schiocco di tentacoli, sistema tutto. Tutto troppo facile, un buonismo eccessivo e, mi dispiace dirlo, totalmente fuori luogo rispetto a quanto messo in scena fino a quel momento. Il sacrificio del polpo dovrebbe commuovere, ma, in fin dei conti, appare solo come un banale pretesto narrativo per farlo uscire di scena in maniera pretestuosamente strappalacrime.
Dispiace perché, per il resto, TOS è un ottimo e a tratti eccellente anime in tutto: nella sceneggiatura (finale escluso, come si è detto), nella scrittura dei personaggi, nelle animazioni, nelle musiche, nella regia, nei colpi di scena. La sua drammatica brutalità è davvero tanto potente. Proprio all'ultimo ostacolo però, ecco il capitombolo. Peccato.
Resta un anime assolutamente consigliato, per il quale non mi sento di dare meno di 8, ma che sarebbe potuto essere davvero tanto, ma tanto più incisivo.
"Takopi's Original Sin" è il campione olimpico dei 110 metri ostacoli: elegante, perfetto, poesia in movimento. Fino all'ultimo salto, dove inciampa e, dopo un capitombolo sgraziato, taglia il traguardo. Arriva primo, sì, ma non vince come avrebbe dovuto e potuto.
Questo, in sintesi, è il mio giudizio su "Takopi's Original Sin" (da qui in avanti TOS, per abbreviare). Uno degli anime della stagione, è vero, con voti altissimi. Ma che proprio sul finale incappa nel suo vero peccato: manca di coraggio. Perché la storia di TOS è una delle più crude messe in animazione negli ultimi anni, senza filtri, senza ipocrisie, così violenta da disturbare anche gli stomaci più forti. Non si risparmia mai e ci si aspetta anche il peggio del peggio a un certo punto della storia. Eppure, proprio quando dovrebbe affondare il colpo definitivo, quando dovrebbe spingere sull'acceleratore per fare quell'ultimo rettilineo, alza il piede e accosta a bordo strada.
Non mi dilungo sulla storia che l'anime racconta, il cui fulcro è Takopi, un alieno buono ma anche ingenuo che prova a influenzare positivamente le vite dei protagonisti. Di recente, qualcosa del genere si è vista in "Dead Dead Demon's Dededededestruction" con Isobeyan, una parodia di Doraemon, il prototipo dell'alieno bislacco e puccioso con i suoi gadget miracolosi. Se non che in TOS la storia è tutt'altro che all'acqua di rose.
TOS è encomiabile nel presentarci la crudele esistenza di tre giovanissimi protagonisti che vivono un'infanzia drammatica, ognuno di loro pesantemente influenzato da famiglie disfunzionali, con padri assenti e madri, ciascuna in maniera diversa, soffocanti. Un peso che non è gestibile da dei bambini che vanno alle elementari. Le liti, le violenze, le privazioni, è tutto "perfetto" nella sua brutalità.
Shizuka, Marina e Naoki sono tre anime sole, incomprese, travolte da un mondo che non sembra davvero curarsene. Che in certi casi sembra preferire non fossero mai esistite, ed è il caso di Shizuka. Mentre Marina è una spugna che assorbe gli sfoghi di una madre ormai sull'orlo del baratro psichiatrico e sfoga tutta la sua frustrazione, bullizzandola pesantemente, su Shizuka, la cui madre, accompagnatrice in un host club, sarebbe una delle cause dell'abbandono del padre della compagna di classe. Infine, Naoki, che vive all'ombra di un fratello brillante e di una madre che pretende da lui la stessa eccellenza, solo sfiorata, e che si mostra delusa, nonostante il bambino risulti comunque il migliore della scuola. Ognuno dei tre vive un dramma così sapientemente narrato, che fa terrore.
In questo si inserisce l'ingenuità di Takopi, che prova in qualche modo ad aggiustare le cose, ma involontariamente le fa precipitare ulteriormente, fino a quando non uccide Marina per difendere Shizuka durante l'ennesimo episodio di bullismo, rompendo la macchina fotografica (l'arma del delitto) che gli permetteva di riavvolgere il tempo fino al giorno in cui aveva scattato una foto con Shizuka, subito prima di un evento tragico che aveva portato la ragazzina a suicidarsi con un nastro preso allo stesso Takopi.
Qui l'anime non perde un colpo, in un susseguirsi di eventi tragici, con il coinvolgimento nel delitto di Naoki, infatuato di Shizuka, e una discesa nel pozzo della follia della bambina, fino a un deludente ricongiungimento con il padre - dove si era illusa fosse stato portato il cane Chappy che aveva morso Marina - e le atrocità commesse nei confronti della nuova famiglia del genitore.
Il quinto episodio è il climax della storia, che ci svela il vero peccato originale di Takopi, il suo primo viaggio nel 2022 e l'incontro con Marina, l'infrazione delle regole e il ritorno al 2016 dove avrebbe dovuto uccidere Shizuka, per rendere l'altra felice. Ma i ricordi dell'alieno sono svaniti a lungo, e tornano solo dopo la violenza di Shizuka, ormai del tutto folle, nei suoi confronti.
Come detto, TOS non tira mai indietro la gamba, per usare una metafora calcistica, non ha paura di affondare la stoccata e poi di infierire sulla ferita aperta. Poi arriviamo al finale dell'anime che, fino alla decisione di Takopi di sacrificarsi per resettare ancora una volta tutto e tornare al giorno in cui aveva scattato la foto, poco prima del suicidio di Shizuka, resta coerente con sé stesso. È qui però che il coraggio viene meno.
Io mi sarei aspettato il seguente scenario: Takopi torna all'istante della divergenza della linea temporale, subito prima del suicidio di Shizuka e, magari coinvolgendo Naoki, lo traduce in un tentato suicidio, così come sembrava essere nella realtà originale del 2022. In questo modo di fatto avrebbe reso il tempo lungo una realtà specifica ciclico - così come di fatto dovrebbe essere, "Steins;Gate" insegna - e invece Takopi trasla tutto in una nuova linea temporale, dove la storia si chiude, mi dispiace ma non trovo altra espressione, "a tarallucci e vino". Shizuka e Marina non si ricordano di Takopi, ma condividono una rimembranza nostalgica che le fa diventare amiche di punto in bianco, e quindi il reciproco supporto permetterà loro di superare le difficoltà della vita.
Qui l'anime perde senso logico e tradisce il suo spirito. Marina infatti ha conosciuto Takopi solo nel 2022, come fa ad avere questi offuscati ricordi nel 2016? Ok che il tempo dovrebbe essere ciclico, ma non appare stagnante come nei giochi From Software. Inoltre, da aguzzina di Shizuka cambia completamente faccia. Infine, se fino a ridosso del finale tutta la storia è intrisa da un dramma senza apparente via d'uscita, ecco che Takopi si trasforma in un deus ex machina che, con uno schiocco di tentacoli, sistema tutto. Tutto troppo facile, un buonismo eccessivo e, mi dispiace dirlo, totalmente fuori luogo rispetto a quanto messo in scena fino a quel momento. Il sacrificio del polpo dovrebbe commuovere, ma, in fin dei conti, appare solo come un banale pretesto narrativo per farlo uscire di scena in maniera pretestuosamente strappalacrime.
Dispiace perché, per il resto, TOS è un ottimo e a tratti eccellente anime in tutto: nella sceneggiatura (finale escluso, come si è detto), nella scrittura dei personaggi, nelle animazioni, nelle musiche, nella regia, nei colpi di scena. La sua drammatica brutalità è davvero tanto potente. Proprio all'ultimo ostacolo però, ecco il capitombolo. Peccato.
Resta un anime assolutamente consigliato, per il quale non mi sento di dare meno di 8, ma che sarebbe potuto essere davvero tanto, ma tanto più incisivo.