L'assistente delle rose
La Toshokan porta in Italia questo carinissimo volume unico che racconta, in chiave leggera e con piccoli episodi, cosa significava essere assistente di mangaka di shojo negli anni 70, l'era d'oro per questo genere che in quel periodo venne rivoluzionato. Le opere realizzate in quel decennio sono dei classici letti ancora oggi.
Le tematiche erano svariate come i colori delle rose che fioriscono nei giardini.
I tratti tipici degli shojo di quegli anni sono i classici occhioni luccicanti, le rose da contorno, figure snelle e longilinee, con storie d'amore e crescita, e i disegni e lo stile de "L'assistente delle Rose" richiamano volontariamente quell'epoca e fa una certa tenerezza.
Nami Sasò ha esordito quando era in terza superiore, per poi debuttare un paio di anni dopo facendo da assistente a molte mangaka iconiche, come Suzue Miuchi (famosa per il bellissimo "Il grande sogno di Maya- la maschera di vetro), Fusako Kuramochi, Jun Mihara , Minori Kimura e Ryoko Yamagishi.
In un'epoca dove non c'erano né i social, né università o scuole di disegno, una candidata assistente doveva inviare i propri lavori a varie redazioni/editori di manga, e capitava si venisse chiamati per aiutare la sensei x o y, altrimenti era impossibile diventare poi professionisti; ebbene sì, all'epoca non era prevista esperienza se non come autodidatta per essere assunti all'inizio, più giovane eri, più riuscivi a reggere gli orari massacranti e lo stress.
Una volta debuttati, capitava di passare da una mangaka all'altra per dare una mano come assistente, potevi essere contattata direttamente dalla sensei e se eri impegnata, in un epoca dove non c'erano gli smartphone o computer, si consigliava altre college che facevano da assistenti, e dopo un giro di telefonate, alla fine si trovava qualcuno.
Come scrisse la grande Suzue Miuchi in una intervista riportata su questo manga "Un mangaka dev'essere pronto a non dormire per 3 notti , a star seduto per un mese intero e a non mangiare per un giorno e mezzo"... e non era affatto un esagerazione.
Questo mestiere all'epoca era regnato dal "caos" (termine usato molto e diventato tipico dell'ambiente) ovvero situazioni in cui mangaka e assistenti non distinguono giorno e notte dal troppo lavoro; le scadenze erano sempre imminenti e il lavoro da fare sempre tantissimo, portando a non dormire per giorni di fila, facendo solo brevi riposini di un quarto d'ora, tralasciando addirittura i pasti, quel che si poteva mangiare con una mano sola era ben accetto, si mangiava mentre si lavorava senza sosta, la mano usata per disegnare non poteva riposarsi, il cercare di restare svegli per lavorare tutta la notte raccontandosi storie dell'orrore per non crollare dal sonno....
Vengono insegnati termini tipici del mestiere, come il Nemu, o anche storyboard, ovvero il progetto disegnato del manga con la composizione delle tavole, la divisione delle vignette e i dialoghi che la sensei creava di solito in solitudine senza essere disturbata, per poi mostrarlo alle assistenti che completavano il lavoro, con la colorazione, i retini; venivano impartiti i ruoli, come a esempio la composizione di uno sfondo, ma all'epoca materiale di riferimento non ne davano! Non esistevano raccolte di fondali o pubblicazioni che insegnavano come realizzarli, si poteva solo ricorrere all'immaginazione! pazzesco se si pensa a come si lavora oggi!!
Per chi ha amato il bellissimo manga "Il sogno di Maya", vengono fatte diverse citazioni inerenti ai personaggi, un tuffo nostalgico nel mondo dei ricordi, Nami stessa si rendeva conto disegnando questo manga di entrare nella storia, di poter assistere alla nascita di scene memorabili, addirittura di poter lasciare il proprio segno e contributo su alcune scene, infine l'idea di farcela insieme, combattendo tutte unite, in questo lavoro faticosissimo e stressante. Ma dopotutto, nonostante l'enorme fatica si continua perchè..... dopotutto ci si diverte, questo è un mestiere che si può affrontare solo se si ha tanta passione.
Consigliato a chi ha amato gli shojo manga anni 70 e vorrebbe dare un occhio a dietro le quinte, come si lavorava all'epoca con carinissimi aneddoti su varie opere più o meno famose.
Le tematiche erano svariate come i colori delle rose che fioriscono nei giardini.
I tratti tipici degli shojo di quegli anni sono i classici occhioni luccicanti, le rose da contorno, figure snelle e longilinee, con storie d'amore e crescita, e i disegni e lo stile de "L'assistente delle Rose" richiamano volontariamente quell'epoca e fa una certa tenerezza.
Nami Sasò ha esordito quando era in terza superiore, per poi debuttare un paio di anni dopo facendo da assistente a molte mangaka iconiche, come Suzue Miuchi (famosa per il bellissimo "Il grande sogno di Maya- la maschera di vetro), Fusako Kuramochi, Jun Mihara , Minori Kimura e Ryoko Yamagishi.
In un'epoca dove non c'erano né i social, né università o scuole di disegno, una candidata assistente doveva inviare i propri lavori a varie redazioni/editori di manga, e capitava si venisse chiamati per aiutare la sensei x o y, altrimenti era impossibile diventare poi professionisti; ebbene sì, all'epoca non era prevista esperienza se non come autodidatta per essere assunti all'inizio, più giovane eri, più riuscivi a reggere gli orari massacranti e lo stress.
Una volta debuttati, capitava di passare da una mangaka all'altra per dare una mano come assistente, potevi essere contattata direttamente dalla sensei e se eri impegnata, in un epoca dove non c'erano gli smartphone o computer, si consigliava altre college che facevano da assistenti, e dopo un giro di telefonate, alla fine si trovava qualcuno.
Come scrisse la grande Suzue Miuchi in una intervista riportata su questo manga "Un mangaka dev'essere pronto a non dormire per 3 notti , a star seduto per un mese intero e a non mangiare per un giorno e mezzo"... e non era affatto un esagerazione.
Questo mestiere all'epoca era regnato dal "caos" (termine usato molto e diventato tipico dell'ambiente) ovvero situazioni in cui mangaka e assistenti non distinguono giorno e notte dal troppo lavoro; le scadenze erano sempre imminenti e il lavoro da fare sempre tantissimo, portando a non dormire per giorni di fila, facendo solo brevi riposini di un quarto d'ora, tralasciando addirittura i pasti, quel che si poteva mangiare con una mano sola era ben accetto, si mangiava mentre si lavorava senza sosta, la mano usata per disegnare non poteva riposarsi, il cercare di restare svegli per lavorare tutta la notte raccontandosi storie dell'orrore per non crollare dal sonno....
Vengono insegnati termini tipici del mestiere, come il Nemu, o anche storyboard, ovvero il progetto disegnato del manga con la composizione delle tavole, la divisione delle vignette e i dialoghi che la sensei creava di solito in solitudine senza essere disturbata, per poi mostrarlo alle assistenti che completavano il lavoro, con la colorazione, i retini; venivano impartiti i ruoli, come a esempio la composizione di uno sfondo, ma all'epoca materiale di riferimento non ne davano! Non esistevano raccolte di fondali o pubblicazioni che insegnavano come realizzarli, si poteva solo ricorrere all'immaginazione! pazzesco se si pensa a come si lavora oggi!!
Per chi ha amato il bellissimo manga "Il sogno di Maya", vengono fatte diverse citazioni inerenti ai personaggi, un tuffo nostalgico nel mondo dei ricordi, Nami stessa si rendeva conto disegnando questo manga di entrare nella storia, di poter assistere alla nascita di scene memorabili, addirittura di poter lasciare il proprio segno e contributo su alcune scene, infine l'idea di farcela insieme, combattendo tutte unite, in questo lavoro faticosissimo e stressante. Ma dopotutto, nonostante l'enorme fatica si continua perchè..... dopotutto ci si diverte, questo è un mestiere che si può affrontare solo se si ha tanta passione.
Consigliato a chi ha amato gli shojo manga anni 70 e vorrebbe dare un occhio a dietro le quinte, come si lavorava all'epoca con carinissimi aneddoti su varie opere più o meno famose.
Come titolo provvisorio della versione italiana ha avuto “Le rose fioriscono in battaglia” quando sembrava uscisse per la Sensei Books casa editrice nata e fallita in un attimo.
Il titolo era attraente ma è buono anche il titolo definitivo dato dalla Toshokan, che ci da un buon volumetto fisico e un breve articolo sulla questione vecchi shojo a fine volume.
E qui finiscono le parti degne di lode: l’autrice, la stessa “assistente delle rose”, si dimostra incapace di fornire una trama interessante e fa della sua opera un compendio di citazioni di autrici e shojo manga famosi con brevi aneddoti noiosi.
Di fatto si vanta di aver debuttato e poi essere finita fare da assistenti ad altre mangaka in primo luogo Suzue Miuchi, autrice di punta prima della rivista Margaret di Shueisha e poi, dopo della fondazione della casa editrice Hakusensha nel 1974, di Hana to yume dove pubblica il suo capolavoro "Glass no Kamen" ("Il grande sogno di Maya").
Il problema di fondo è questo che io so già chi sono in questo caso la Miuchi e "Glass no Kamen" ma se non ne sapessi niente il citare il nome e l’opera in modo decontestualizzato (come nel caso di altre autrici e opere che non conosco) non mi avrebbe fatto niente.
Boh e queste chi sono? E’ la domanda che mi sono posto.
Certo per una giapponese cresciuta negli anni ‘70 scatta la scintilla che incendia la memoria, ma la stessa autrice Nami Saso racconta che per fare questo volume si è basata sui suoi diari che le hanno portato alla mente ciò che racconta.
Comunque nonostante i disegni siano carini (anche se forse ricordano tempi andati) in quest’opera non c’ è niente di interessante: l’autrice non vanta i suoi pochi fumetti degli anni settanta perché probabilmente erano già mediocri a quei tempi e invece di interrompere la sua pausa dal mondo dei manga con quest’opera forse avrebbe dovuto continuarla passandola nell’oblio invece di costringere i lettori italiani meno gentili di me a maledirla per aver sprecato i propri soldi in un opera che non merita (per fortuna si tratta di un solo volume!).
Voto: quattro
Il titolo era attraente ma è buono anche il titolo definitivo dato dalla Toshokan, che ci da un buon volumetto fisico e un breve articolo sulla questione vecchi shojo a fine volume.
E qui finiscono le parti degne di lode: l’autrice, la stessa “assistente delle rose”, si dimostra incapace di fornire una trama interessante e fa della sua opera un compendio di citazioni di autrici e shojo manga famosi con brevi aneddoti noiosi.
Di fatto si vanta di aver debuttato e poi essere finita fare da assistenti ad altre mangaka in primo luogo Suzue Miuchi, autrice di punta prima della rivista Margaret di Shueisha e poi, dopo della fondazione della casa editrice Hakusensha nel 1974, di Hana to yume dove pubblica il suo capolavoro "Glass no Kamen" ("Il grande sogno di Maya").
Il problema di fondo è questo che io so già chi sono in questo caso la Miuchi e "Glass no Kamen" ma se non ne sapessi niente il citare il nome e l’opera in modo decontestualizzato (come nel caso di altre autrici e opere che non conosco) non mi avrebbe fatto niente.
Boh e queste chi sono? E’ la domanda che mi sono posto.
Certo per una giapponese cresciuta negli anni ‘70 scatta la scintilla che incendia la memoria, ma la stessa autrice Nami Saso racconta che per fare questo volume si è basata sui suoi diari che le hanno portato alla mente ciò che racconta.
Comunque nonostante i disegni siano carini (anche se forse ricordano tempi andati) in quest’opera non c’ è niente di interessante: l’autrice non vanta i suoi pochi fumetti degli anni settanta perché probabilmente erano già mediocri a quei tempi e invece di interrompere la sua pausa dal mondo dei manga con quest’opera forse avrebbe dovuto continuarla passandola nell’oblio invece di costringere i lettori italiani meno gentili di me a maledirla per aver sprecato i propri soldi in un opera che non merita (per fortuna si tratta di un solo volume!).
Voto: quattro