Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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Proporre a me, un amante incurabile dei gatti, un anime del genere significa proprio voler vincere facile; se poi l'autore è pure Makoto Shinkai, allora la sua visione rischia di provocarmi un vero e proprio colpo al cuore. So che in passato il mio rapporto con Shinkai è stato molto travagliato; credo di essere uno dei pochi a cui "5 cm al secondo" non è piaciuto quasi per niente (cosa che ribadisco tuttora), e anche altre sue opere non mi avevano esattamente entusiasmato. Tuttavia si tratta di una questione ormai legata al passato: con le sue sceneggiature più recenti l'autore di "Your Name." sembra aver avuto un'evoluzione che ho gradito tantissimo anch'io e che fa cadere tutti i dubbi che nutrivo sul suo conto.

Composto da quattro episodi di cinque minuti circa, questo "Kanojo to Kanojo no Neko: Everything Flows" racconta il rapporto tra una giovane ragazza e il suo bellissimo gattone nero Daru. E lo fa in modo estremamente realistico: il gatto, infatti, non monopolizza la vita della donna che, anzi, lo lascia da solo in casa per la maggior parte del tempo. Comportamento insensibile? Ma nient'affatto. Adottare un gatto non significa dover dedicare a lui tutto il proprio tempo, infischiandone del mondo che continua a girare (tra l'altro credo che nemmeno l'animale sarebbe felice di un'eventualità del genere); una volta assicurata la sicurezza del gatto, il rapporto sarà basato sulla condivisione di uno stesso spazio e/o di particolari momenti della giornata. L'amore reciproco che si instaura tra il padrone e la sua bestiola in genere si manifesta in maniera poco rumorosa (in fondo non stiamo parlando di un cane): qualche piccolo gesto, qualche sguardo e il desiderio di instaurare un contatto fisico, piccolo o grande che sia. Questi meccanismi vengono descritti perfettamente da questo corto, che riesce a mostrare il legame particolare che si instaura tra una persona e il suo gatto: un legame che non prevede spinte emotive eclatanti, ma che col tempo riesce a raggiungere un'intensità inimmaginabile.
"Kanojo to Kanojo no Neko: Everything Flows", però, è anche un anime che parla dei problemi legati alla vita quotidiana della protagonista e alle vicissitudini familiari e lavorative che si troverà ad affrontare nelle diverse fasi della sua ancora giovane vita. Tutto ciò viene raccontato dalle voci e dai ricordi dei due protagonisti: il risultato ottenuto è notevole, questo tipo di narrazione riesce a trasmettere sensazioni e sentimenti in maniera davvero vivida. Tutto molto bello quindi, anche se continuo a nutrire dei seri dubbi sul fatto che, nonostante la sua provata intelligenza, un gatto possa avere davvero dei pensieri simili (ma solo perché non ne ho una prova concreta).

Quanto a grafica e colonna sonora è quasi inutile dire che sono entrambi a livelli di eccellenza. In fondo stiamo parlando di Shinkai, come aspettarsi di meno?

In definitiva, non posso che esprimere un grandissimo livello di gradimento per "Kanojo to Kanojo no Neko: Everything Flows": tutti gli appassionati di anime che, almeno una volta nella vita, hanno posseduto un gatto dovrebbero dargli un'occhiata.

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Eccoci con un'intervista davvero speciale. Oggi abbiamo l'onore, ma anche la responsabilità, di intervistare uno dei pilastri dell'animazione nipponica degli ultimi anni. Con una manciata di film ha cambiato l'animazione per come la intendiamo oggi. Un mille grazie per la disponibilità al sensei Makoto Shinkai.

S. Grazie a voi, davvero, dopo questa presentazione, spero di non deludere le aspettative.

Sono certo che non le deluderà.
Vorremmo in questa sede chiederle a riguardo di un film, o meglio, un corto, che lei ha realizzato; quello riguardo al gatto.

S. Ah, lei vuole tornare ai vecchi tempi, quando feci il corto che mi ha lanciato, Lei e il suo gatto...

No, veramente ne intendevo un altro quello che ha fatto più avanti nella sua carriera...

S. Ma allora lei è uno che la sa lunga. Non sono in molti a chiedermi di quel progetto Anikuri a cui partecipai, durante la realizzazione di "5 cm al secondo". Anzi, sono in pochi a saperlo. Immagino lei si riferisca a questo?

Ehm... veramente no, mi perdoni, il corto in questione è "Dareka no Manazashi"... Sa, quello che uscì praticamente assieme a Il giardino delle parole...

S. Dunque mi faccia pensare... Ah già! Ora ricordo, quello del gatto, come no. Sa questa cosa dei gatti mi è un po' sfuggita di mano. È un po' come i personaggi di Adachi*.
Ricordo poco di quel corto, ad essere onesto, fu fatto nei ritagli di tempo de "Il Giardino delle parole", tanto che avevamo pensato di inserirla lì come idea. Però non funzionava.
Era carina quella cosa che è il micio la voce fuori campo, e non potevamo fare la stessa cosa nel film. Alla fine lo abbiamo tenuto per portarlo al cinema assieme al Giardino, cosi da arrivare almeno all'ora di durata. Gli operatori di marketing dicevano che se il film non durava un'ora sarebbe potuto essere un flop.

È per questo che nel successivo "Your name" ci ha dato dentro con una sceneggiatura lunga ed un film di quasi due ore?

S. Braaavo. Esatto proprio per quello. Non volevo ripetere lo stesso errore.

Se mi permette parliamo un momento del corto. Lei tratta anche il tema della famiglia. Che ruolo ha nei suoi lavori, e nel suo immaginario?

S. Di solito nei miei film descrivo gli adolescenti, i ragazzi.
È stata forse la prima volta in cui uscivo da questo fil rouge che collega le mie opere, e mi creda, è un lavoraccio.
Parlare dei rapporti famigliari è un casino allucinante. In Giappone poi. Lei ci ha fatto caso che negli anime metà dei personaggi sono orfani? Ma mica solo i meisaku, pure tanti altri più moderni. Lo fanno per evitare l'argomento. In un corto sì, ma non lo farei mai in un film, non immagino lo sbattimento.
È come se questa cosa dei genitori, boh... forse in Giappone non esistono i genitori, socialmente intendo. Quando un ragazzo diventa grande, i genitori, è come se sparissero.

Per fortuna che ci sono i gatti quindi a tenere unite le famiglie, è questo che vuole dire con il breve segmento?

S. Mah, sa, quella del corto è una situazione romanzata, poteva essere un cane, o un oggetto.
Ci ho messo il gatto perché mi ricorda la mia infanzia. Avevo un libro con tute le favole sui gatti, quindi fino ai 7 anni per me non esistevano quasi altri animali. Li ho sempre amati profondamente; non lo so se questa cosa è condivisa con il resto del paese. Ma penso di sÌ. Di sicuro è condivisa con il mio pubblico gattaro.
Però ecco, da qui a dire che tengono insieme le famiglie non so. Certi rapporti, anche familiari, si rompono per molto meno.

Una cosa su cui invece si è tenuto saldo ai suoi binari sono gli sfondi, opere d'arte a cui lei ci ha abituato sin da subito nella sua carriera. Come è stato per questo corto? Qualche retroscena particolare?

S. No guardi, mi spiace deluderla ma gli sfondi sono riciclati. Pensi, io riciclavo le cose già dieci anni fa, non ho mica aspettato la transizione ecologica eheh.
Sono bozze prese da altri film, un po' da 5cm, un po' dal Giardino, la struttura esterna dei palazzi per esempio. Ma, questa cosa non la mette nell'intervista vero?

Non si preoccupi, siamo in live, ma poi filtriamo tutto, ci pensano i nostri addetti.

S. Ah bene, grazie mille.
Questa cosa dei palazzi me la ricordo bene, siccome quella sera non avevo più molta voglia di stare a pc, avevo due occhi che non le dico, cosi mi sono detto, sai che c'è Makoto? Tanto i palazzi in Giappone sono tutti uguali, se li prendi dall'altro film che stiamo facendo, non fai un torto a nessuno.
E poi guardi, senza farlo apposta, possiamo ovviare a questo 'difetto' ammiccando al fatto che i due prodotti sono legati, ambientati nella stessa città. Ohh, ma questa cosa mi piace, guarda cosa ti invento così su due piedi.
Se mi da un momento chiamo dentro al mio studio per passare l'idea.

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Ora che Shinkai è al telefono, posso tirare due conclusioni personali.
Il corto l'ho rivisto recentemente a distanza di un enorme tempo. È bello? Si, ma non è memorabile, è comunque un corto che non riesce, per ovvi limiti, a costruirsi un'identità.
Ciò nonostante ne ho un bel ricordo di quando lo vidi al cinema a suo tempo; e se l'intervista sopra è frutto di fantasia, il mio ricordo è reale.
Voto 8, apprezzabile, ma con tutti i limiti di un corto.

Ah, dimenticavo:
* I personaggi di Adachi sono tutti simili tra loro (ndr).

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Mikura è una postina del cielo e consegna pacchi guidando un idrovolante accompagnata dal suo inseparabile gatto Endeavour. Alla morte del suo amato nonno, Mikura eredita una delle attività aeree più importanti del globo, e con essa anche il sogno del defunto vecchio aviatore, ovvero raggiungere l’isola errante, una misteriosa isola leggendaria che sembra muoversi nascondendosi nei mari.

Kenji Tsuruta è un artista dei silenzi e “L’isola errante” incarna in toto la sua cifra stilistica, con una storia dal ritmo cadenzato, ma mai pesante, complice l’esiguità dei balloon e la linearità narrativa che riescono a rendere al solito la lettura scorrevole e veloce. Tornano elementi già visti sopratutto in “Forget me not”, come l’eredità lasciata dal nonno con relativo obiettivo da conseguire, le atmosfere sognanti sempre in bilico tra onirismo e realtà, e il feticismo di Tsuruta verso i gatti, d’altronde il mangaka si era già ampiamente dimostrato un autore ricorsivo dalla semantica definita che ripete le stesse formule, mutandole funzionalmente al contesto.
I richiami ad Hayao Miyazaki saltano immediatamente all’occhio; oltre al tema dell’aviazione, vero e proprio mantra del corpus opere miyazakiano, e ai lapalissiani rimandi a “Porco rosso”, si notano le influenze di lavori come “Conan il ragazzo del futuro” e sopratutto “Laputa il castello nel cielo”, che con “L’isola errante” condivide l’inseguimento del miraggio e l’ossessione per la dimensione chimerica: il raggiungimento di quel luogo alla “Isola che non c’è” che solo se ci credi riesce a materializzarsi.

Anche i disegni, dissolventi e sfumati, perfettamente confacenti all’opera, ricordano i magnifici lavori cartacei di Miyazaki (“Nausicaa della valle del vento”, “Il viaggio di Shuna”), con un tratto pittorico a linee aperte e tanti tratteggi in cui è l’occhio del lettore a completare quello che vede chiudendo le forme.
Kenji Tsuruta è un virtuoso del disegno, e artisticamente “L’isola errante” rappresenta il suo apogeo espressivo. Le tavole appaiono piene, ricche di elementi, che però non sovraccaricano il tratto, grazie anche alle numerose inquadrature verticali a campo largo che danno ampiezza alle immagini fornendo una sbalorditiva visione d’insieme. L’idrovolante, raffigurato da tutte le prospettive e angolazioni possibili, è denotativo di una grande capacità realizzativa, e l’ausilio di fotografie viene incontro all’autore nel concepimento dei particolareggiati dettagli angolari che, di fatto, rendono a tutti gli effetti il velivolo un “personaggio” tridimensionale. La protagonista, al solito longilinea e dolce, ma anche conturbante, è sempre in scena; la sua notevole altezza serve ad occupare meglio lo spazio, accentuando la sua sensualità e le sue pose dinoccolate.

Purtroppo l’autore non ha ancora realizzato il finale del manga, probabilmente mai lo farà - essendo passati più di 10 anni dalla prima pubblicazione dell’opera-, e la sbalorditiva consecutio di immagini viene interrotta proprio quando la narrativa giunge al suo climax.

Kenji Tsuruta consegna ancora una volta una storia incompleta, sospesa, eterea, che, al netto di quanto detto di buono fino ad ora, finisce per sprofondare nella sua stessa impalpabilità finale.
“L’isola errante” è una piccola chicca per tutti i fan di Tsuruta, risultando inevitabilmente una delusione per chi cerca da una storia risoluzioni e consistenza narrativa.