All’inizio degli anni 2000, Capcom viveva una delle sue stagioni più fertili:
Devil May Cry,
Resident Evil Code: Veronica,
Viewtiful Joe. In questo scenario,
Onimusha 2: Samurai’s Destiny si affermava come un’opera ibrida capace di fondere l’action con influenze horror e suggestioni cinematografiche, il tutto incastonato in un Giappone feudale visionario. Oggi, a oltre vent’anni dalla pubblicazione originale, la remastered dell’opera ritorna con l’intento di preservare, aggiornare e rilanciare un titolo divenuto di culto.
Capcom ha scelto un approccio conservativo. La remaster si concentra sul miglioramento della qualità visiva e della giocabilità senza intervenire in modo invasivo sulla struttura ludica originaria.
I modelli dei personaggi sono stati interamente rifatti in alta risoluzione; il framerate stabile a 60 fps restituisce fluidità ai movimenti; le texture aggiornate e un miglior sistema di luci/ombre restituiscono tridimensionalità ai fondali prerenderizzati, mantenendo intatto lo stile visivo cinematografico tipico del brand.
Il sistema di gioco rimane ancorato alle logiche degli action a camera fissa, con elementi RPG leggeri. I potenziamenti delle armi elementali e delle abilità di Jubei sono affiancati da un inedito sistema di relazioni tra personaggi non giocanti che influenzano l’evolversi della trama. La possibilità di donare oggetti a NPC selezionati, ad esempio, attiva archi narrativi secondari e modifiche agli eventi.
Miglioramenti della Quality of Life:
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Introduzione dell’autosalvataggio
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Cambio arma in tempo reale
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Riduzione dei tempi di caricamento
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Ottimizzazione dei comandi nei combattimenti ravvicinati

La remastered conserva la legacy identity del titolo, rispettando la grammatica dei giochi Capcom di inizio 2000. Non c’è rivoluzione, ma una curatissima rifinitura. L’introduzione di funzionalità moderne – come il cambio arma istantaneo – interviene dove l’usabilità rischiava di penalizzare l’esperienza odierna, senza però smantellare le fondamenta. La sensazione tattile del gameplay resta autentica. Le modifiche introdotte – come il sistema di autosalvataggio, la possibilità di cambiare arma in tempo reale e l’alleggerimento delle sequenze più macchinose – rientrano in una logica di quality of life improvement che non intacca la struttura originale ma ne ottimizza la fruizione. Anche la gestione dello spazio, un elemento critico in titoli con camera fissa, risulta più fluida grazie al miglioramento della risposta ai comandi e all’eliminazione di attriti nei cambi di inquadratura. I combattimenti, pur non potendo competere con i moderni action game per complessità, mantengono una solida struttura tecnica, resa più godibile dall’aggiornamento del ritmo generale e da un sistema basato sul giusto timing del parry che premia la padronanza dei controlli.

In Samurai’s Destiny Remastered, Capcom ha scelto di rimasterizzare interamente i brani in alta qualità e, in alcuni casi, ricomporre da zero le tracce orchestrali, mantenendone però la struttura melodica. Inoltre, il sound design ambientale è stato rielaborato per sfruttare le tecnologie audio surround e 3D delle piattaforme attuali, offrendo una resa immersiva nei paesaggi sonori. Le atmosfere, sospese tra solennità epica e tensione latente, continuano a rappresentare un valore aggiunto dell’esperienza. Il mix di strumenti tradizionali giapponesi con arrangiamenti sinfonici moderni accompagna perfettamente l’azione e la narrazione, valorizzando le fasi esplorative quanto i combattimenti più frenetici.
Onimusha 2: Samurai’s Destiny Remastered non è un semplice omaggio nostalgico, ma un esempio riuscito di filologia videoludica applicata: recupera un’opera storicamente significativa, ne preserva l’identità, ma ne rimuove le asperità che potrebbero ostacolare la fruizione da parte di una nuova generazione di utenti. La sua forza sta nella coerenza dell’operazione: Capcom non cerca di riscrivere la storia, ma di renderla nuovamente leggibile. Con questa operazione, riafferma la rilevanza storica della saga
Onimusha, candidandola a nuova vita nell’ecosistema dell’attuale generazione videoludica. Un culto che sopravvive e che oggi può finalmente parlare anche a chi, nel 2002, non era ancora nato.
Character Samanosuke Akechi by (C) Fu Long Production,
Guest Creator:Takeshi Kaneshiro
Non va comprato.
Spiace inoltre che su PC abbia Denuvo.
No. Non bisogna mai accettare le censure. Nella recensione nemmeno era menzionata la cosa.
Uno può anche decidere di accettare la cosa, purché sia correttamente informato della sua esistenza.
Chiaramente questo danneggia la preservazione del titolo, non si dovrebbe nemmeno poterlo chiamare remastered, ma censored, in modo che sia chiara ai consumatori la distinzione tra un prodotto creato nel rispetto dell'originale e qualcos altro. È una prassi che porta solo ad abbassare gli standard.
Ed è un peccato fare buona parte del lavoro e autodanneggiarsi per questioni che esulano dal lavoro di svecchiamento e preservazione.
Una recensione deve informare l'acquirente.
Se uno legge qui magari compra il gioco e si ritrova con una versione censurata e inferiore all'originale.
Poi anche basta dire che "si tratta di un costume secondario e non è un problema".
Se non fosse stato un problema non lo avrebbero modificato. Evidentemente un problema c'è e non parlarne contribuisce a normalizzare la pratica della censura.
Assolutamente se ne può discutere e ci sono giustamente più punti di vista: ad uno certe cose possono anche non interessare. I punti di vista però non prevedono di omettere le caratteristiche del titolo: i publisher queste cose le devono comunicare, non devono essere i consumatori a scoprirle. Perché se si fa un confronto con l'originale (di cui il remake è venduto capitalizzando sulla fama del primo) e delle differenze non sono citate, non sono punti di vista, sono omissioni. Non si dà modo di avere un punto di vista informato.
Un paio di appunti su alcuni aspetti.
Sessualizzazione del personaggio: va stabilito se questa venga meno con questa censura (opinabile) e in primo luogo se la sessualizzazione sia effettivamente una cosa negativa (opinabile).
Censura rimane censura anche se tieni conto il punto di vista diverso a cui ti vuoi adattare. Un adattamento può essere al tempo stesso censura.
Sensibilità dei nostri giorni (o moderna): è un termine più di marketing che altro, usato più per giustificare le scelte e deresponsabilizzarsi piuttosto che rispondere ad un'esigenza fortemente sentita. Non ha un significato reale: come stabilisci di chi sia questa sensibilità se escludi e ignori volontariamente una grossa fetta dell'utenza? Come stabilisci da chi viene richiesta se non si può nemmeno stabilirne la demografica.
Non si può partire da assunti per queste cose.
Che quella pratica, come dici, sia stata usata e lo sia ancora non è un motivo per ignorarla completamente quando è presente.
Esatto, ben detto! Che poi usare sempre la scusa del "ma è un dettaglio minimo, che problema c'è?" ha veramente rotto il c*zzo (un "problema" per chi, poi?).
Più che altro è una giustificazione che smentisce la premessa. Non regge.
Concordo che se ne debba parlare.
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