Chi sta leggendo queste righe si ricorderà senz'altro con un brivido lungo la schiena il surreale inizio del 2020, quello che prima era confinato al territorio asiatico è arrivato in fretta e furia nel resto del mondo. Parliamo ovviamente della pandemia legata al COVID, quello che per noi italiani è stato il periodo "#iorestoacasa": fra la corsa ai supermercati per accaparrarsi quante più scorte possibili, misure di sicurezza oltre ogni limite conosciuto fino a quel momento e le strade che erano diventate completamente deserte, il mondo si è trovato in una bolla mai vista prima.
La vera sfida non è stata però solo di sopravvivenza in termini di salute fisica, ma anche mentale: tutti si sono ritrovati impossibilitati a incontrarsi, la vita sociale si era fermata e non si vedeva una via d'uscita. Eppure, le persone non si sono arrese, trovando modi per rimanere in contatto grazie a internet.

In maniera totalmente inaspettata e quasi profetica, il primo Death Stranding si è fatto portavoce di quel periodo, testimone della volontà di persone che, seppur divise, vogliono fare di tutto per rimanere connesse.
Perfino il suo creatore, il visionario Hideo Kojima, già autore della saga di Metal Gear Solid, si è stupito di questa incredibile coincidenza, ben conscio che il secondo capitolo avrebbe dovuto soddisfare aspettative molto alte.
Dopo circa 5 anni di produzione abbiamo finalmente avuto modo di passare un'altra quarantina di ore in compagnia del nostro corriere preferito, e oggi siamo pronti a raccontarvi, nella nostra recensione, se valga la pena di (è il caso di dirlo) farsi nuovamente carico di questo fardello.
 
Kojima torna per un secondo giro sulla Spiaggia, con risultati discutibili

La storia di Death Stranding 2: On The Beach prende il via circa 4 anni dopo la conclusione del precedente capitolo, dove troviamo Sam e la piccola Lou, ormai una bambina e non più un BB confinato nella sua capsula, vivere la loro vita serenamente, lontani dagli occhi della Bridges e qualsiasi altra associazione o forza esterna. L'equilibrio dei due viene però alterato quando Fragile, amica di Sam in grado di teletrasportarsi grazie al suo collegamento con la Spiaggia, propone al provetto corriere di tornare in azione per la sua associazione indipendente: la Drawbridge, a cui è stato affidato l'incarico di riconnettere il Messico, proprio come fatto in precedenza per le UCA.
Un po' riluttante, Sam accetta, con la promessa da parte della donna di badare alla piccola mentre lui sarà via.

Se inizialmente la missione sembra andare per il verso giusto senza particolari intoppi, qualcosa andrà storto nel momento in cui dei misteriosi soldati incappucciati vestiti di rosso attaccheranno il rifugio di Sam. Questo darà il via a una serie di eventi che porteranno il nostro improbabile eroe a viaggiare con il gruppo di Fragile tramite il loro personale mezzo di trasporto, la DHV Magellan, per riconnettere l'intero continente australiano.

Tra momenti di leggerezza e non, la trama tutto sommato se la porta a casa

Volendo parlare il meno possibile della trama (poiché, come per ogni titolo di Kojima, i colpi di scena arrivano fin dalle prime battute) passiamo direttamente al gameplay. Sia chiaro: se avete odiato il primo titolo bollandolo come "Bartolini simulator" troverete poca motivazione a dare una seconda chance a questo secondo capitolo; quelli invece che hanno apprezzato l'inusuale approccio al titolo troveranno un miglioramento su tutti i fronti.
Kojima ha preso molto a cuore le critiche e i piccoli accorgimenti richiesti e ne ha fatto la forza del progetto, ampliando sensibilmente le possibilità a disposizione di Sam: durante le nostre traversate ci sarà sempre possibile costruire strutture per aiutarci, ma adesso ad esempio potremo semplificarci la vita collegando due scale per costruirne una più lunga, creando diversi accessori per il nostro zaino in grado di aumentare la scorta di munizioni o la durata della batteria, o avvalendoci delle nuove strutture di supporto come monorotaie e miniere.
Quando si dovranno fronteggiare inevitabilmente degli avversari (umani o androidi che siano) il titolo darà il meglio di sé, prendendo a piene mani quella libertà che caratterizzava The Phantom Pain e facendola sua: ad esempio le opzioni per lo stealth sono state migliorate e ampliate (strozzare i nostri avversari, ad esempio, non richiederà più un astruso sistema di estrazione e tensione del filo, ma basterà premere un tasto alle loro spalle; potrete inoltre lanciare il vostro nuovo fidato socio Dollman come un drone per scandagliare l'area circostante), con anche nuovi gadget atti a sbarazzarsi anche delle creature arenate (le CA) in tutta sicurezza (come l'utilissimo boomerang ematico); se vorrete però dare fondo al vostro John Rambo interiore (tattica spesso e volentieri estremamente efficace) anche il feeling delle varie bocche da fuoco è stato rifinito. Per i palati più fini che invece vogliono rendere le loro incursioni nei campi avversari non solo una scappatella ma un vero e proprio divertimento, state tranquilli che nelle sezioni più avanzate del titolo i gadget vi permetteranno di scatenarvi come meglio credete (avete mai sognato di eliminare i vostri avversari come un provetto Bruce Lee? O magari saltandogli in testa in stile Super Mario? Oppure diventare il miglior allenatore di CA dell'Australia?).
Portare avanti le relazioni con i 42 Prepper disponibili vi fornirà costantemente nuovi gadget per variare il vostro stile di gioco; a ciò si unisce inoltre un sistema di abilità passive, che saranno sbloccate proprio sulla base di come affronterete le varie situazioni (i corrieri dal grilletto facile potranno avvalersi, ad esempio, di rateo di fuoco maggiorato, caricatori supplementari e mira assistita, mentre i Solid Snake di turno potranno aumentare le capacità del loro scanner Odradek per tracciare i movimenti dei nemici in maniera più accurata).
Le boss fight sono probabilmente, ancora una volta, il punto più debole del lato gameplay (a parte un paio verso la fine), con nemici dai pattern prevedibili che risultano essere più spugne di proiettili che altro.
 
Gli scorci che regala il paesaggio sono come sempre mozzafiato

Dal punto di vista tecnico il titolo è a dir poco impressionante, per non dire mostruoso: lo abbiamo giocato completamente su Playstation 5 base in modalità prestazioni e, anche con moltissimi effetti e particellari a schermo, non ha mai ceduto, mantenendo i 60fps granitici, regalando scorci e panorami meravigliosi, il tutto affiancato a tempi di caricamento letteralmente istantanei, un traguardo mai visto sull'ammiraglia di Sony.
La colonna sonora si dimostra anche stavolta sul pezzo, includendo non solo tracce di band già presenti nel primo capitolo come i Chvrches e i Low Roar, ma anche nuovi artisti quali Woodkid e Caroline Polachek, oltre a pezzi da novanta del JPop come Gen Hoshino.

Per quanto in generale si possa parlare bene del titolo, vogliamo dedicare un pezzo in chiusura a diverse critiche sulle quali non si può chiudere un occhio: pur avendo una durata di circa quaranta ore (considerando solo la storia principale), il gioco ha un serio problema di pacing della trama, dove per le prime 32 circa non viene portata sostanzialmente avanti, se non da filmati della durata di 5/10 minuti che non aggiungono praticamente niente (salvo rarissime eccezioni), per poi fare un'accelerata vertiginosa nelle ultime cinque, vomitandoci addosso tutte le informazioni del caso (cosa che ci ha ricordato non poco Kingdom Hearts 3, capitolo della serie di Square che soffriva dello stesso identico problema).

Un destino infelice è anche stato riservato ai personaggi: quelli di ritorno (ad esclusione forse di Deadman) non vengono quasi considerati e sono lasciati lì giusto per ripetere qualche frase a pappagallo, mentre i nuovi introdotti, come Tarman e Rainy, dopo un brevissimo excursus che ci illustra il loro passato sono completamente messi da parte e coinvolti in poche, superficiali interazioni; l'unico che riesce a salvarsi in corner è Neil, il personaggio interpretato da Luca Marinelli, che ha effettivamente un build-up di trama che va sul finale a concretizzarsi in qualcosa di imprevisto e giustifica il suo ruolo senza buchi di trama.
Il più delle volte ci è veramente sembrato che Kojima volesse semplicemente girare una scena con determinati attori, senza considerare se ciò potesse avere un senso ai fini della trama o meno.

Dire inoltre che il gioco è "autoriale" sarebbe riduttivo: il suo sviluppatore prende a piene mani tutta la sua eredità che gli è stata sottratta ingiustamente, infarcendo il titolo di reference e "Kojimate", con il problema che spesso queste risultano fuori luogo e al limite del cringe (perché quando un personaggio sta finalmente spiegando cose rilevanti per la trama e un altro decide di inserirsi con due minuti di balletto, per poi riprendere come se nulla fosse, il problema è veramente evidente).
Non fraintendeteci: la trama nel complesso funziona, il reveal finale è estremamente azzeccato e vi assicuriamo che non potreste minimamente arrivarci da soli, ma quando per arrivarci devi passare per 30 ore di nulla e una serie di missioni finali che fanno concorrenza alle subquest dei giochi di Yoko Taro, è evidente che più di un elemento non ha funzionato come previsto.

 
Decidere di dare una valutazione un po' più bassa a un titolo di questa caratura non è mai una scelta facile, un po' perché ci si sente i fucili puntati addosso ma, soprattutto, perché dispiace. La seconda iterazione dell'opera magna di Kojima riesce si a portarsela a casa ma, dove fa un passo avanti nel gameplay, ne fa allo stesso tempo uno indietro in tutto il resto, a causa della personalità dell'autore che emerge davvero fin troppo, indebolendo il comparto narrativo e i personaggi.
Sicuramente risulta un'esperienza più divertente del primo da giocare, ma sul lato narrativo speriamo davvero che Kojima si riprenda, perché se una situazione del genere dovesse capitare anche con i futuri OD e Physint comincerà ad essere un problema non ignorabile.