Qualche mese fa ha fatto molto scalpore la decisione dei giudici americani che nella causa fra YouTube e Viacom, gigante mondiale del multimedia, avevano obbligato il sito di proprietà di Google a consegnare i dati degli utenti per poter mettere Viacom nelle condizioni di provare le sue accuse di violazione di copyright. La società aveva anche chiesto a Google un risarcimento di un miliardo di dollari.

Una causa molto simile è stata intentata poco tempo dopo anche da Mediaset, sempre contro YouTube, chiedendo un risarcimento danni di "soli" 500 milioni di dollari per alcuni video di sua proprietà ospitati sul popolare sito di video sharing.

Queste cause, al di là delle cifre in gioco, pongono una serie di problemi di ordine giuridico, tecnico e culturale, che mettono in discussione alcuni fondamenti del Web 2.0.

Veoh

Curioso e quindi meritevole di citazione è il caso di Veoh, sistema concorrente di YouTube, che vince il processo in seguito alla denuncia da parte di Io Group, società detentrice dei diritti di alcuni video pornografici introdotti nel network senza il suo consenso.

Il magistrato Howard R. Lloyd ha respinto le richieste considerando che Veoh agisce come semplice intermediario rispetto agli utenti e adotta tutte le precauzioni possibili per scoraggiare le violazioni, rimuovendo i video segnalati dai detentori dei diritti. Inoltre ha rifiutato la pretesa degli avvocati della Io Group che chiedevano gli indirizzi IP degli utenti che avevano caricato i filmati: "gli indirizzi IP nel migliore dei casi, indicano una macchina e non un particolare utente che fruisca della macchina, il tracciamento degli indirizzi IP sarebbe inoltre superfluo e inefficace rispetto alle misure a cui Veoh già fa affidamento".

La vicenda ha quindi destato l'attenzione di Google: "E' bello vedere che la corte confermi che il DMCA protegge servizi come YouTube, che rispettano la legge e i diritti degli autori..

La decisione del giudice USA, anche se vale solo per il caso specifico, rappresenta un importante segnale nei confronti di tutte quelle società che, sempre più spesso, cercano di monetizzare le violazioni di copyright.

Fonti: Punto Informatico, Veoh.