L'ormai celebre inchiesta online de Il Sole 24 Ore volge lo sguardo a Oriente e analizza il mercato del lavoro nipponico prendendo come testo di riferimento un manga. Si tratta di Tokyo Style di Moyoko Anno, che ispira i giornalisti italiani a scrivere di Giappone e lavoro, o meglio, del rapporto che i giapponesi hanno con il proprio lavoro:


Hataraki ManJobManga/ Come si cambia lavoro in Giappone? La risposta è facile: non si cambia

di Liliana Bossi
“Dall’altra parte del mondo oppure ad una scrivania a due passi dalla mia qualcuno sta facendo un lavoro di cui non so nulla..” In questa frase del volume 3° di Tokyo Style c’è il senso della mobilità professionale nella aziende asiatiche. Come si cambia lavoro in Giappone? La risposta è facile: non si cambia o, se succede, è perché si è sbagliato nella precedente azienda. Le imprese giapponesi sono villaggi globali in cui tutto accade e può essere nascosto. In questo non sono diverse da quelle americane o dalle poche italiane in cui si fa una carriera tutta interna.
La differenza consiste nel fatto che, in quelle americane o italiane, questo avviene solitamente per scelta del singolo, mentre in quelle asiatiche capita per rispetto verso l’azienda e per senso di responsabilità. Per questo non esistono nella pratica quotidiana colloqui per nuovi manager che non provengano dallo stesso gruppo o per neoassunti con esperienza.
Il percorso professionale di un individuo avviene tutto all’interno della stessa azienda o per lo meno dello stesso gruppo, dove viene chiamato a ricoprire posizioni diverse con un sempre maggior grado di responsabilità. Il senso del dovere e il senso della tradizione, che si traduce in raccomandazione (necessaria per entrare a livelli più alti dell’azienda), si sposano con un concetto per cui l’azienda è una sorta di famiglia che ti adotta e a cui devi essere devoto.

Gli errori, quando ci sono, si pagano cari: il trasferimento da una sede all’altra o in posizioni diverse è un metodo molto applicato, che spesso si unisce ad un demansionamento che diventa fonte di disonore (nella legislazione giapponese non esiste il concetto legale di mansione, per cui il demansionamento non è perseguibile per legge). “Quando la tiratura si è dimezzata, lo hanno assegnato al posto di direttore di redazione…” (che in Italia è l’equivalente del caporedattore) si legge nel volume 2° di Tokyo Style di cui abbiamo già parlato. E stiamo parlando di un direttore di testata. In Italia, oltre a non essere praticato, questo sarebbe un reato. In Giappone è solo fonte di vergogna per chi lo subisce e anticamera della depressione da mobbing.
Il metodo orientale, per molti versi, assomiglia molto a quello delle multinazionali a conduzione famigliare, dove il giovane erede, prima di prendere il comando, fa esperienza in diversi settori con responsabilità sempre maggiori e una visione del business sempre più ampia. Di per se, è un metodo corretto per dare la possibilità ai rampolli di crescere e di certo è il più usato nel capitalismo da salotto italiano, dove il potere economico è concentrato nelle mani di poche grandi famiglie. La differenza con il Sol Levante, e con l’Asia in generale, è che le aziende di quei paesi non sono a conduzione famigliare (per la maggior parte) ma sono multinazionali quotate in borsa e gestite da manager che si comportano, nella scelta dei collaboratori, come vecchi imprenditori di famiglia.
Questo tipo di comportamento è legato all’anzianità di servizio: in paesi dove la vecchiaia è considerata una classe privilegiata perché mantiene il senso della tradizione, il Top Management resta al comando della barca per moltissimo tempo, molto di più di quanto non lo sia in Italia, che pure è, tra i paesi industrializzati, quello con il più lento ricambio generazionale. I Giapponesi in questo ci superano: hanno la classe politica più vecchia del mondo (anche se l’attuale premier è relativamente giovane, per il tipo di sistema bicamerale in uso chi governa davvero è il segretario del partito di maggioranza che forma il governo) e hanno anche un classe dirigente molto avanti con l’età, che lascia il testimone solo quando l’erede viene giudicato avere sufficiente esperienza, quindi non prima dei 50/55 anni, mentre in Europa e negli USA si sta assistendo all’esplosione dei cosiddetti baby dirigenti, giovani capaci in posizione di responsabilità o comando prima dei 40 anni!