Riportiamo dal nuovo blog di Yupa un'interessante dissertazione sulla situazione della traduzione dei manga nel mercato italiano:

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Ormai più d’un mesetto fa esce su Lo spazio bianco un pezzo che elenca (cito il titolo) 11 “cose” che fanno male al fumetto in Italia.
Pezzo che sarebbe occasione per una considerazione molto generale, che però preferisco lasciare da parte per un (eventuale) altro post.
Qui invece scrivo due o tre cose sul secondo “male”, che poi riguarda il mio campo: la traduzione (ma dài).

Il secondo male viene così titolato: Affidarsi a traduttori inesperti, o disattenti, o poco motivati, o…
Si concentra soprattutto sul lato “italiano” della traduzione, che poi è quello relativo all’adattamento. E, almeno per le traduzioni dal giapponese, nella stragrande maggioranza dei casi, traduzione e adattamento sono separati, affidati a due persone diverse.
Io qui voglio spendere due parole proprio sul lato della traduzione.
Ebbene, com’è messa, attualmente e in media, la qualità delle traduzioni di fumetti dal giapponese in Italia?
Per rispondere senza andare troppo a naso (le risposte a naso possono essere d’effetto ma poco proficue) si possono provare due strade.
La prima strada darebbe i risultati più certi, ma è poco praticabile. Richiederebbe fatica, tempo e risorse. Perché bisognerebbe prendersi un bel po’ di volumi editi… sicuramente più della metà. Un campione molto ampio. E che comprenda ogni editore: sia mai che concentrandosi su uno o due si becchi putacaso solo quelli che lavorano al meglio. O al peggio.
Poi bisognerebbe prendere gli originali. E quindi lanciarsi in un confronto serrato, pagina per pagina. E a quel punto si potrebbero trarre delle somme.
Invece, una lettura occasionale ma di fumetti già tradotti in cui ogni tanto si intuisce che, al di sotto del testo italiano, c’è qualcosa che non ha funzionato durante la traduzione, una lettura occasionale del genere e privadi confronti con l’originale, non è granché significativa per fare valutazioni generali.

La seconda strada invece dice già di più.
Si tratta di vedere come i traduttori dal giapponese vengono selezionati dagli editori. In base a quali qualifiche. E qui cascano un po’ di asini.
Selezioni, per così dire, disinvolte, o addirittura di non-selezioni si verificano non poche volte: il traduttore scelto perché è stato qualche mese in Giappone; o perché ha la ragazza giapponese; o perché dice lui di sapere il giapponese, e io editore mi fido, ed è mio amico, e mica gli posso dire di no!
Si dirà che l’editore rigoroso può ricorrere a un’ovvia soluzione, quella di far fare una prova all’aspirante.
Purtroppo qui sorge un altro problema, indipendente anche dalla buona volontà dell’editore.
Il giapponese non è l’inglese. Vale sempre tenerlo a mente.
Nonostante tutto l’inglese è sufficientemente noto in Italia, specie tra persone di media cultura. Voglio dire, non occorrono enormi conoscenze per valutare se il traduttore dall’inglese ha le competenze necessarie per fare non dico un lavoro d’alta accademia, ma un buon lavoro, un lavoro al di sopra del minimo accettabile, senza cascare in svarioni classici ma tremendi tipo tradurre scalpel con “scalpello”, annoying con “noioso” o eventually con “eventualmente”. In alternativa non è così arduo avere a portata di mano più di una persona con conoscenze d’inglese tali da valutare la prova dell’aspirante, e dare un parere.
Ma col giapponese?… Solitamente l’aspirante fa la prova e l’editore la passa a un traduttore interno, il quale fa la sua valutazione. Ma chi garantisce per il traduttore interno? L’editore deve fidarsi ciecamente di quest’ultimo, e sperare di aver fatto bene a sceglierlo a suo tempo. Perché per l’editore, e ancora per quasi tutti, il testo originale giapponese resta solo un ammasso di segni pittoreschi ma incomprensibili.
Qualcuno chiederà: ma non basta prendere chi ha completato la laurea in giapponese? Dopotutto, terminare l’università significa sapere il giapponese!
Sbagliatissimo! Spiegare perché sarebbe molto lungo, ma è un fatto che, attualmente, terminare cinque anni d’università non garantisce nulla sulla conoscenza della lingua. Una cosa è imparare a superare tutti gli esami di lingua giapponese, anche con un buon profitto, un’altra cosa è a imparare la lingua giapponese a un livello sufficiente da fare delle buone traduzioni. Sad but true.

In realtà un modo per valutare il livello di conoscenza del giapponese esiste, un modo diverso dalla laurea universitaria, o da sistemi assai spannometrici tipo “sono stato un anno a Tōkyō” o “sto assieme a un/a giapponese da due anni”.
Questo metodo ha un nome: nihongo nōryoku shiken, noto anche come Japanese Language Proficiency Test. È un test riconosciuto internazionalmente, probabilmente il più noto in àmbito giapponese. Criticabile su molti fronti (ad esempio valuta solo le competenze passive e non quelle attive), garantisce tuttavia una misura affidabile delle capacità di comprendere come si deve testi giapponesi varî e complessi, e di livello ben più alto di quelli che s’affrontano nell’àmbito dello studio universitario.
Ebbene, su questo dovrebbe basarsi un editore in cerca di un traduttore dal giapponese, e intenzionato a trovarne uno valido.
E potrebbe affidare in tutta sicurezza il lavoro traduttorio a chi ha superato il primo livello, il più alto.
Con cautela potrebbe affidarlo anche a chi ha superato il secondo livello, ma solo con un punteggio sufficientemente alto, non certo a pelo dalla “bocciatura”.

Ebbene, se si volesse sapere qual è, attualmente e in media, la qualità delle traduzioni di fumetti dal giapponese in Italia, si dovrebbe guardare quanti traduttori attivi hanno superato quali livelli del test summenzionato.
Ovviamente questo restando nell’àmbito specifico della traduzione.
L’adattamento, specie nel caso del giapponese, richiederebbe un altro lungo discorso…

Fonti:
Blog di Yupa