Riportiamo dal nuovo blog di Yupa un'interessante dissertazione sulla situazione della traduzione dei manga nel mercato italiano:
--------------------------
Ormai più d’un mesetto fa esce su Lo spazio bianco un pezzo che elenca (cito il titolo) 11 “cose” che fanno male al fumetto in Italia.
Pezzo che sarebbe occasione per una considerazione molto generale, che però preferisco lasciare da parte per un (eventuale) altro post.
Qui invece scrivo due o tre cose sul secondo “male”, che poi riguarda il mio campo: la traduzione (ma dài).
Il secondo male viene così titolato: Affidarsi a traduttori inesperti, o disattenti, o poco motivati, o…
Si concentra soprattutto sul lato “italiano” della traduzione, che poi è quello relativo all’adattamento. E, almeno per le traduzioni dal giapponese, nella stragrande maggioranza dei casi, traduzione e adattamento sono separati, affidati a due persone diverse.
Io qui voglio spendere due parole proprio sul lato della traduzione.
Ebbene, com’è messa, attualmente e in media, la qualità delle traduzioni di fumetti dal giapponese in Italia?
Per rispondere senza andare troppo a naso (le risposte a naso possono essere d’effetto ma poco proficue) si possono provare due strade.
La prima strada darebbe i risultati più certi, ma è poco praticabile. Richiederebbe fatica, tempo e risorse. Perché bisognerebbe prendersi un bel po’ di volumi editi… sicuramente più della metà. Un campione molto ampio. E che comprenda ogni editore: sia mai che concentrandosi su uno o due si becchi putacaso solo quelli che lavorano al meglio. O al peggio.
Poi bisognerebbe prendere gli originali. E quindi lanciarsi in un confronto serrato, pagina per pagina. E a quel punto si potrebbero trarre delle somme.
Invece, una lettura occasionale ma di fumetti già tradotti in cui ogni tanto si intuisce che, al di sotto del testo italiano, c’è qualcosa che non ha funzionato durante la traduzione, una lettura occasionale del genere e privadi confronti con l’originale, non è granché significativa per fare valutazioni generali.
La seconda strada invece dice già di più.
Si tratta di vedere come i traduttori dal giapponese vengono selezionati dagli editori. In base a quali qualifiche. E qui cascano un po’ di asini.
Selezioni, per così dire, disinvolte, o addirittura di non-selezioni si verificano non poche volte: il traduttore scelto perché è stato qualche mese in Giappone; o perché ha la ragazza giapponese; o perché dice lui di sapere il giapponese, e io editore mi fido, ed è mio amico, e mica gli posso dire di no!
Si dirà che l’editore rigoroso può ricorrere a un’ovvia soluzione, quella di far fare una prova all’aspirante.
Purtroppo qui sorge un altro problema, indipendente anche dalla buona volontà dell’editore.
Il giapponese non è l’inglese. Vale sempre tenerlo a mente.
Nonostante tutto l’inglese è sufficientemente noto in Italia, specie tra persone di media cultura. Voglio dire, non occorrono enormi conoscenze per valutare se il traduttore dall’inglese ha le competenze necessarie per fare non dico un lavoro d’alta accademia, ma un buon lavoro, un lavoro al di sopra del minimo accettabile, senza cascare in svarioni classici ma tremendi tipo tradurre scalpel con “scalpello”, annoying con “noioso” o eventually con “eventualmente”. In alternativa non è così arduo avere a portata di mano più di una persona con conoscenze d’inglese tali da valutare la prova dell’aspirante, e dare un parere.
Ma col giapponese?… Solitamente l’aspirante fa la prova e l’editore la passa a un traduttore interno, il quale fa la sua valutazione. Ma chi garantisce per il traduttore interno? L’editore deve fidarsi ciecamente di quest’ultimo, e sperare di aver fatto bene a sceglierlo a suo tempo. Perché per l’editore, e ancora per quasi tutti, il testo originale giapponese resta solo un ammasso di segni pittoreschi ma incomprensibili.
Qualcuno chiederà: ma non basta prendere chi ha completato la laurea in giapponese? Dopotutto, terminare l’università significa sapere il giapponese!
Sbagliatissimo! Spiegare perché sarebbe molto lungo, ma è un fatto che, attualmente, terminare cinque anni d’università non garantisce nulla sulla conoscenza della lingua. Una cosa è imparare a superare tutti gli esami di lingua giapponese, anche con un buon profitto, un’altra cosa è a imparare la lingua giapponese a un livello sufficiente da fare delle buone traduzioni. Sad but true.
In realtà un modo per valutare il livello di conoscenza del giapponese esiste, un modo diverso dalla laurea universitaria, o da sistemi assai spannometrici tipo “sono stato un anno a Tōkyō” o “sto assieme a un/a giapponese da due anni”.
Questo metodo ha un nome: nihongo nōryoku shiken, noto anche come Japanese Language Proficiency Test. È un test riconosciuto internazionalmente, probabilmente il più noto in àmbito giapponese. Criticabile su molti fronti (ad esempio valuta solo le competenze passive e non quelle attive), garantisce tuttavia una misura affidabile delle capacità di comprendere come si deve testi giapponesi varî e complessi, e di livello ben più alto di quelli che s’affrontano nell’àmbito dello studio universitario.
Ebbene, su questo dovrebbe basarsi un editore in cerca di un traduttore dal giapponese, e intenzionato a trovarne uno valido.
E potrebbe affidare in tutta sicurezza il lavoro traduttorio a chi ha superato il primo livello, il più alto.
Con cautela potrebbe affidarlo anche a chi ha superato il secondo livello, ma solo con un punteggio sufficientemente alto, non certo a pelo dalla “bocciatura”.
Ebbene, se si volesse sapere qual è, attualmente e in media, la qualità delle traduzioni di fumetti dal giapponese in Italia, si dovrebbe guardare quanti traduttori attivi hanno superato quali livelli del test summenzionato.
Ovviamente questo restando nell’àmbito specifico della traduzione.
L’adattamento, specie nel caso del giapponese, richiederebbe un altro lungo discorso…
Fonti:
Blog di Yupa
Ormai più d’un mesetto fa esce su Lo spazio bianco un pezzo che elenca (cito il titolo) 11 “cose” che fanno male al fumetto in Italia.
Pezzo che sarebbe occasione per una considerazione molto generale, che però preferisco lasciare da parte per un (eventuale) altro post.
Qui invece scrivo due o tre cose sul secondo “male”, che poi riguarda il mio campo: la traduzione (ma dài).
Il secondo male viene così titolato: Affidarsi a traduttori inesperti, o disattenti, o poco motivati, o…
Si concentra soprattutto sul lato “italiano” della traduzione, che poi è quello relativo all’adattamento. E, almeno per le traduzioni dal giapponese, nella stragrande maggioranza dei casi, traduzione e adattamento sono separati, affidati a due persone diverse.
Io qui voglio spendere due parole proprio sul lato della traduzione.
Ebbene, com’è messa, attualmente e in media, la qualità delle traduzioni di fumetti dal giapponese in Italia?
Per rispondere senza andare troppo a naso (le risposte a naso possono essere d’effetto ma poco proficue) si possono provare due strade.
La prima strada darebbe i risultati più certi, ma è poco praticabile. Richiederebbe fatica, tempo e risorse. Perché bisognerebbe prendersi un bel po’ di volumi editi… sicuramente più della metà. Un campione molto ampio. E che comprenda ogni editore: sia mai che concentrandosi su uno o due si becchi putacaso solo quelli che lavorano al meglio. O al peggio.
Poi bisognerebbe prendere gli originali. E quindi lanciarsi in un confronto serrato, pagina per pagina. E a quel punto si potrebbero trarre delle somme.
Invece, una lettura occasionale ma di fumetti già tradotti in cui ogni tanto si intuisce che, al di sotto del testo italiano, c’è qualcosa che non ha funzionato durante la traduzione, una lettura occasionale del genere e privadi confronti con l’originale, non è granché significativa per fare valutazioni generali.
La seconda strada invece dice già di più.
Si tratta di vedere come i traduttori dal giapponese vengono selezionati dagli editori. In base a quali qualifiche. E qui cascano un po’ di asini.
Selezioni, per così dire, disinvolte, o addirittura di non-selezioni si verificano non poche volte: il traduttore scelto perché è stato qualche mese in Giappone; o perché ha la ragazza giapponese; o perché dice lui di sapere il giapponese, e io editore mi fido, ed è mio amico, e mica gli posso dire di no!
Si dirà che l’editore rigoroso può ricorrere a un’ovvia soluzione, quella di far fare una prova all’aspirante.
Purtroppo qui sorge un altro problema, indipendente anche dalla buona volontà dell’editore.
Il giapponese non è l’inglese. Vale sempre tenerlo a mente.
Nonostante tutto l’inglese è sufficientemente noto in Italia, specie tra persone di media cultura. Voglio dire, non occorrono enormi conoscenze per valutare se il traduttore dall’inglese ha le competenze necessarie per fare non dico un lavoro d’alta accademia, ma un buon lavoro, un lavoro al di sopra del minimo accettabile, senza cascare in svarioni classici ma tremendi tipo tradurre scalpel con “scalpello”, annoying con “noioso” o eventually con “eventualmente”. In alternativa non è così arduo avere a portata di mano più di una persona con conoscenze d’inglese tali da valutare la prova dell’aspirante, e dare un parere.
Ma col giapponese?… Solitamente l’aspirante fa la prova e l’editore la passa a un traduttore interno, il quale fa la sua valutazione. Ma chi garantisce per il traduttore interno? L’editore deve fidarsi ciecamente di quest’ultimo, e sperare di aver fatto bene a sceglierlo a suo tempo. Perché per l’editore, e ancora per quasi tutti, il testo originale giapponese resta solo un ammasso di segni pittoreschi ma incomprensibili.
Qualcuno chiederà: ma non basta prendere chi ha completato la laurea in giapponese? Dopotutto, terminare l’università significa sapere il giapponese!
Sbagliatissimo! Spiegare perché sarebbe molto lungo, ma è un fatto che, attualmente, terminare cinque anni d’università non garantisce nulla sulla conoscenza della lingua. Una cosa è imparare a superare tutti gli esami di lingua giapponese, anche con un buon profitto, un’altra cosa è a imparare la lingua giapponese a un livello sufficiente da fare delle buone traduzioni. Sad but true.
In realtà un modo per valutare il livello di conoscenza del giapponese esiste, un modo diverso dalla laurea universitaria, o da sistemi assai spannometrici tipo “sono stato un anno a Tōkyō” o “sto assieme a un/a giapponese da due anni”.
Questo metodo ha un nome: nihongo nōryoku shiken, noto anche come Japanese Language Proficiency Test. È un test riconosciuto internazionalmente, probabilmente il più noto in àmbito giapponese. Criticabile su molti fronti (ad esempio valuta solo le competenze passive e non quelle attive), garantisce tuttavia una misura affidabile delle capacità di comprendere come si deve testi giapponesi varî e complessi, e di livello ben più alto di quelli che s’affrontano nell’àmbito dello studio universitario.
Ebbene, su questo dovrebbe basarsi un editore in cerca di un traduttore dal giapponese, e intenzionato a trovarne uno valido.
E potrebbe affidare in tutta sicurezza il lavoro traduttorio a chi ha superato il primo livello, il più alto.
Con cautela potrebbe affidarlo anche a chi ha superato il secondo livello, ma solo con un punteggio sufficientemente alto, non certo a pelo dalla “bocciatura”.
Ebbene, se si volesse sapere qual è, attualmente e in media, la qualità delle traduzioni di fumetti dal giapponese in Italia, si dovrebbe guardare quanti traduttori attivi hanno superato quali livelli del test summenzionato.
Ovviamente questo restando nell’àmbito specifico della traduzione.
L’adattamento, specie nel caso del giapponese, richiederebbe un altro lungo discorso…
Fonti:
Blog di Yupa
Replicate anche voi adesso? xD
Bel retroscena, diciamo, analizzato su più fronti comunque. Interessante la sua visione dei fatti, che obbiettivamente, come gli/le si potrebbe dar torto? Saprà il fatto suo.
Però una cosa non mi è chiara: qui si parla d'inglese, ma perchè i manga della DeAgostini per pagine e pagine restavano in spagnolo? =P E dietro c'era scritto "Edizione italiana - stampato in Spagna"... eh si, penso che la DeAgostini meriterebbe tutto un capitolo a sè per le traduzioni! '-'
Peccato che si fa ancora oggi, vero Panini?
Sinceramente? Mi stupisco seriamente che tali soggetti, facendosi un giro in internet non si facciano mai due domande in merito...
A parte gli scherzi, io non conosco il giapponese per cui non sono uno di quelli che legge l'originale per guardare per filo e per segno cosa c'è che non va. Diciamo che mi fido e raramente mi è capitato di "non capire" o "non comprendere" una pagina o un contesto perchè il manga era tradotto male. Sono contrario all'adattamento italiano di alcuni nomi o titoli ma questo è un altro discorso. Per cui dall'altissimo della mia ignoranza direi che il lavoro è comprensibile. Però (eh si c'è un però) deduco che questo è un lavoro molto difficile ed articolato proprio per questo forse sarebbe meglio che siano persone esperte e ben qualificate a svolgerlo (oltre che giustamente ben remunerate), e non il primo piffero che passa.....
Tornando agli scherzi faccio appello alle care case editrici italiane. Io ho un amico in Giappone..... per cui non so secondo voi so il giapponese?? se mi pagate la trasferta per un anno nel Sol Levante giuro che ve li traduco tutti io
E infatti io ci sarei cascato in pieno
Interessante articolo comunque.
@HellGirl: la Deagostini? Gintama a volte sembra tradotto con google traduttore
Beh, complimenti sia per l'articolo, sia per il lavoro che lui stesso svolge. ^^
"Qualcuno chiederà: ma non basta prendere chi ha completato la laurea in giapponese? Dopotutto, terminare l'università significa sapere il giapponese!"
Questo è un argomento che mi piacerebbe analizzare insieme. Allora, perché gli studi orientali prevedono 2 lingue extra-europee?? A che serve sapere il giapponese e...che so, l'hindi? Il coreano?
Il nihongo nōryoku shiken lo consosco e confermo sul livello pratico passivo che esso fornisce. Parlare il giapponese in modo fluente Vis-à-vis non se ne parla, in compenso puoi tradurre il Tokyo Shinbun dalla prima pagina fino agli annunci pubblicitari.
Una buona dottrina nel campo linguistico ricorda che bisogna saper:
Leggere
Scrivere
Parlare
nelle università si fa troppo lavoro da amanuensi, poco laboratorio (conversazione) e pochissima lettura (che non siano le classiche lettere che manda Anna Rossi dal Giappone ai Suoi parenti)*
* tipico esempio di Shukudai (compito a casa) che si fanno a livello universitario.
Se volete imparare la lingua fate il nihongo nōryoku shiken e, soprattutto, leggete tanto. Media che usano messaggi testuali aiutano parecchio.
già abbiamo abbastanza problemi coi nostri dialetti regionali,figuriamoci in un contesto più ampio come quello delle lingue internazionali,già con quelle europee facciamo una fatica tremenda,tranne alcuni casi o con madrelingua,in tutti gli altri è quasi un disastro.
per non parlare delle lingue orientali come il giapponese,nel contesto di una traduzione di un manga le migliorie ci sono state,ma ne sapremo sempre meno di uno proveniente dal sol levante,nonostante l'impegno profuso da alcune importanti case editrici nel nostro Paese.
offrono comunque un buon servizio,a tratti anche efficiente,ma sulla lingua io credo che nelle traduzioni avremo sempre qualcosa tutti da ridire negli anni a venire nonostante i miglioramenti.
un campo come quello della traduzione di un fumetto nipponico lo ritengo sempre qualcosa di complicato,credo sia anche una questione di gusti differenti nel seguire un manga.
sono diversi fattori da considerare,e dove possono soddisfare una parte di utenza,ne scontentano un'altra,e un'altra per un altro motivo e così via.
Sono d'accordo che dovrebbe essere usato come riferimento standard per il livello di un traduttore. Valuterà anche le competenze passive e non quelle attive, ma in fondo ad un traduttore è quelle che vengono chieste.
Un appunto: il secondo livello per i manga non è affatto poco, per la narrativa è un altro paio di maniche. Il grosso della differenza sta nel numero di kanji effettivamente conosciuti e sulla comprensione orale, più che sulla conoscenza grammaticale. Se tagliassimo fuori chi non ha il primo livello, mi sa che solo un traduttore di manga non perderebbe il posto...
Bisogna poi vedere chi con un livello uno si accontenta di tradurre manga, magari pure mal pagato...
P.S. Leggo ovunque critiche selvagge alle traduzioni di manga in Italia, ma siete tutti madrelingua giapponesi per sapere se effettivamente sono sbagliate? Lo chiedo perché quasi tutte le critiche vengono da persone che al massimo sanno dire sayonara, mentre dai traduttori qualificati non ho quasi mai sentito stroncature feroci come sui forum...
Oh, mica gliene è fregato qualcosa alle case editrici eh!
E spesso manco hanno un correttore di bozze...leggevo certi refusi proprio su "Edgar e Allan Poe" ieri, oltre ad una traduzione letterale ( tipo "Fratello Henry" per tradurre" Henry oniisama") che davvero ti fa venire voglia di lasciare il volume a metà
Dove si vuole andare a parare?
È solo una mia impressione e sono sufficientemente sicuro che non sia così, però in alcuni di questi articoli (quindi quelli ripresi dal blog di Yupa) una cosa ho avuto l'impressione di carpire: sembra quasi trapelare lo stesso atteggiamento che ha un cugino di mia madre "verso il mondo": quello è uno stupido, quell'altro non capisce niente, quell'altro ancora è una mezza tacca e così via; tutti imbecilli al suo confronto, solo che poi questi fan carriera e lui no...
Conclusione? Non credo ci sia, ma gridare "al lupo al lupo" considerando il suo di lavoro (di chi è il tanto - anche da me - chiaccherato A certain magical Index? si, è suo...) mi pare discutibile e fuori luogo: mi spiace ma "è uno dei tanti" e non credo sia particolarmente logico e giusto fare certe "dissertazioni" come si chiamano; molti altri suoi colleghi fanno un ottimo lavoro, sia di traduzione che di adattamento e, mi spiace dirlo, ma questi suoi colleghi, probabilmente anche tra quelli che critica, fanno un lavoro, quantomeno da me (e da altri come me, posso evincere), diverso, con un approccio che a me piace molto di più...
De gustibus, indubbiamente, però anch'io ho lavorato e lavoro nel settore dell'editoria (quindi un settore dove non si tratta solo di giapponese, ma anche di russo, cinese, coreano e chi più ne ha più ne metta), per case editrici di certo non grandi e tutto quello qua descritto proprio non avviene, e se capita è così circoscritto da poterlo tranquillamente non considerare o individuare con una facilità imbarazzante.
Dal mio punto di vista è un male peggiore voler snaturare in nome di un italiano che alle volte non si presta a questi funanbolici adattamenti opere che, con un minor zelo e una maggiore elasticità, avrebbero meriti maggiori da parte di un pubblico ben maggiore (le note esistono anche per le spiegazioni "italiano-italiano" quindi evitiamo la buffonata delle troppe note, se servono per una migliore resa si mettono...) io ho sempre lavorato così, sia con gli autori che con i traduttori, e chi pubblica (e chi compra) apprezza...
E' anche triste sapere che nemmeno studiare una lingua all'università e laurearsi fornisce tutti i requisiti necessari. Non parliamo poi dei vari corsi online di giapponese, di cui mi fido ancora meno. Utili magari ad avere un infarinatura generale ma di certo non ad imparare bene una lingua.
Credo che vivere in Giappone per qualche anno sarebbe una delle soluzioni migliori. Con qualche mese impari davvero poco.
senza cascare in svarioni classici ma tremendi tipo tradurre scalpel con "scalpello", annoying con "noioso" o eventually con "eventualmente".
Mi sento ignorante.
Dove si vuole andare a parare?"
Forse si vuole fomentare la mania italiana dove tutti siamo allenatori di calcio, dall'alto della nostra poltrona? Magari non nelle intenzioni, ma il risultato sarà sicuramente quello.
Yupa è un addetto ai lavori. Ma il pubblico che si legge questi trattati difficilmente riesce a svestire i panni del fan e a ragionare da "addetto ai lavori".
E così partono le tifoserie.
Tutte cose che francamente lasciano il tempo che trovano.
Esempio fresco fresco tratto da un manga uscito questo mese: "per provare il suo punto" al posto di "per dimostrare di avere ragione". Secondo me non è stato neanche tradotto dal giapponese ma dall'inglese "to prove your point". Il che non mi conforta, dato che la traduzione di una traduzione solitamente fa perdere alcuni dettagli...e in ogni caso, un traduttore dovrebbe almeno conoscere le basilari regole dell'italiano. A volte non sono rispettate neanche quelle. Ho urlato di rabbia a vedere certi congiuntivi mancanti...
L'anno scorso sono andato ad una conferenza della JPOP dove dissero che, per quanto riguardava loro, condizione essenziale per i loro traduttori era l'esser stati per un bel pò di tempo in Giappone, in modo da aver potuto assimilare modi di dire ed elementi della cultura popolare che spessissimo saltan fuori nei manga.
Avrei preferito qualche esempio; così come ha impostato il discorso sembra più un capriccio ben approfondito solo riguardo il nihongo nōryoku shiken.
L'adattatore si limita (quando è il caso, e non sempre) a far divenire più lineare l'italiano riportato dal traduttore, a rendere "più consone" le frasi e così via... ma tutto ciò significa che il primo "adattamento" significativo è quello del traduttore (a meno che non siano tutti dei Google Translator chi traduce lo fa anche in base al contesto, in special modo per il giapponese, che è una lingua contestuale...) è lui che decide nomi e frasi, l'adattatore le risistema per renderle più fluide...
Credo tu lo abbia fatto, ma, nel caso, se ti fossi letto anche gli articoli precedenti su Yupa capiresti che "queste" critiche non sono infondate.
The Five Star Stories io ho letto solo la "sua" versione quindi non mi permetto di esprimere pareri particolari in merito, però, visto che di specifiche terminologie si parla, non credo che ve ne fossero di giapponesi e questo spiega il perché di una migliore qualità di traduzione/adattamento (solito ragionamento delle peggiori traduzioni degli anni passati: ciò che è in inglese si lascia, ciò che è in giapponese va tradotto a tutti i costi), che però non si esime dall'avere alcuni passaggi in italiano un po' farraginosi (sono un "letterato", e su questo la mia pignoleria non ha limiti)...
Io, appena mi laureo (se mai questo accadrà, sigh sigh), imparerò il giapponese, in un modo e nell'altro, così da potermi leggere i capitoli in originale, scavalcando errori di traduzione, di adattamento e quant'altro!
Condividi la scelta della Jpop che mette la tua laurea al pari di chi ha passato qualche mese in Giappone?
La laurea in sè e per sè non è condizione necessaria per diventare traduttore (e lo dico da laureato
Io sono d'accordo con la JPOP, perchè ritengo giusto che il traduttore debba un minimo essere "dentro" la cultura giapponese, altrimenti tantissime cose gli sono precluse (penso anche solo al mazzo che s'è fatto il traduttore di, chessò, Saint Seiya).
Ora...qui il problema per le case editrici è andare a prendere una persona che sappia bene il giapponese, che sia disposto a studiare originali e a eseguire svariati confronti ( sempre se si vuole fare un buon lavoro) e che sia disposto ad investirci molte ore... una pesona che ha un bagaglio di esperienze e studi di molti anni alle spalle.
Secondo voi una persona di questo tipo quanto può costare in più alla suddetta casa editrice? quanto la suddetta persona può svilupparsi professionalmente in un mercato che non ha mai fatto un vero e proprio balzo in avanti (e quindi quanto sarà soddisfatta della sua posizione)? Quanto una buona traduzione può portare ricavi aggiuntivi rispetto ad una con qualche errore qua e là?
è questo il problema...è un mercato di nicchia con clienti a cui interessa di base il prodotto in sè. Il brand value della casa è secondario rispetto alla passione per il titolo presentato.
Sia chiaro, io non giustifico le cattive traduzioni ma pensandoci bene si devono tenere in conto molti fattori che spesso, volenti o nolenti, vanno contro alle stesse idee delle case editrici (io, sinceramente, non ci credo che questi volutamente partono con l'idea di fare un lavoro mediocre).
Io personalmente mi sono "scontrato" con questa questione in passato,quando ho letto "Maison Ikkoku" edito da Star Comics,e che ancora posseggo.
Ebbene,la lettura mi lasciò piuttosto perplesso,tanto che ricordo che droppai il manga,salvo poi riprenderlo e completarne la collezione un paio di Lucca Comics fa.Mi capitò poi di imbattermi in una versione online su un sito americano che scaricai e tradussi,trovando la versione americana molto più fedele alla versione dell'anime (mio punto di riferimento,grazie alla traduzione fedele all'originale,presente nei sottotitoli dell'edizione Yamato) di quanto non fosse la versione italiana,con balloon spesso e volentieri esageratamente stringati e poveri di contenuto.
Per cui,avendo avuto la prova personalmente di questa situazione,non posso che essere d'accordo con l'articolo...
Ho sentito tradurre:
"MUSTARD" in "MOSTARDA" ad ogni occasione possibile! Mi faccio un hot dog con la mostarda... eeeh già! Non con la senape eh, con la mostarda!
"PEPPERONI PIZZA" in "PIZZA AI PEPERONI" ogni volta... persino "MAKE A TOAST" in "FACCIAMOCI UN TOAST" in una scena di un brindisi (toast=brindisi per chi non lo sapesse) ad un matrimonio (con conseguente brindisi.. che se uno non sa l'inglese non ha capito nulla della situazione)!
Questa è incompetenza e menefreghismo assoluto!
Del resto se sei raccomandato il lavoro non te lo tolgono lo stesso...
E questi sono solo 3 dei tanti esempi che ho notato io stesso, presi dall'INGLESE!
Non oso immaginare cosa potrebbero fare con una lingua come il giapponese!
Bell'asrticolo...
Speriamo che in futuro le cose migliorino.
.... e se vede a volte.
Comunque se ne era già parlato un paio di volte di questo problema, in ogni caso è buono riproporre il problema, magari per chi è nuovo da queste parti.
Ho capito.
Al limite si può cercare di avvicinarsi molto..ma nulla di più.
Questo però non giustifica invece certe traduzioni completamente sbagliate da parte di un personale poco attento o semplicemente menefreghista
Per non parlare dell'ormai quasi defunta Planeta Deagostini! In reborn era uno scempi.
Ma mi spiace... neanche le due Major , star comics e panini, si salvano! Santi congiuntivi!!
Questa cosa è terrificante e da correggere immediatamente!
Un insulto al lettore! >.
Mi ricordo per esempio uno "scandalo" scoppiato su un sito riguardo a Toradora perché "la Dynit aveva censurato la parola lesbica"; peccato che, ascoltando dal giapponese (pur con quel poco che so, ma quella parte era davvero semplice), ho fatto loro notare che il dialogo della versione Dynit era riportato paro paro in italiano e nessuno diceva "lesbica" in quel punto...
Ci sono molte verità indiscutibili in quel papiro, ma per la maggiore sono cose che si sapevano (errori grammaticali, traduzione a volte fatte male, ecc...), poi detto da lui che essendo un addetto dovrebbe "solidarizzare" e magari aiutare, invece sembra che trovi gusto nel sparare sulla corce rossa...
Alla fine cosa voleva far capire che non fosse già sotto gli occhi di tutti? Che lui non è raccomandato quindi è degno di stima? Che solo lui è bravo e tutti gli altri son me*dine in confronto?
Mah... Sarà che essendo il suo blog si permette di scrivere quello che gli passa per la testa. Sarà il momento difficile che colpisce questo paese e che magari colpisce anche lui, ma sembra solo il solito ragazzo che vuole farsi notare per essere arrabbiato contro tutto e tutti...
Sta di fatto che gli strafalcioni che si trovano di tanto in tanto non sono legati a traduzione o adattamento dal giapponese... ma sono proprio orrori di grammatica italiana. Se un giorno dovessi raggiungere le competenze per giudicare una traduzione, beh, ne riparleremo. Al livello attuale, posso solo mettermi le mani nei capelli e pregare che almeno i congiuntivi non siano messi a caso!
Invece di lamentele ne ho lette anche lì, per il fatto che il raddoppio della consonante è un artifizio di adattamento scelto da lui e non concordato con la casa editrice o con l'autore. Ma sicuramente è il male minore in un adattamento.
(solito ragionamento delle peggiori traduzioni degli anni passati: ciò che è in inglese si lascia, ciò che è in giapponese va tradotto a tutti i costi)
Tolte le parole inglesi che ormai fan parte del lessico comune giapponese, dove sarebbe il problema?
Certo dice cose molte giuste e, nonostante all'inizio sia rimasto un po' stupito sulle critiche alla laurea e alla richiesta di quell'esame, in effetti direi che dovrebbe essere un requisito.
Dovrebbero essere molto più professionali coloro i quali assumono e al contempo chi lavora invece di fare errori alla CdC
Ok che per noi è uno svago, ma per loro è un lavoro non una passeggiata.
Scandaloso scoprire che anche delle case si richiedano raccomandazioni o futilità come il viaggio in Giappone o la morosa Giappa.
La laurea è proprio un orpello inutile eh
Io miro da tanto tempo al sogno di diventare traduttrice e proprio x questo ho intenzione di passare l'N2. Sxo proprio che possa rivelarsi davvero una carta vincente a mio vantaggio ^^
頑張って見せます~
Come detto in altre sedi, se si vuole applicare un simile approccio lo si applica per tutte le lingue: in One Piece, ad esempio, si inizia a parlare di prima, seconda e terza marcia (invece degli "esotici" gear, first, second, third).
Tutto qua, a me piace che determinate parole, visto che non sono messe a caso, rimangano tali, quindi, per me, una stupida presa di posizione "inglese si, giapponese no" crea molti problemi, specialmente se poi per leggere certe boiate dovrei pure sborsare dei soldi, solo perché l'opera è disponibile in quell'unica versione.
E della traduzione italiana delle mosse giapponesi che mi dici?
tanto cinese e giapponese è la stessa cosa, sempre da là vengono!
loro sono dei "maestri"quanto a traduzione.
@Mikoto
Dipende da che laurea è, se serve o meno a pulirsi la sotto quando finisce la carta igienica...
Con la situazione attuale poi... peggio ancora!!
@sagarasosuke
Dimentichi certe castronerie alle quali ci sta abituando ultimamente la Star Comics... ^^
E anzi, pure i diplomati costano più di chi ha fatto la scuola dell'obbligo...
La stessa identica cosa, vedere una o due parole, tradotte in una frase completa da dieci e lode per un compito di grammatica (il che, in un altro contesto, è solo un bene) che mi occupa tre quarti dell'immagine solo perché è scritta a caratteri cubitali beh... mi lascia con molte parole - dissertazioni è il caso di dire - sul lavoro compiuto...
@ tutti-quelli-che-dicono-che-la-laurea-non-serve-a-una-cippa
se ci credete davvero alzate le chiappe e andate a cercare lavoro in una grande azienda col solo diplomino del liceo... se vi prendono per un lavoro che va oltre il pulire i bagni o rispondere al telefono della portineria fate sapere fin dove potete arrivare...
La laurea serve, altroché se serve, e non una specifica, pressoché tutte, l'aver dato altri anni della propria vita allo studio, essersi messi d'impegno (chi più chi meno, ma se ci si laurea ci si è impegnati comunque, a meno di darla/o) e aver perso innumerevoli volte la pazienza con l'amministrazione dell'università t'insegna a rapportarti col mondo del lavoro, perché in molti casi (come il mio) per studiare "hai a lavora'" e quindi impari ad organizzarti il tempo e impari a non aspettare "mamy o papy" che ti trovino un lavoro bello e pronto; ti "fai il culo" e questo serve, indipendentemente dalla laurea che prendi.
E piantiamola col dire che sono utili solo le lauree che danno un lavoro specifico per quello che si studia (e che, nel mondo dei sogni, ti prendono appena laureato), non è vero, non lo è mai stato e mai lo sarà.
Oggi la laurea ci vuole per tutto quindi chi dice che non serve a niente o è stupido o non sa che razza di mondo è quello del lavoro (a meno di non essere ricchi il giusto per aprirsi il proprio negozietto...).
Se ve la pagaste per intero la laurea non credo che certe uscite ci sarebbero (e non le tasse italiane, ma quelle tipo college o istituzioni private, quando si ha a che fare con cifre da 4 zeri in su vedrai come dai valore al foglietto di carta)...
Certa gente mi fa proprio girare le scatole con ragionamenti del genere...
E c'è differenza tra un 102 in CTF e un 70 preso fuori corso in filosofia...
Capisco l'orgoglio di chi ha faticato per conseguire una laurea e sono d'accordo che la soluzione migliore è avere gente che ha sia esperienza di studio che pratica, però che la prima da sola non basti è un dato di fatto inconfutabile.
Chi sostiene il contrario probabilmente lo fa perché non ha mai provato a tradurre testi pieni di richiami e/o con riferimenti culturali contemporanei.
Questa affermazione l'ho sentita da diverse persone che giustificano la "disorganizzazione" universitaria con la volontà di prepararti agli imprevisti del mondo lavorativo. E continuo a trovarla una spiegazione assurda.
PS: sempre parlando di università italiane, naturalmente.
A me, quando le fanno girare, mi viene solo voglia di far saltare tutto in aria, altro che volontà di prepararti al mondo del lavoro: quello è in mondo del lavoro.
Io ho solo detto che è un primo approccio a ciò che sarà in futuro: segreterie universitarie, uffici comunali, uffici provinciali, uffici aziendali; sono tutti della stessa pasta, non ci si capisce nulla, sono caotici e confusionari.
Semplicemente, per ogni ventenne che si rapporta all'università, le segreterie di queste ultime sono come un trampolino di lancio: prima ti abitui al loro caos, prima impari a destreggiarti in quello del mondo lavorativo.
Ma mai ho creduto che ci fosse sotto una qualche benevola volontà in tutto ciò... per loro disorganizzazione equivale a sprechi, e visti i pochi soldi di cui dispongono sarebbe da idioti mantenere in piedi un tale sistema solo per "preparare" i "giovini" a ciò che li aspetta in futuro...
Quindi non leggiamo tra le righe ciò che non è scritto per favore: io odio dal profondo del cuore il sistema delle segreterie universitarie italiane, ma è un fatto che se impari a conviverci hai fatto un notevole passo in avanti per quando andrai a lavorare... così è stato per me e per chi ci ha avuto a che fare prima di me.. c'est la vie
Just what I think
Ok non è certo una delle traduzioni più contestabili siccome si parla anche di omissioni e fraintendimenti... Però è una storia vera. XP
Nel nostro caso avevamo 2 "veramente esperti" perché di origine giapponese in Italia per lavoro. e in un altro caso un'appassionata e per nulla inesperta del campo.
Più di una volta ci siamo soffermati a discutere l'utilizzo di un termine piuttosto che un altro, appunto per rendere più realistico possibile il lavoro finito.
Dall'altra parte ho acquistato più di un volume contenente errori grammaticali e di logica, che alteravano non poco la narrazione. Per non essere troppo ingiusto non cito la casa editrice perché quasi sempre lei a sbagliare.
Devi eseguire l'accesso per lasciare un commento.