Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi una raccolta di opere particolari con un certo grado di sperimentazione grafica: Kaiba, Redline e Ihara saikaku koshoku ichidai otoko.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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8.0/10
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"Kaiba" è una serie del 2008 prodotta dallo studio Madhouse e diretta da Masaaki Yuasa, regista del noto "The Tatami Galaxy".
Un inaspettato incipit in "medias res" ci catapulta in un mondo a noi totalmente sconosciuto e incomprensibile, di cui non conosciamo nulla e di cui nulla ci viene spiegato. L'assenza di una voce narrante esterna agli avvenimenti dona alla serie quel tocco di realismo che lascia in un primo momento confusi, smarriti, sensazioni che condividiamo con il protagonista stesso che, come lo spettatore, si ritrova precipitato in un mondo alieno e oscuro. Egli ha perduto infatti le sue memorie e, dimentico del suo passato, inizia un surreale e onirico viaggio alla ricerca di se stesso.

Lentamente si apre uno spiraglio di luce sulle fugaci ombre che ammantano i retroscena di questo assurdo mondo, delineando un'ambientazione futuristica, dalle reminiscenze cyberpunk, in cui emerge una società degradata e amorale, ove lo sviluppo tecnologico ha corrotto l'uomo, o forse sarebbe più corretto affermare ove l'uomo ha corrotto la tecnologia, sfruttandola per il proprio egoismo.
Il progresso ha raggiunto vertici inimmaginabili, riuscendo a sviluppare un processo in grado di convertire la memoria degli individui in dati informatici scissi dal corpo e trasmissibili mediante chip. L'essere umano, in questo modo, si proietta oltre se stesso e oltre il tempo, potendo mutare forma a piacimento e inoltre avendo l'opportunità di modificare i propri ricordi, rimuovendo quelli dolorosi e tragici del passato per costruirsi di fatto una realtà piacevole ma fittizia.
Si crea perciò un lucroso commercio di corpi e di chip di memoria in mano ai ricchi e ai potenti; la fascia di popolazione povera rimane reclusa nei bassifondi, impotente e indifesa dalle prepotenze e dai capricci degli strati sociali più elevati. Riserbando per dopo le considerazioni di carattere tecnico in merito alla realizzazione di tale ambientazione, accingiamoci ora a una breve disamina circa la strutturazione della trama.

Senza commettere grave empietà si può ragionevolmente affermare che "Kaiba" si divida grossomodo in due archi narrativi. Il primo, comprendente le prime sette puntate, si concentra maggiormente nel fugare i pesanti dubbi e le incertezze dello spettatore, e insieme del protagonista, circa l'ambiente e i personaggi che si incontrano, dando spazio così alle problematiche di natura etica e morale che emergono dalle varie vicende narrate. La ricerca delle memorie del protagonista viene dunque messa da parte per invece addentrarsi in una sorta di "viaggio" alla scoperta del mondo circostante, narrazione che in un certo qual modo ricorda vagamente quanto avviene in "Kino no Tabi". Il nostro eroe errabondo visita i più disparati luoghi e pianeti, in ognuno dei quali si troverà coinvolto, volente o nolente, nelle tragiche vicissitudini dei personaggi che incontra, vittime di una società corrotta e della crudeltà propria dell'uomo. Una triste malinconia pervade questa prima parte, nonostante la surreale grafica psichedelica si avverte intensamente il dramma dei personaggi, per merito di una poetica intensa e di una regia di grande classe ed efficacia. Le commoventi vicende in cui ci si trova coinvolti, brevi e drammatici squarci di una società degenerata e crudele, avvolgono ancor di più nel mistero la trama principale, presentando piccoli e sconcertanti frammenti rivelatori, i quali, essendo apparentemente scollegati fra loro, risultano indecifrabili e non permettono di potere far luce sull'intricato enigma del passato di Kaiba.

Spetta alla seconda parte il compito di ricostruire, grazie a un magistrale uso del flashback, l'insieme delle vicende e dei retroscena rimasti fino a quel momento celati, andando lentamente a ricomporre quest'immenso e complesso puzzle, mettendo gradualmente al loro posto tutti i pezzi di cui esso è composto.
La regia è qui intelligente e conduce, come già accennato, tale ricostruzione per gradi, dimodoché lo spettatore stesso si faccia partecipe e cerchi d'interpretare gli avvenimenti, aspettando il tassello successivo, che sveli finalmente la verità. La narrazione è continuamente spezzata da flashback e da flashforward, ma non si avvertono buchi di trama, tutte le informazioni vanno al loro posto fino all'apoteosi finale.
Proprio riguardo alla conclusione però, ho rilevato dei difetti che si sarebbero potuti evitare per rendere la trattazione del tutto maggiormente coerente con quanto mostrato in precedenza. Non perdono al regista l'aver voluto forzare un lieto fine non tanto nel messaggio, cosa peraltro azzeccata e ben realizzata, bensì per quanto riguarda i destini dei personaggi, il che rovina l'atmosfera drammatica che si era fino a quel punto delineata, volendo a tutti i costi concludere in modo totalmente positivo, fino all'ultimo fotogramma.

Dal punto di vista contenutistico a mio avviso si poteva fare di più. Gli spunti c'erano tutti per potersi addentrare in considerazioni escatologico-filosofiche riguardo la vita e la personalità degli individui, ma si è preferito concentrasi sulla storia, lasciando a chi guarda un'interpretazione delle tematiche, senza però approfondirle sufficientemente. Questo non è tuttavia un difetto grandemente rilevante poiché in fin dei conti la risultante si può fregiare di un certo spessore e profondità, dovuti in maggior parte alle atmosfere cupe e inquietanti e a una sceneggiatura matura e convincente.

Passiamo ora alle osservazioni in merito all'immaginifico repertorio grafico realizzato da Masaaki Yuasa, punta di diamante di quest'opera. La prima caratteristica che risalta in maniera preponderante agli occhi di chi guarda è senz'altro la stranissima realizzazione tecnica di questa serie. Un disegno essenziale, gretto, delinea figure e paesaggi onirici e deliranti, che sembrano partoriti da una mente visionaria e malata. Le animazioni sono curate e la regia si rivela fenomenale. Come già accennato in precedenza, nonostante la grafica psichedelica e surreale, che potrebbe porre una distanza incolmabile tra lo spettatore e le vicende narrate, traspare, come in una dolce poesia, il dramma dei personaggi, ognuno segnato da un infausto destino di solitudine e dolore.
I personaggi sono gommosi, caratterizzati da un disegno che potrebbe sembrare infantile ma che serba non poche sorprese.
Serie sperimentali come questa se ne vedono raramente nel mondo dell'animazione di oggi, "Kaiba" è un tentativo coraggioso dell'autore di realizzare qualcosa di completamente fuori dagli schemi e dai gusti del grande pubblico.

Pervenendo infine alla conclusione della recensione, non posso che consigliare questa serie a coloro i quali non disdegnano le opere di nicchia e che riescono a vedere un po' più in là dell'apparenza, cercando di cogliere gli spunti e le riflessioni che un'opera vuole donare al proprio pubblico. Alla faccia di chi afferma che l'animazione è una forma artistica inferiore che poco ha da offrire.
Voto: 8.



9.0/10
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Il confine tra genio e follia è sottile, come risaputo, ma ci sono persone audaci che travalicano qualunque logica per sostare in entrambe le fazioni. Ecco quindi un progetto incredibilmente ambizioso, che ha richiesto ben 7 anni per essere prodotto, soprattutto per via dei 100.000 disegni eseguiti a mano.
A far nascere quest'audace film si sono riuniti nomi altisonanti e importanti: la storia è stata scritta da Katsuhito Ishii (collaboratore in "Kill Bill"), sceneggiata dal visionaro Yoji Enokido (sceneggiatore di opere del calibro di "FLCL"," Evangelion", "La rivoluzione di Utena") e diretta da Takeshi Koike (animatore di "Trigun", "Samurai Champloo" e direttore di "Animatrix"), e alle musiche un debuttante Joe Shimoji, che ha dimostrato il suo valore in mezzo ai nomi altisonanti.
Ovviamente non bastano le idee, ma ci vuole anche uno studio d'animazione in grado di sfornare un prodotto di alta qualità. Ovviamente non poteva trattarsi - visto anche il nome azzeccato - che dello Studio Madhouse che ha sfornato l'ambizioso e audace "Redline" nel 2010.

In tutte le galassie si svolgono corse futuristiche pericolose e violente, nelle quali i vincitori passano alle gare di livello superiore per arrivare infine alla tanto agognata "Redline", la mirabolante corsa che determina il miglior corridore dell'universo. Tra questi presenzia anche JP, un ragazzo che trucca le gare per un giro sporco di scommesse, grazie al voto del pubblico che adora i suoi mirabolanti incidenti.
Una trama profonda, intrigante e riccamente strutturata è il principio base di ogni buon film che vuole ammaliare lo spettatore. E in "Redline" non si troverà.
L'opera va oltre questo banale tentativo e instaura una storia tremendamente semplice ma efficace, che nel suo svolgimento mostra il minimo necessario per assistere poi alla tanto attesa corsa, arricchendola con un'esplosiva e superficiale storia d'amore e qualche intrigo planetario che possa rendere il tutto esplosivo.
La storia quindi, pur non risultando banale, va a instaurare situazioni comode a se stessa in modo palese, fregandosene di risultare assurda o forzata: l'importante è divertire lo spettatore e tenerlo attento quanto basta.
Sorprendentemente però nella sua audace linearità riesce ad appassionare lo spettatore, inserendo al contempo velate derisioni alla civiltà moderna - il pubblico delle corse che soffre il caldo per osservare due veicoli che sfrecciano pochi secondi, i giornalisti invasivi e apparentemente senza cervello, e i capi di stato che si contraddicono e agiscono senza cognizione di causa - e un'infinità di citazioni e rimandi come se già il plot non fosse un sufficiente richiamo ai diversi videogame di corse futuristiche, come "Wipeout" o "F-Zero".
Il tutto si chiude con un finale adrenalinico, esplosivo e perfettamente in linea con il resto, ovvero semplice e ricercato nella sua banale forma. Ovviamente è inutile dire che corona perfettamente l'intero film.

Quello che si può evincere dalla trama è molto semplice: essa è un pretesto per tenere lo spettatore davanti al televisore, e lo fa dannatamente bene. Cosa c'è però da vedere per dare al film tanta importanza?
Le animazioni sono fluide e curate - esclusione fatta per il movimento meccanico delle bocche nei dialoghi - mentre balza immediatamente all'occhio l'originale stile grafico formato da colori brillanti e vivi ricchi di grandi ombreggiature, uno stile che ben ricorda quello usato e apprezzato da Goichi Suda. Il design è ben studiato e variegato, dai veicoli e i loro piloti agli alieni che animano le folle, distaccandosi completamente solo per il protagonista dalla Banana anni '80, e la sua Muscle Car.
Ovviamente a rendere il tutto funzionale e appassionante è la fantastica regia, che rende ogni scena della corsa esaltante e adrenalinica, sfruttando efficacemente riprese statiche a veloci carrellate, attraversando esplosioni e nuvole di polvere, mentre le vetture schizzano a destra e sinistra per evitare detriti ed effettuare audaci sorpassi, ma la ciliegia sulla torta è rappresentata dai "Boost" effettuati dal protagonista, accompagnati da sublimi distorsioni della prospettiva che ben trasmettono l'incredibile velocità del tutto.

Il profilo sonoro è perfetto, alternando canzoni dai bassi frequenti e potenti ad altre di natura rock in uno sferragliare di chitarre, mentre divertono i gingle che accompagnano i diversi piloti durante la loro presentazione.
Anche gli effetti sonori non sono meno riusciti, tra il clangore dei veicoli che sbattono, ai furiosi rombi dei motori, che urlano tutta la loro potenza.
L'anime è disponibile in Italia grazie alla Kazé che propone un buon doppiaggio che purtroppo pecca d'intensità proprio nel protagonista. Il DVD e il Blu-Ray offrono una buona qualità video e l'immancabile audio multicanale, ma - come la Kazé ha abituato - non ci sono extra o speciali di sorta.

Nel complesso "Redline" è un film incredibilmente semplice e ricercato nei suoi contenuti, con una storia d'amore superficiale e dalle morali sportive banali, che nel suo complesso diverte e intrattiene con efficacia, ma la punta di diamante di questa piccola perla d'animazione è la ricchezza grafica e registica profondamente strutturata, in grado di comunicare grazie alla semplicità dei brillanti colori e delle mirabolanti azioni che esplodono letteralmente sullo schermo, trasmettendo in questo modo una carica d'adrenalina incontenibile, in grado di smuovere ed esaltare anche lo spettatore più freddo e tranquillo.
"Redline" è un'esplosione di energia indescrivibile a parole, in grado di far provare brividi in ogni singolo arto del corpo grazie alla genialità. Chiunque sia un appassionato di corse non dovrebbe perdere questo gioiello, si tratta di un lavoro originale e talmente ben fatto che chiunque ne sarebbe esaltato dalla visione.



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Ihara Saikaku è lo pseudonimo con cui è noto uno dei maggiori scrittori della letteratura giapponese di tutti i tempi. Saikaku inizia la sua carriera di scrittore nel 1682 pubblicando a puntate Kōshoku Ichidai Otoko, tradotto in italiano "Vita di un Libertino". L'opera segna la sua epoca, e Saikaku è annoverato da molti critici giapponesi come genio letterario secondo soltanto a Murasaki Shikibu, autrice del Genji Monogatari, "La Storia di Genji", composta intorno all'anno 1000.
In effetti, i due scritti presentano forti somiglianze: formati entrambi da 54 capitoli, sia "Vita di un Libertino" sia "La Storia di Genji" ruotano intorno alle figure carismatiche dei loro protagonisti, rispettivamente Ukiyonosuke, abbreviato Yonosuke, e Hikaru Genji, Genji lo Splendente, i quali sono conosciuti prima di tutto come i prototipi degli amatori del proprio tempo. Mentre Genji incarna l'ideale di epoca Heian del nobile in grado di amare sia carnalmente sia spiritualmente, Yonosuke ama prima di tutto l'erotismo: è infatti questa una possibile traduzione, molto approssimativa, di "kōshoku".
Lo stile di vita di Yonosuke e dei suoi contemporanei è incoraggiato dalla società Tokugawa, per la quale l'amore va ricercato al di fuori del matrimonio, comunemente contratto per via del dovere morale di proseguire la stirpe, e si esplica in qualsiasi attività del perfetto uomo di mondo: raffinatezza, cultura cortese e del demi-monde, bellezza fisica e disponibilità economica sono solamente alcuni dei prerequisiti, e padroneggiare questa forma d'arte è privilegio di pochi eletti. Quindi, quale migliore guida di Yonosuke si potrebbe desiderare per guidare lo spettatore moderno all'interno del mondo dei quartieri di piacere?

"Ihara Saikaku Kōshoku Ichidai Otoko" si propone infatti di introdurre lo spettatore al cosiddetto "mondo fluttuante" ("ukiyo", il primo termine del nome "Ukiyonosuke"). L'incipit del mediometraggio è una scommessa che spinge un tale di nome Juzo a recarsi allo Yoshiwara, il più prestigioso quartiere di piacere di Edo (l'odierna Tokyo), e a passare una notte con la celebre taiyū Komurasaki. Preoccupato per Juzo, che in caso di perdita ha scommesso la propria virilità, Yonosuke lo accompagna alla volta di Edo e dello Yoshiwara.
"Ihara Saikaku Kōshoku Ichidai Otoko" non è una trasposizione più o meno completa del testo omonimo, bensì seleziona alcuni elementi tipici del genere kōshokubon ("libri kōshoku") di cui "Vita di un Libertino" è l'ispiratore, in particolare nelle atmosfere, i contatti con i gestori delle case da tè, l'intrattenimento offerto, il voyeurisme, i preliminari e l'atto erotico. Questa narrazione lineare è spezzettata da due tipi di intermezzi: uno riproduce dei contatti carnali tra uomo e donna, in sostanza animando alcune famosissime stampe ukiyo-e (torna ancora il vocabolo "ukiyo") e shunga (letteralmente "immagini di primavera": sono le rappresentazioni erotiche); il secondo riassume sommariamente la vita di Yonosuke.

Le numerosissime citazioni visive si inseriscono in un contesto più ampio, che mira a far rivivere in chiave animata l'universo dell'epoca a tutto tondo, a partire dalla grafica dei personaggi, palesemente ricalcata sui modelli dell'ukiyo-e (corpi piuttosto rotondi e morbidi, biancore dell'incarnato), alle ambientazioni (costruzioni in legno a non più di due piani, pareti tinteggiate a colori penetranti, quali rosso, oro, paraventi realizzati con vesti sontuose e riccamente decorate), dalle musiche (che riproducono prevalentemente il suono di uno shamisen) ad alcuni dialoghi che al momento della comparsa di Komurasaki vengono scritti su sfondo nero, a riproduzione di molti testi comuni all'epoca, che consistevano in immagini in cui il testo faceva da contorno o compariva in pensieri dei personaggi simili a nuvolette. Questi testi sono a volte considerati come precursori dei moderni manga, e nel mediometraggio collegano la visione al medium scelto.
Tutto ciò crea un'atmosfera tanto raffinata quanto sensuale, in quanto la carnalità occupa gran parte della scena ed è rappresentata in maniera graficamente esplicita.
Al termine della sottotrama-pretesto di Juzo, la narrazione torna su Yonosuke e si chiude sull'avvenimento finale del libro di riferimento, ovvero la partenza di Yonosuke alla volta dell'Isola delle Donne.

"Ihara Saikaku Kōshoku Ichidai Otoko" è un documentario animato del cuore dell'ideologia kōshoku: sensuale, colto e raffinato; il film è un'esperienza visiva consigliata a un pubblico maturo che ha interesse ad approfondire la conoscenza del Giappone di epoca Tokugawa per il tramite del suo più penetrante interprete, Ihara Saikaku.