Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero, con Dancouga Nova, Shin Getter Robo [re:model] e Le bizzarre avventure di JoJo (2012).

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.


7.0/10
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"Dancouga Nova" è un non-remake di "Dancougar", una serie robotica del 1985 poco famosa in Italia, che è stata trasmessa sul nostro suolo soltanto nel 2012 sul canale Man-ga. Parlo di non-remake perché a parte il titolo e il mecha design non ci sono punti di contatto tra le due serie. Non ha quindi molto senso confrontarle. "Dancouga Nova" va valutato per quello che è: un super-robot tradizionale trasmesso nel 2007 e che fa qualche concessione alla modernità. Le concessioni si vedono nel chara design, in qualche personaggio moeggiante, nell'harem di personaggi femminili ed in una certa dose di fanservice: si tratta però di concessioni accettabili, perché "Dancouga Nova" rimane nella sostanza un robotico puro e la componente combattimenti robotici domina su tutto il resto.

In pieno 2007 "Dancouga Nova" rimane ancorato agli stilemi più classici del super robot: grandissimo spazio viene dedicato alle trasformazioni, gli agganciamenti, i colpi finali, le frasi ad effetto e le sequenze ripetute. È addirittura più vicino alla tradizione del suo predecessore del 1985, che aveva subito forti influenze dal Real Robot. "Dancouga Nova" è fondato sul mostro della settimana, cosa assai rara negli anni duemila, e questa caratteristica lo salva ai miei occhi. È vero che i personaggi sono deboli, già visti, abbastanza scontati, ma chi se ne frega quando più del 50% del tempo è preso da ottime battaglie robotiche?

Il mecha design è ottimo, superiore a quello del Dancougar originale, opera sempre dello stesso Masami Obari, che qui oltre al mecha design cura anche la regia. Obari è senz'altro più bravo come designer che come regista, e infatti Dancouga Nova non va certo visto per la trama originale (non lo è) o per la regia autoriale (non lo è): va preso come visione disimpegnata che gioca sugli stereotipi di tette e robot. Sul lato robot, quello dominante, la serie è ineccepibile, design e trasformazioni sono ottime, ed è specialmente apprezzabile il God Max Dancouga che appare nel finale, così massiccio da ricordare il buon GaoGaiGar. Buona anche la base trasformabile nel Drago Spaziale, così come faceva Dancouga nel 1986 omaggiando il Gaiking del 1976. Sul lato tette non si esagera con il fan service e le proporzioni delle ragazze sono del tutto ragionevoli, il chara design lo trovo buono e adeguato, specialmente per quanto riguarda la protagonista.

Sul lato trama siamo messi male: si parte bene, con il mistero sull'origine del Dancouga e il suo vero scopo, ma si spreca tutto con degli "spiegoni" lunghi e abbastanza inutili, visto che si tratta di idee già viste mille volte nella fantascienza. Il finale è discreto (meglio dello scarso finale del Dancouga originale) ma abbastanza affrettato, sarebbe servita una puntata in più, 13 invece delle 12 da cui è composto. Buona la opening, che sorprendentemente non è il tema usato per i combattimenti, ma una musica molto più dolce con un sound originale. Nel complesso, tenendo conto dell'esilità di trama, è un anime da 6,5 ma lo arrotondo a 7 per l'adesione alla forma del robotico classico e per la buona confezione.



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Nel 2004 viene prodotta questa serie TV di tredici episodi, l'ennesimo remake/reboot della saga di Getter Robot, a testimonianza del successo che quest'opera continua ad avere a distanza di decenni anche dopo la morte del suo creatore, Ken Ishikawa. L'idea era probabilmente quella di creare un anime con uno spirito più vicino a quello del fumetto originale di Ishikawa: protagonisti sanguinari e psicopatici, combattimenti che si trasformano in orge di sangue, epica e adrenalina a bizzeffe. La trama è grossomodo simile, all'inizio, a quella del manga Getter Robot: il professor Saotome costruisce un robot componibile in tre parti, che sfrutta i Raggi Getter come fonte di energia, e dopo svariati tentativi fallimentari trova tre piloti adatti nelle persone di Ryoma Nagara, Hayato Jin e Musashibo Benkei. I nemici da affrontare in questa ennesima incarnazione del Getter Robot non sono però i Dinosauri, bensì gli Oni, come avveniva nel manga Getter Robot G e nell'omonima serie televisiva tratta da questo manga.

L'inizio è scoppiettante, intriso di sangue e violenza, distante anni luce dalle serie infantili degli anni '70: Ryoma è un attaccabrighe brutale e violento, Hayato un ecoterrorista sanguinario, Musashibo Benkei un bonzo tutt'altro che santo; anche il professor Saotome non è uno stinco di santo ed è ossessionato dal progetto Getter, mentre sua figlia, Michiru, qui compare nelle vesti di archeologa con un bel caratterino. I primi tre episodi sono dedicati quasi esclusivamente alla presentazione di ognuno dei piloti e sembrano promettere una trama avvincente, non certo originale e ben nota a chiunque conosca la Getter Saga, ma comunque capace di intrattenere, con il giusto ritmo; a un certo punto, poi, l'espediente dei viaggi nel tempo, ripreso da un altro manga di Ishikawa, Kyomu Senki, catapulta i piloti del Getter Robot fino all'epoca Heian e li fa scontrare nientemeno che con Abe no Seimei (qui malvagio evocatore di oni, ben diverso dallo "zietto" di Abenobashi). La commistione fra elementi storici e mecha non è perfettamente riuscita e la parte ambientata nel passato avrebbe potuto essere gestita meglio, tuttavia costituisce una variazione originale all'interno della saga del Getter Robot.

Lo stile delle animazioni è molto particolare, rozzo, vagamente simile a quello dei fumetti di Nagai e Ishikawa, mentre la colonna sonora rock ad opera degli JAM Project è possente e galvanizzante al punto giusto, dando ai combattimenti quantomeno un accompagnamento musicale di tutto rispetto, a cominciare dalla splendida opening Dragon, udibile anche più volte nel corso delle battaglie.



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"Le Bizzarre Avventure di JoJo" o "Degli anni '70, anche se è stato scritto nell'87". Non a caso la sigla finale, i cui frammenti ci accompagnano per tutta la serie, è la splendida "Roundabout" degli Yes, canzone di apertura di quel gran cd che è "Fragile", anno 1972. Già, i '70 e il rock progressivo; l'estro, il progredire ritmico e melodico, la fantasia e l'impegno a creare qualcosa di originale e strutturato, tutto questo può essere trovato fra le righe di questo "Jojo", che però ha un'ulteriore pregio: non si prende troppo sul serio.

La naturalezza con cui ci vengono presentate situazioni stravaganti e sopra le righe definisce il particolarissimo stile di Hirohiko Araki. A un certo punto si è così inseriti in questo "gioco" che quando poi si presentano delle situazioni o delle riflessioni un po' più serie ci si trova spiazzati. Credo che questo sia il maggior pregio di Jojo, il saper divertire pur facendo anche riflettere, e poi l'ignorare totalmente le leggi della fisica e della logica con una (non)coerenza e una spontaneità tali da far sembrare gli eccessi che ci passano davanti agli occhi quasi verosimili. Un trascinante vortice di colore e di zuffe, ma anche dei clichè tipici del genere, di cui a volte si fa coscientemente beffa.

Ma tralasciamo per un momento la mia personale opinione e guardiamo Jojo da un punto di vista più oggettivo. Visivamente l'anime, soprattutto considerato il budget, si presenta come un gioia per gli occhi. Devo ammettere che a prima vista il character design e il metodo di colorazione non mi avevano particolarmente colpito e tutto sembrava alquanto statico, ma più le puntate scorrevano e più mi trovavo a pensare che non l'avrei voluto vedere realizzato in nessun altro modo. La grafica veste perfettamente lo stile stravagante dell'autore in un continuo cortocircuito di pattern, colori ribaltati e onomatopee giganti. Questa particolare tecnica dona all'anime quella punta di psichedelia presente anche nell'opera originale ed è funzionale alla voluta (basti guardare il titolo) bizzarria dell'opera. Tecnicamente non sarà sicuramente il massimo, sinceramente non saprei neanche dire, ma lo stile c'è tutto e devo dire che per me è molto più importante lo stile che vedere ogni pelo del naso muoversi al vento.

Le musiche sono molto buone e, in linea con le principali sigle dell'anime, pescano a piene mani nell'immaginario musicale anni '70, in quanto ben si sposa con lo stile e i colori dell'anime. Ci sono le dovute eccezioni, ovviamente nelle situazioni drammatiche e riflessive la linea musicale si adatterà al momento, ma la personalissima vena di questa serie è spesso accompagnata dalle sonorità di quegli anni, spezzate da qualche break hip hop. Il solo fatto che i frammenti di "Roundabout" siano il tema principale dell'anime, poi, alza la mia asticella di gradimento della soundtrack, del resto gli Yes sono stati allo stesso tempo dei grandi esponenti del genere (che io apprezzo molto, se non si fosse notato) e fra quelli che, a mio parere, hanno contribuito a renderlo leggermente più accessibile (mi si concederà che "Roundabout" è un pelino più orecchiabile di una pur fantastica "21th Century Schizoid Man"). Se come me siete appassionati della musica di quei tempi, il rischio che a fine visione vi ritroviate a spolverare un dimenticato cd dei "Supertramp" o degli stessi "Yes" è altissimo.

A livello strutturale Jojo si presenta come un classico battle shonen con delle graditissime variazioni sul tema e una valanga di trovate originali ed eccentriche, una su tutte la suddivisione della storia generale in filoni generazionali. Oltre a permettere di portare fra i temi il tempo, un argomento fra i più affascinanti di sempre insieme all'universo, questa trovata geniale permette all'autore di cambiare ambientazione e personaggi periodicamente, a guadagno ovviamente della originalità e della varietà di situazioni e temi. Temi che sicuramente non verranno sviscerati, ma ben abbozzati sicuramente si, e una bozza è sufficiente a ricamarci sopra e continuare la riflessione per conto proprio, quindi direi che per un battle shonen siamo più che bene.

La trama è quanto di più semplice possa esistere ed è quasi interamente contenuta nel titolo. In buona sostanza seguiremo gli avvenimenti a cui hanno preso parte i discendenti della famiglia Joestar nelle varie epoche, ritrovandoci a esplorare vari contesti, con relativi antagonisti e compagni ma con un filo rosso che li unisce. Quindi non è tanto il "cosa" che colpisce, quello che colpisce è il "come". Le vicende dei personaggi sono gestite in maniera dinamica e coinvolgente e ne succedono veramente di tutti i colori, ve lo posso assicurare. Eventi improbabili che rimettono in ballo la sorte dei personaggi si susseguono a un ritmo incessante per quasi tutta la durata dell'anime, conditi da colpi di scena ben pensati, amicizie, sofferenze e un pizzico (fate due) di trash, che non guasta. Se gli ingredienti vi ispirano resterete sicuramente catturati da quella corsa a perdifiato che è Jojo. Ritrovarsi poi a vedere agire il tempo sui personaggi che abbiamo imparato a conoscere è un po' come vedere il tempo che agisce su di noi e infonde una dolce malinconia, già, perché con il passare del tempo passano anche le persone, ma c'è qualcosa in quel personaggio che si chiama sempre Jojo che non passa mai.

Il fumetto ha un sacco di anni sulle spalle ma devo dire che non li dimostra proprio! Anche se si avverte qualcosa di classico (qualcuno ha detto "Ken"?) specialmente nel design dei personaggi, i meccanismi adottati e le dinamiche dei combattimenti sono così freschi che viene da chiedersi come qualcuno non l'abbia preso in mano prima per una versione animata.

Mi dispiace solo di non averla vista abbastanza recentemente da poter argomentare le mie opinioni come vorrei, ma visto che a breve è stata confermata la seconda serie di questa piccola perla, ho pensato che fosse il momento giusto per ripescarla dalle memorie.

In conclusione, se cercate uno shonen fuori dai ranghi e con una forte personalità, e se apprezzate le trovate, come dire... bizzarre, le avventure di Jojo faranno sicuramente per voi e apprezzerete il tempo in compagnia della famiglia Joestar e delle sue innumerevoli generazioni, così diverse ma così uguali nell'avere sogni, speranze e beh, difetti, ovviamente.