Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero, con gli anime Time Of Eve: The Movie, Mobile Suit Gundam ZZ e Tonari no Seki-kun.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.


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All'inizio degli anni quaranta Isaac Asimov creò le tre celebri "leggi della robotica"; lo scrittore era convinto che nessun robot, se progettato seguendo queste poche regole, avrebbe mai potuto arrecare alcun danno né al suo padrone né ai suoi simili.
"Time of Eve" accoglie le tre leggi sulla robotica ma, allo stesso tempo, denuncia l'esistenza di un grande vuoto normativo: oltre che garantire la sicurezza della razza umana l'impianto di Asimov non dice nulla sulle altre caratteristiche di un robot, specie quelli aventi forma umana. Può una macchina comportarsi in maniera autonoma in assenza di comandi specifici? Può mentire, gioire, innamorarsi, divertirsi, se nel far questo non vengono contraddette le tre leggi della robotica?

"Time of Eve" nasce come un "anime originale per la rete", diviso in sei episodi che sono poi stati accorpati in unico film. La storia narra di un futuro in cui gli androidi, robot uguali nell'aspetto agli esseri umani e che si distinguono da essi solo per la presenza di una specie di anello sopra le loro teste, vivono assieme agli uomini e svolgono per essi i compiti più svariati. Il giovane Rikuo per caso scopre che il suo androide casalingo ha spesso dei comportamenti indipendenti dalla volontà dei suoi padroni. Dopo una piccola indagine scoprirà che Sammy (questo il nome che il ragazzo dà al suo robot) frequenta a sua insaputa un insolito café, "Il Tempo di Eva", la cui regola principale è l'assenza di qualsiasi tipo di discriminazione tra esseri umani e androidi. Il rispetto di questa regola è una condizione assoluta per poter frequentare questo locale, e per garantirne il rispetto viene concesso ai robot di spegnere l'anello che galleggia sulle loro teste, rendendoli così indistinguibili dai normali esseri umani.
Dalla visione di questo film, ovviamente, si coglie come la nostra concezione di robot sia cambiato dagli anni quaranta a oggi; il grande Asimov non poteva di certo immaginare fino a che punto poteva spingersi l'immaginazione e la progettualità dell'uomo del secolo successivo. In particolare non poteva di certo applicare i problemi sociali dei nostri giorni alle macchine: in fondo quello che ci troviamo a osservare guardando "Time of Eve" sono gli stessi problemi che viviamo tutt'oggi di fronte a quello che l'uomo considera strano o diverso: la presenza di un comitato moralizzatore che inneggia alla necessità di non integrarsi troppo con le macchine ci ricorda indirettamente le campagne contro cose e persone di diversa cultura, razza o religione. Lo stesso consumo di anime viene visto, talvolta, con grande diffidenza o preoccupazione da chi non li capisce o non vuole capirli.
Il film, invece, è un manifesto all'integrazione che, a mio avviso, non riguarda solo i rapporti fra uomini e androidi, che comunque è un tema basato su una realistica previsione e non sull'attualità (androidi domestici ancora non esistono e non esisteranno almeno per un bel po'), ma inneggia all'integrazione con tutto ciò che è diverso da noi.

In definitiva, "Time of Eve" si dimostra si dimostra un film decisamente profondo e ricco di contenuti difficilmente riassumibili in una recensione di poche righe. Il consiglio è, dunque, di guardarlo e riflettere sui tanti messaggi che esso cerca di trasmettere e non considerarlo come un semplice film di fantascienza: attraverso i suoi robot questo titolo parla di noi, dei nostri preconcetti e delle nostre prevenzioni.
Decisamente istruttivo e consigliatissimo.



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Prima di iniziare mi pare onesto fare una premessa: tra la posizione dei fanboy di Gundam "va bene tutto purché ci sia Gundam nel titolo" e la posizione dei talebani "l'unico Gundam è quello del 1979 e tutto il resto è inutile" le mie simpatie vanno senz'altro ai talebani. Sono dell'avviso che tutte le storie dell'Universal Century, ovvero ambientate nella stessa linea temporale del Gundam originale, siano inutili. Sono tutte uguali, con sempre i soliti ingredienti: il principato di Zeon, i new types e i Cyber new types, le colonie che cadono sulla Terra, i ragazzini che scorrazzano su navi militari, gli intrighi politici e gli onnipresenti combattimenti tra mobil suit. Tutti elementi che a lungo andare stancano. Va anche ricordato che il primo fra i talebani è lo stesso Yoshiyuki Tomino, che ha sempre detto di essere stato costretto a realizzare seguiti e remake per motivi contrattuali: fosse stato per lui avrebbe solo realizzato lavori originali. Anzi, ha addirittura detto che il motivo per cui ha cominciato a far morire tutto il cast nei suoi anime, guadagnandosi il titolo di sterminatore, era semplicemente quello di rendere impossibile alla produzione chiedergli di realizzare un seguito. Si tratta probabilmente di una battuta semiseria, ma è chiaro che Tomino è un autore che valuta l'originalità grandemente e che non sopporta la minestra riscaldata. Non così il grosso della fan base gundamica, che è andata avanti per trentant'anni a richiedere sempre gli stessi ingredienti.

Fatta questa premessa, è chiaro che la mia valutazione delle serie post 1979 è soggetta a un handicap. Venuta a mancare l'originalità, la valutazione si deve basare sui personaggi, sull'atmosfera della serie e sulla realizzazione tecnica. Secondo questi parametri ZZ Gundam si comporta stranamente bene, molto meglio del suo predecessore Z Gundam. Il merito è dovuto al cambio di registro: ZZ Gundam si presenta come una serie molto più leggera, partendo come una commedia con degli avversari simpaticamente ridicoli, su tutti il cavaliere della rosa Mashymre Cello e la maggiorata fuori di testa Chara Soon. Questo cambio di registro, secondo alcuni imposto dalla produzione, ha fatto infuriare tutti i fan dello Z Gundam, ma ha rallegrato immensamente tutti i suoi detrattori, come il sottoscritto: finalmente Tomino torna a non prendersi sul serio e abbiamo una serie gundamica che ricorda molto di più Xabungle e L-Gaim che il Gundam originale. Addirittura il serissimo Yazan visto nel finale di Z Gundam viene ridotto a macchietta comica sulla falsariga del pistolero Timp di Xabungle, una gran trollata di Tomino che fa diventare un personaggio odioso quasi simpatico.
Purtroppo nella seconda parte, quella ambientata sulla Terra, la serie diventa molto più drammatica, con una quantità di morti inutili e di puntate filler tristissime, che stonano con le battute che pure continuano a rimanere. Questa è la parte più debole, ma resta comunque sopportabile grazie al gradevolissimo chara design di Hiroyuki Kitazume. Di questa parte è degno di essere ricordato il cambio di pettinatura di Roux e Elle. La terza e ultima parte continua su un registro più serio che drammatico, ma è comunque interessante perché l'azione torna a svolgersi nello spazio e tornano Mashymre Cello e Chara Soon. Tornano in versione più seria, e il cambio di personalità è giustificato dal condizionamento mentale subito, visto che sono entrambi dei Cyber New Type. In fondo però rimangono sé stessi, si tratta di cambiamento ma non di stravolgimento dei personaggi. In questa parte Tomino rispetta le direttive di non far morire i protagonisti, ma è di manica larga con gli antagonisti e con i comprimari, motivo per cui le puntate finali di ZZ Gundam sono un'ecatombe non inferiore a quella vista nello Z Gundam. Onestamente avrei preferito meno morti.

La storia è più lineare e meglio gestita rispetto a quella di Z Gundam e per fortuna ci sono un po' meno personaggi, anche se sono sempre troppi, un difetto ricorrente di Tomino. Il finale è chiaro e definitivo, non troppo affrettato come nello Z Gundam, che finisce a metà dell'azione, lasciando molti punti interrogativi aperti: se si vuole conoscere il destino di personaggi come Kamille Bidan, Fa Yuiry e Haman Karn la visione di ZZ Gundam è obbligatoria. I fan della serie classica gradiranno le apparizioni di Sayla Mass e Hayato Kobayashi, altra nota positiva della serie. Una nota stonata invece è stata l'introduzione di Puru Two, fotocopia di Elpeo Puru. Errore tanto più grave tenendo conto che era già stato fatto nello Z Gundam, con il personaggio di Rosamia fotocopia di Four: non se ne può più di cyber new type dal destino tragico, ne bastava una, non quattro! Questo per me è il punto più debole della serie; d'altra parte ha un punto di forza notevolissimo nella realizzazione tecnica, che è di prim'ordine. Il chara design lo reputo molto superiore a quello dello Z Gundam, specialmente nei personaggi femminili. Tra questi il migliore è di gran lunga quello di Chara Soon, grazie anche alla voce estremamente caratteristica della sua doppiatrice Hazuki Kadoma. Musiche, animazioni e mecha design sono di prima classe. Come nota di merito, ci tengono a notare che vengono abbandonati gli odiosissimi luccichii e riflessi patinati di Z Gundam, tornando a un stile sobrio e regolare. Insomma si tratta di una serie gradevole e che merita di essere vista.



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Se dovessi stilare una lista personale delle migliori serie d'animazione invernali del 2014, collocherei Tonari no Seki-kun sul podio, senza pensarci due volte, e forse non senza suscitare un po' di sorpresa: in fondo come potrebbe spiccare, in un mare di uscite stagionali, proprio un titolo da circa sette minuti a episodio, con delle premesse così 'banali' e alcun tipo di aspettativa a suo seguito? La risposta è racchiusa in certe qualità che questo gioiellino possiede tutte, e che di questi tempi è raro trovare perfino nelle opere più attese dal pubblico.

L'idea di Takuma Morishige, autore del manga, è di un'efficacia invidiabile, per la capacità di far convivere due fattori che di solito non vanno a nozze, cioè freschezza e semplicità: il meccanismo comico dell'opera funziona a meraviglia senza dover spingere al limite espedienti tipici del genere quali il nonsense o un ampio cast di personaggi fuori di testa. La situazione che ci si presenta, per quanto sia buffa, non può non ricondursi all'esperienza che un po' tutti, da 'bravi studenti', abbiamo provato, fin dalle elementari, e perché no, anche alle superiori, nel fare del nostro banco di scuola un vero e proprio banco 'da lavoro'. Insomma, alzi la mano chi non si sia mai messo a giocherellare con gomme, matite, righelli o qualsiasi altro prodigioso articolo di cancelleria dimenticato sul fondo del nostro astuccio, durante una spiegazione particolarmente pesante. La sensazione di familiarità è tangibile, magari molto più a noi che non ai ragazzi giapponesi, sottoposti a una maggiore disciplina e ancor meno liberi di concedersi i medesimi svaghi del protagonista. Non a caso il suo nome è Seki (in giapponese 'seki' vuol dire proprio 'posto a sedere'), e lo sentiremo spesso riecheggiare nella testa della sua vicina di banco, Rumi Yokoi, che assisterà agli 'attacchi d'arte' del taciturno giovanotto, beccandosi accidentalmente anche qualche ramanzina al posto suo. La curiosa intesa che si viene a creare in questa coppia dà vita a scenette deliziose, inserite nella seguente routine: la lezione è in corso, lei volge lo sguardo alla sua sinistra, e come al solito vede lui che è tutto intento ad armeggiare con qualcosa, a volte addirittura giocattoli che nessuno si sognerebbe di portare a scuola. Lei dapprima è infastidita dalla cosa, non può proprio tollerare un comportamento così infantile e inopportuno, che per giunta rischia di distrarla dalla spiegazione. Ma proprio non riesce reindirizzare l'attenzione al sensei, perché Seki-kun le ha fornito l'ennesima irresistibile occasione per dare sfogo alla sua immaginazione, animare quelli che non le appaiono più come dei semplici oggetti, raccontarne i sentimenti e le epiche gesta. È a quel punto che all'ingegno di lui si combina la fantasia di lei, accrescendo nello spettatore una genuina immedesimazione e un senso di complicità nei loro confronti. Yokoi-chan e Seki-kun sono qui a ricordarci che la nostra la capacità di spazzare via i momenti di noia è più grande di quanto pensiamo, che basta davvero poco per innescarla, e che non si dilegua assolutamente col passare degli anni, ma si è solo meno inclini a risvegliarla. In fin dei conti, la più sciocca e infantile delle nostre invenzioni mentali è proprio la noia.

Delle situazioni proposte in queste tredici puntate - a cui spero seguiranno delle altre - è apprezzabile, oltre all'innocente ma imprevedibile comicità, anche l'andamento. A dispetto della brevità, nessun episodio si traduce in una visione effimera e ognuno di essi lascia soddisfatti, desiderosi di gustarsi i seguenti, cosa che non avviene in molte short series penalizzate da contenuti inconsistenti quanto il minutaggio. Inoltre, qualche gradito cambio di scenario (ad esempio in laboratorio o in piscina) e il coinvolgimento efficace di alcuni comprimari sventano definitivamente il rischio monotonia. I meriti non finiscono qui: un bel plauso va in particolare a Kana Hanazawa, che dona la sua voce alla protagonista, con un'interpretazione simpaticissima e galvanizzante, oltre che fondamentale, se non unico, strumento di narrazione; e poi ci sono le sigle, divertenti e geniali, perfettamente in linea con l'anime, quasi da essere considerati episodi a parte. Il mio giudizio finale su Tonari no Seki-kun è pertanto molto buono, trattandosi non soltanto della consueta 'piacevole sorpresa', ma di qualcosa di davvero diverso e di spensierato come non se ne trovano molte oggigiorno.