si-alza-il-vento.jpgQuante storie può ispirare una vita? O, meglio, due vite in una sola storia.
Quante vite può vivere una storia? Viene da chiederselo, pensando a Tatsuo Hori e Ayako Yano, due innamorati vissuti alle prime luci dell'epoca Shōwa, e finiti tra le pagine di un romanzo autobiografico scritto da Hori nel 1936, dopo la perdita dell'amata, combattuta e vinta dalla tisi.
E, da quelle pagine, proiettati sul grande schermo, quasi un secolo dopo, dalla potenza dell'animazione di Hayao Miyazaki, sotto le spoglie di Jirō Horikoshi, l'ingegnere aeronautico protagonista del film che si fonde e confonde con l'alter ego di Hori, e di Nahoko Satomi, la versione in celluloide della sfortunata Yano. Tatsuo e Ayako nella prima vita; il Tatsuo romanzesco e Setsuko nella seconda vita; Jirō e Nahoko nella terza incarnazione.
Le copie delle copie sono simulacri, che scorrono sulla superficie impalpabile delle immagini cinematografiche, ma il respiro dell'originale non è andato perduto grazie alla scrittura: i corpi hanno reso possibili le parole, le parole si sono impresse sulle immagini. Noi qui ci fermiamo al punto medio, al passagggio su carta, alla fissazione dell'esistenza sulle righe, tra i capitoli, le stagioni e le voci del quasi-diario di Tatsuo Hori, Kaze Tachinu, pubblicato di recente in italiano nella linea “LibriGhibli” sotto il marchio Kappalab.

È la storia, come avrete intuito, dell'amore di Setsuko e del suo lui (ovvero di Yano e Hori), trascorso tra l'estate felice del '34, nel villaggio di Karuizawa, prefettura di Nagano, già rifugio di poeti e scrittori, e le stagioni in sanatorio ai piedi del monte Yatsugatake, sulle Alpi Giapponesi, dove i due cercano scampo dal morbo che affligge la fanciulla. Passando dal romanzo alla vita, si ricorda che lo stesso Hori, tre anni prima, si era recato nel sanatorio di Fujimi tra i monti Yatsugatake, nella speranza di guarire dal male che, infine, ghermirà anche lui nel 1953.
Dopo un prologo dedicato all'incontro tra i due giovani, una stagione sottratta al caso e diventata destino, l'amore viene scandito sulle pagine del diario dell'io narrante, un memoir che fissa in parole l'oltraggio alla vita perpetrato dalla malattia, ma ancora di più la pervicace e ostinata presenza dell'amore a dispetto dell'ombra della morte.
 

Come nasce questo amore? Come il vento, si alza dal nulla apparente di un orizzonte, si solleva da un prato ricoperto di susuki, trova ombra sotto le betulle.
E diventa voglia di trattenere l'altro, di tenerlo stretto: «per non perdere l'attimo ti trattenni. Non volevo che ti allontanassi da me. Ti presi, e tu mi lasciasti fare» [...] «ti afferrai improvvisamente la mano, e di nuovo mi lasciasti fare».
Come cresce il loro amore? A Tokyo, dentro uno studiolo con vista sul cortile, trasformato in camera di degenza per Setsuko, inferma e già fragile. Gli occhi innamorati di lui la sorprendono a giocherellare con un cappellino da signora. Quando questo cade per terra, per la forza che a Setsuko manca di sospingerlo sul ripiano della toeletta, l'innamorato si china, fino a sfiorare col volto la punta dei piedi di lei, e lo afferra, mettendosi inconsciamente a giocarci, proprio come aveva fatto la ragazza. Proprio come lei. Ma la sottile sensualità della scena non si arresta. La ragazza si ravvia i capelli arruffati, e il ragazzo ha l'impressione di essere il destinatario di quelle carezze.
Tutto il mondo diventa una superficie di contatto. Ogni oggetto, ogni spazio, sono in risonanza con il corpo dell'altro.
Dove va questo amore? Va insieme. Setsuko non osa chiederlo, non osa chiedergli di accompagnarlo. «Che cosa vuoi dire?» «Niente» «Niente va bene, ma prova a dirlo...».
E i due partono insieme. Ed è bello anche se assurdo, è assurdamente bello, che la disgrazia dell'etisìa sia la scusa per una ”fuga d'amore”, lontano dalla casa paterna, per il primo viaggio in due, fosse anche senza ritorno. Quando non si è soli, quando si è insieme, l'uno con l'altro, anche l'idea di non tornare può fare piacere.
In due ci si può volentieri smarrire, nei boschi, tra montagne solitarie. Insieme, si può desiderare che i boschi non abbiano fine.
«Talvolta avete dei pensieri davvero assurdi...». Ma assurdamente belli, come una «promessa inesprimibile».
Cosa promette l'amore? Vita, vita senza fine. E così Setsuko può dire: «Tutt'a un tratto io... voglio vivere [...] Ed è grazie a voi...».
Un amore ci fa desiderare di vivere. Per dissimulare la gioia di un desiderio simile, viene da schermirsi con il verso di Hopkins: Non mi fare desiderare di essere.
Sì, Setsuko vuole essere, così tanto che quasi ne prova vergogna, pudore di quella brama di vita, innamorata di altra vita o di un'altra vita.
Lui non ci vede più dalla gioia: «I giorni trascorsero all'insegna del tipo di felicità che esiste prima della vita stessa. Eravamo più vivi della vita, vivi al punto da esserne afflitti, tanto che il verso di quella poesia [...] tornò improvvisamente tra noi: Si alza il vento, bisogna tentare di vivere».
Come è possibile? Cosa può fare il noi-due di una coppia per tentare la bizzarra impresa?
Se tra il noi e l'amore si intromette la vita, ci si può sbarazzare della vita? Così ingombrante, così rumorosa, così vulnerabile alla malattia? O piuttosto, non sarebbe meglio scambiarli di posto? Frapporre l'amore tra noi e la vita.
Per sentire confluire in noi la vita attraverso l'amore o l'amore attraverso la vita.
È questa la piccola cura sentimentale, la ”medicina da campo del cuore”. Così si parte verso il sanatorio, verso il miracolo di una convivenza convalescente, o di una convalescenza convissuta, in condizioni così drammatiche da far sorridere. Si parte, verso ogni istante strappato al male, infido e sottile, che consuma la vita ma non tocca l'amore.
E non è pietà, né compassione: anzi, quei giorni a un passo dalla fine sono percorsi da un fremito sensuale. Il corpo di Setsuko afflitto e tormentato si riveste di una bellezza straziante.
E inizia infine il viaggio, per lui e per lei come «una luna di miele». Che importa sia verso un sanatorio? E se proprio importa, quando il treno parte, basta farsi coraggio.
«Il contatto fra le nostre ginocchia sembrava voler tentare di scaldare i nostri cuori». L'amore è nei dettagli, da bravo demone o da cattivo dio.
Sembra di rifare, sul treno di Hori, un corto viaggio sentimentale, quasi fosse Kawabata verso il suo Paese delle nevi. Finestrini appannati, paesaggi montani, riflessi.
E dondolati dal vagone, sfiorare uno sguardo o una parte del corpo. Mentre il mondo scorre attraverso il finestrino, il cuore è fermo, fisso sull'altro.
E poi, il tempo al sanatorio di Fujimi. Come misurarlo? Come raccontarlo? Un diario, non di corte ma di corsia, eppure raffinato come una cronaca di epoca Heian, un racconto poetico, sensuale e terribile come l'amore o la notte, quando fa più paura il pensiero della morte, e ci si stringe forte. Questo fanno il poeta e Setsuko, con tutti i mezzi che hanno: gli occhi, le mani, la pienezza dei corpi. O ancora più sottilmente, pensando l'uno con la mente dell'altro, incrociandosi nell'intimo.
«Fui sorpreso dall'incredibile sensazione di non essere più me stesso [...] ebbi come l'impressione di sentire un respiro profondo alle mie spalle, che sembrava essere il mio», «Non ero io a pensare quanto fosse bello lo spettacolo offerto dalla natura in quel momento. Eravamo noi. Era Setsuko, e quella era la sua visione. Il suo spirito aveva potuto vedere quella bellezza attraverso i miei occhi». Così, con toni quasi religiosi, si passa dall'io-tu alla nascita del noi: risuona il biblico Chi ci separerà dall'amore?, ma anche, esplicitamente, il Salmo 23 citato da Hori: «non temerei alcun male, perché tu sei con me».
La verità, resa più forte dalla poesia, è che a sorreggere lui è lei. È Setsuko che rende possibile la loro felicità. Fa tutto lei.
«Persino il mio cuore prese il ritmo del suo». Lui si fa tutt'uno con lei, con il suo battito e respiro, si lascia portare per mano dai suoi occhi, dai suoi gesti, dalle sue parole.
 

In questo, la Nahoko del film è identica. Prende per mano Horikoshi, letteralmente, lo incita a lavorare, a camminare, a resistere, ad esistere con lei e per lei.
Certo, Setsuko ha paura. E il suo amore accorre, vola nella camera dell'amata e le si fa vicino, senza dire una parola. Setsuko lo aspetta, al ritorno dalle sue incursioni tra i larici ai piedi del monte, lo attende addirittura ai margini del bosco, per poterelo vedere arrivare. Perché sentirlo vicino è essenziale. A non lasciarsi travolgere dalla paura che fa quel male, dalla forma insidiosa e floreale. Un nero fiore, come appare alle radiografie. E intanto cade la neve. E cade il sangue sulle coperte, dopo i primi accessi di emottisi.
I corpi degli amanti cercano contatti sempre più disperati, sempre più necessari. I pensieri si turbano, ma continuano a scambiarsi di mente, perché è meglio così che parlare: «Quel silenzio ci trascinava nell'intimo dei nostri pensieri. Entrambi provavamo dolore all'idea dei pensieri dell'altro». Ci si può scambiare, in silenzio, il dolore, o la gioia, «la felicità sublime assaporata insieme».

Molti cercarono invano di dire con gioia ciò che è più gioioso, qui finalmente mi parla, qui nel dolore, sembra dire, con Hölderlin, Hori. Strappare la gioia al dolore, quasi a morsi, facendolo a brani, a brandelli. Godendo immensamente dei singoli istanti.
È una lotta per cambiare il modo in cui scorre il tempo: «Setsuko e io potevamo addirittura definirci come due unità separate dallo scorrere del tempo». In quella dimensione «ogni cosa della nostra vita quotidiana aveva preso una nuova attrattiva».
È un tempo senza giorni, uno scorrere senza trascorrere, come a dire: siamo ancora io e te, prima che morte ci separi. Io e te, separati dal tempo che aderisce alle nostre vite, rendendole mortali. Quando la vita si sarà staccata dal tempo, niente potrà più separarci: sarà lo stare insieme oltre il tempo, per l'eternità. In questa dimensione mistica, Hori invoca Rilke, e, anche dopo la scomparsa dell'amata, può continuare a sentirla, richiamando i versi del poeta praghese: ”mi sfiori, ti aggiri, vuoi urtare contro qualcosa che risuoni di te e ti riveli”.
Ma la battaglia contro il tempo è già vinta, e ci permette di tornare a quei giorni in sanatorio, sollevandoci assieme al vento, che fa tremare i rami del bosco ceduo. È in quei giorni che Hori o il suo alter ego decidono di scrivere un romanzo. Un romanzo  che nasce (dentro il romanzo).
Il frutto della necessità di immortalare quella gioia paradossale, a un passo dalla fine.
A un passo dal baratro, conviene danzare. E la gioia esplode.
«Non dovete pensare solo a me»
«In realtà io vorrei pensare ancora di più a te...»
Lui che risponde a lei.
«Quando mi allontanavo da lei, l'insopportabile distanza faceva sì che tornassi a parlarle e ascoltassi le sue risposte. La nostra storia sembrava infinita, come la vita stessa».
E così sia.
«Perché non riuscite a comprendere che sto bene ovunque mi trovi? Che anche nei momenti più disperati in cui il corpo sembra abbandonarmi non ho mai pensato di voler tornare a casa? Mi chiedo che fine avrei fatto senza avervi al mio fianco... Anche prima, in attesa del vostro ritorno, trepidavo dalla voglia di vedervi. E più il vostro ritardo si prolungava, più sentivo che avrei gioito del vostro ritorno, ma semplicemente il mio orgoglio ha impedito che ve lo mostrassi!».
Lei che risponde a lui.
In due, toccano il vertice della gioia, una felicità traboccante, incontenibile.
Non ci si può più trattenere dall'essere una cosa sola: «spingo il mio viso contro il suo [...] con le guance a contatto possiamo udire i nostri respiri fondersi insieme».
Il godimento pieno rende avventati, audaci: i due si addentrano nel bosco, lui lascia che lei la preceda, come due anni prima, per poterla guardare, mentre cammina davanti. Poi, si fermano insieme. Ad ascoltare il vento, a sentirlo innalzarsi, sollevati.
Com'è possibile restituire in parole una felicità simile? Egli lavora al romanzo sotto lo sguardo di Setsuko, ma «anche mentre sono immerso nel lavoro non faccio che pensare a te, solo a te».
Non sarà un sogno ridicolo, e inopportuno, pretendere di trasformare in poesia una felicità così intima e straziante? Setsuko si accorge di quel dubbio, e lo dissipa con fermezza: «la mia malata mi restituisce uno sguardo fermo da seduta com'è sul letto, senza accennare a un sorriso. Prima di accorgercene prendiamo a contemplarci in quel modo, cercando di resistere sempre più a lungo». È bello non smettere di guardarsi. Qualcuno ha detto che il paradiso, se sarà, sarà guardare per sempre il volto della persona amata.
Lui non riesce a trovare un “lieto fine”. Perché non vuole che il finale implichi la vanità della vita, la sua natura effimera. Ma a rispondere è ancora Setsuko. La vita è non riuscire a prendere sonno. Allora lui, spenta la luce, si avvicina al guanciale, siede sul letto e le prende la mano, e i due restano così, in silenzio, al buio, cullati a tratti dal rumore del vento che scuote le finestre. Per tutto il tempo, Setsuko non lascia andare la mano di lui. La vita è nella stretta delle mani, che non si lasciano.
 
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La morte di Setsuko non viene descritta; di essa veniamo a conoscenza solo retrospettivamente e in maniera indiretta nell'ultimo capitolo, che racconta il ritorno dell'io narrante al villaggio di Karuizawa, a un anno dall'abbandono del sanatorio.
Sentire di dover perdere la propria vita... è più tollerabile questo che perdere la persona amata. Sia che si muoia, sia che si sopravviva.
Allora, non diventa ancora più impellente il bisogno di continuare a vivere nel cuore dell'Altro, oltre la propria stessa vita?
Nel cuore, ancor più che dentro un libro. Forse l'autore cerca, scrivendo, di rendere eterna Setsuko... ma lei è già dalla parte del per sempre.
Perché è parte assieme a lui di un amore.
Nel villaggio innevato di Karuizawa, Hori (o meglio il suo alter ego) apprende molte cose. Impara che le memorie vanno difese. Altre memorie rischiano di frastornarle. Gli stessi luoghi, con lei presente o con lei assente, non sono la stessa cosa. Bisogna ricordare, per tenere l'Altro in vita oltre la morte. Ricordare è un modo di riportare alla vita.
Egli impara, e capisce. Non è lui a sostenerla, né nella vita, né oltre. È sempre lei a sostenerlo. Io sono grazie a te. Io esisto grazie al tuo amore.
Essere è più che vivere. Non è troppo tardi, per colmare la distanza tra vita ed essenza. È ancora tempo di amare.
Un seul être vous manque et tout est dépeuplé. Ma, la persona amata può ripopolare tutte le solitudini.
Può tornare a far sentire la propria eterna presenza a un incredulo sopravvissuto. È un sicuro azzardo, credere che Setsuko sia ancora lì.
Come un'eco di passi attutiti.
Hori può rispondere ai versi che gli ronzano in testa: Bisogna tentare di vivere. Sì. Bisogna provare ad amare. Tu puoi permettermi di farlo.
 
Romanzo per cui vale la pena di affermare che la poesia è la forma più compiuta del vero. Hori rende una vicenda biografica letteralmente immortale. Consigliatissimo a chi ha visto il magnifico film di Miyazaki, ma anche a chi non l'avesse ancora potuto visionare. Le vent se lève, il faut tenter de vivre, nel giapponese di Hori suona: Kaze Tachinu, iza ikimeyamo, che contiene il doppio senso di “Viviamo! No, di vivere non ci è dato”, e ancora di “Sì, viviamo!”. Nonostante la malattia, la felicità. Nonostante la minaccia della morte, l'amore. Più forte della morte è amore.