Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero, con i manga Get Love!! Prince of the Field, Virtus e Al tempo di papà.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.



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"Get love!" è la seconda opera di Go Ikeyamada ed è composta da sette volumi (Il suo primo vero lavoro, "Who is afraid of wolves!?" (Ōkami nanka kowaikunai!?), è invece un volume unico).
Mi sembra strano, leggendola, che questa serie abbia consacrato il successo di questa mangaka particolarmente infelice, in quanto raramente nella mia lunghissima carriera di lettrice appassionata e onnivora, mi sono imbattuta in una storia così mal riuscita e poco azzeccata. "Get love!" è inoltre penalizzato anche da disegni ancora acerbi e da una gamma di personaggi talmente somiglianti tra loro dal punto di vista estetico, che è difficile riconoscerli se i protagonisti non pronunciano il loro nome.
La trama non offre nulla di nuovo al vasto mondo degli shoujo manga.
Miki Moriyama è una giovane ragazza che frequenta la prima superiore, talmente priva di tratti caratteriali che mi è impossibile definirla, che si innamora perdutamente del giovane asso della squadra di calcio della scuola, altrettanto anonimo, famoso per la statura notevolmente inferiore alla norma, apparentemente gracile ma in grado di diventare una tigre quando scende in campo.
I due si fidanzano già nel primo capitolo, apparentemente a caso, perché se è vero che Miki lo osserva di nascosto da tanto tempo, è anche vero che i due non si sono praticamente mai parlati e che a Yuki. L'innamoramento per la protagonista, scoppia proprio all'improvviso. Da qui, prende il via non tanto la trama della serie, perché quest'opera non ha né corpo né struttura, ma una serie di insulsi episodi quasi auto conclusivi, nei quali si distruggono senza alcuna pietà gli stereotipi degli shoujo manga. Festival culturale scolastico, lei in kimono, la mamma di lui morta precocemente (ovviamente bellissima e dalla salute cagionevole), il rivale in amore e/o in ambito calcistico, il fratello di lui, i cosplay di lei, raffreddori che riducono i personaggi in fin di vita... Tutte le scene famigliari agli amanti del genere vengono qua riproposte, senza novità alcuna, abbruttite e banalizzate al limite dell'assurdo.
Per quanto riguarda il resto della trama, che dovrebbe, credo, vedere l'evolversi dell'amore tra i protagonisti e la loro crescita da ragazzini inesperti a coppia salda, ci presenta continuamente due tipi di situazioni, a mio parere insensate, che vengono oltremodo abusate: in un capitolo Miki e Yuuki discutono a causa di un qualsivoglia fraintendimento a livello sessuale e litigano per poi far pace, nel capitolo successivo Miki rischia lo stupro o viene baciata a forza dal ragazzaccio di turno che in realtà ha un cuore d'oro . Queste situazioni si susseguono e si rincorrono per tutti i sette volumi, tant'è che il lettore non si chiederà "che succederà in questo capitolo?" ma "in che modo si fraintenderanno o verranno interrotti sul più bello i protagonisti"? e "chi sarà oggi a tentare di abusare di Miki?".
In mezzo a questo "fantasioso" contraddirsi di sciocchezze abissali, i due protagonisti non solo non matureranno affatto, ma risulteranno irritanti nella loro totale mancanza di spessore e tratti caratteriali, e nei momenti di vera quotidianità.
Il tutto sembra girare attorno ad un precoce desiderio della protagonista di avere rapporti, che vengono però interrotti dai motivi più svariati, i dialoghi totalmente inesistenti e poveri di contenuto nei quali i due ragazzi non si dicono mai niente che non sia un "mi piaci" o un "voglio che tu sia fiero/fiera di avermi al tuo fianco". Quello che succede in un capitolo sembra perdere d'importanza alla fine dello stesso, e gli argomenti trattati in precedenza non vengono più rispolverati, lasciando questioni in sospeso o facendo prendere ai protagonisti decisioni troppo affrettate per chiudere il discorso. Tutto questo viene esasperato al punto che Miki, oggetto d'amore o puro desiderio carnale da parte di ogni individuo di sesso maschile della serie, si vede rivolgere complimenti o promesse d'amore, che rimangono poi in sospeso, o risolte con un sorriso amaro da parte del rivale sconfitto che si arrende all'idea di non poterla avere. Dal capitolo dopo saranno tutti buoni amici, sia gli stupratori che i ragazzi respinti.
Ah già, c'è anche una mascotte; un improbabile cucciolo di cane omosessuale e perennemente in calore che tenterà di avere i contatti fisici più disparati con ogni membro del club di calcio, che ovviamente li subirà nell'esasperato tentativo di divertire il lettore.
Infine, ciliegina sulla torta che mi rende impossibile l'affezionarmi a Go Ikeyamada e alle sue storie, è l'orribile scelta di interrompere ogni situazione seria o risolverne di critiche, trasformando i personaggi in grassocci deformed che rovinano l'atmosfera come di peggio non si potrebbe fare! Non importa la serietà del tema affrontato o della sfida che i ragazzi si troveranno davanti... in ogni pagina assisteremo ad una regressione mentale dei "chibi version" protagonisti!
Concludo questa recensione riportando una riflessione che mi ha fatto compagnia per tutta la lettura. Se Go Ikeyamada può fare manga, fare successo e avere fans... voi aspiranti mangaka che coltivate da tempo il sogno di realizzare qualcosa di vostro, non demordete! Nell'ormai vastissimo mondo dei manga, c'è posto anche per voi!




9.0/10
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Virtus, pubblicato in patria nel 2007, è la seconda opera ad arrivare in Italia (alla fine del 2011) di Gengoroh Tagame, l'indiscusso maestro dei "bara manga", cioè i fumetti omoerotici giapponesi disegnati da uomini gay per un pubblico gay. Tagame è noto per lo stile estremamente realistico dei suoi disegni e soprattutto per la predilezione di tematiche BDSD nei suoi fumetti, che risultano quindi molto erotici e violenti. In Italia lo abbiamo conosciuto per la prima volta nel 2009 con Racconti estremi, una raccolta di storie brevi espressamente realizzata come lancio dell'autore sul nostro mercato, pubblicata da Black Velvet. Virtus, invece, ci arriva per i tipi di Renbooks, piccola ma formidabile casa editrice bolognese tutta dedicata ai fumetti a tematica LGBT.

A differenza di quanto mostratoci nella suddetta raccolta, cioè storie piuttosto brevi, quasi tutte violente e concentrate soprattutto sulla raffigurazione degli atti sessuali (pur con una pregevolezza narrativa che prende le distanze dalla mera pornografia da quattro soldi), in Virtus Tagame riesce a sviluppare in un volumetto corposo un'unica vicenda, con una trama ben strutturata e dei personaggi caratterizzati. Ambientata nell'Antica Roma - non sono dati riferimenti cronologici, ma ad occhio e croce nel I secolo d.C. -, racconta della singolare storia d'amore tra due gladiatori: Crescens, figlio di una schiava germana e di un legionario romano e già affermato retiarius (gladiatore che combatte con rete, tridente e pugnale), e Gaius, appena costretto ad apprendere l'arte dei giochi gladiatorii. Quest'ultimo, da subito contraddistinto da un evidente abbattimento e scarsa voglia di vivere, viene subito notato per la sua prestanza dal biondo Crescens, che decide di farne l'oggetto dei suoi giochi sessuali. La violenza subita risveglia Gaius dal suo torpore e lo spinge ad affermarsi come gladiatore, con l'intenzione di vendicarsi in un prossimo futuro del suo rivale. Ma il destino riserva per i due altri progetti...

La cosa che sicuramente salta all'occhio a chi ha già letto altri manga di questo genere è che stavolta ci troviamo di fronte ad una storia ben congegnata, dove le scene di sesso, seppur molto esplicite e condotte con tutto l'interessamento del caso, sono realmente funzionali allo svolgersi della vicenda e non del tutto gratuite. Sia Crescens sia Gaius, pur nella brevità di un singolo volume, risultano perfettamente caratterizzati per il tipo di storia offerta, così come altri due personaggi, il doctor (la positiva figura dell'istruttore dei gladiatori), ed Aelia, la bella e potente matrona romana innamorata di Crescens. La vicenda, dunque, si dipana in maniera chiara e scorrevole, rivelando passo passo alcuni elementi che aiutano a caratterizzare i personaggi oltre a far sviluppare la trama. Il finale è stato inaspettatamente diverso da quanto immaginassi da lì a poche pagine (e devo dire ugualmente con una certa soddisfazione). A fine lettura sono rimasto particolarmente contento, grazie all'ampio ventaglio di emozioni e passioni messo in campo dall'autore, che mi ha senz'altro colpito in positivo. La virtus del titolo, tanto cara ai Romani, è veramente sviscerata in tutti i suoi aspetti, etimologici e non. Se vogliamo trovare dei difetti di sceneggiatura, possiamo senz'altro sottolineare il fatto che le scene delle lotte gladiatorie sono molto rapide e appena accennate; inoltre, anche i momenti in cui Crescens prende con la forza e lega Gaius per sodomizzarlo sono del tutto ellittici, mostrandoci da una pagina all'altra direttamente l'"azione" (ci siamo intesi).

Graficamente Virtus, come già le altre opere di Tagame che ho visto, è una gioia per gli occhi. Il maestro è rinomato per la sua predilezione per gli uomini muscolosi e qui, complice l'ambientazione, può far sfoggio in maniera del tutto naturale e sensata di quel tipo di virilità che tanto ama. Ci troviamo quindi di fronte ad una grande attenzione data alla resa dei corpi scultorei e mascolini di Crescens e Gaius, con una resa particolarmente efficace di muscoli e anatomia, così come di barbe, capelli e peli. Altra cosa particolarmente pregevole è la capacita di caratterizzare molto efficacemente l'aspetto dei personaggi, che risultano quindi tutti diversi l'uno dall'altro; una grande attenzione è data all'espressività dei volti, davvero valida nel trasmettere le emozioni, nonché tratto distintivo nipponico in un manga che altrimenti sembra gridare Occidente, e in particolare Occidente grafico e statuario, da tutti i pori. Le ambientazioni, invece, seppur ben disegnate quando presenti, sono un po' troppo funzionali e non particolarmente rilevanti (nonostante la "location Antica Roma" potesse offrire ben altri spunti).

Il manga fa un grande uso di termini tecnici relativi all'arte gladiatoria e alla società romana. Non sono particolarmente esperto in materia, ma presumo che siano tutti corretti. Dai miei studi classici alcune incongruenze le ho notate, in parte dovute all'autore, in parte ai traduttori, e, seppur non particolarmente rilevanti, tanto vale segnalarle in questa sede. A un certo punto compare la frase «È stato deciso il composito per i giochi», cioè la coppia che dovrà scendere nell'arena: la parola latina è neutra e quando si citano parole latine in una frase in italiano di solito vanno al nominativo (quindi doveva essere compositum). A seconda del grado sociale dei personaggi o delle formalità adottate (presumo in lingua originale attraverso il noto uso dei suffissi giapponesi), troviamo personaggi che si danno del tu o del voi. Nell'Antica Roma il prontuario degli allocutivi era ridotto solo al pronome tu, che si usava con tutti, compreso l'imperatore (il vos di cortesia nasce nel Tardo Impero, in corrispondenza proprio del nos maiestatico imperiale, e le lingue romanze lo ricrearono - pare - senza continuazione diretta). L'antagonista della storia, la matrona Aelia, viene presentata come figlia di un ex senatore, tale Gnaeus Clodius: pertanto, non poteva certamente chiamarsi Aelia (!) ma Clodia (cioè Claudia). Le donne, infatti, non avevano il praenomen (il nome proprio come lo intendiamo noi), ma solo la forma femminile del nomen (per così dire il cognome odierno, vale a dire la gens). Le donne di una stessa gens quindi si distinguevano con vari escamotage (maior, minor, prima, secunda, tertia ecc.). Inoltre anche "ex senatore" è in questo caso un errore: la carica era vitalizia e se ne veniva esclusi soltanto per gravi crimini (ma nel nostro manga il padre della bella Aelia è chiaramente un uomo potente e ai vertici del potere).

Salvo queste piccole sviste d'adattamento - in parte dovute alla difficoltà di rendere "nuovamente romano" quanto già era stato adattato in origine per dei lettori giapponesi - l'edizione italiana pubblicata da Renbooks è abbastanza curata, presentandoci un tomo che, pur senza sovraccoperta, fa la sua bella figura per grafica di copertina e impaginazione (splendida l'illustrazione di quarta!), oltre ad avere un'ottima carta bianca e spessa. L'editoriale, ridotto semplicemente ad una sintetica pagina introduttiva, poteva forse essere maggiormente sviluppato in una vera e propria appendice redazionale (magari offrendo delle annotazioni sull'ambientazione storica, come nei manga pubblicati da Yamato). Il prezzo di 13 € può apparire relativamente elevato, ma è il giusto scotto da pagare per avere in Italia dei prodotti così di nicchia come i bara.

Un manga che consiglio senz'altro a tutto il pubblico omosessuale, visto che offre una storia intrigante e ben sviluppata, accompagnata da disegni bellissimi e da scene erotiche senz'altro pregevoli e eccitanti (be', anche l'occhio vuole la sua parte, no?). Penso che possa essere apprezzato anche dal pubblico femminile che legge yaoi - soprattutto da quelle ragazze che amano anche i maschi ben piazzati oltre ai bishounen - visto che non manca un'introspezione sentimentale e psicologica (seppur in chiave decisamente maschile e quindi più diretta rispetto a quanto si vede di solito nei Boy's Love). Per quanto riguarda i maschi etero, al solito sono un po' indeciso nel dare consigli: il manga è ben fatto e meritevole per forma e contenuti, ma se proprio vi vengono i sudori freddi all'idea di vedere senza mezze misure degli aitanti maschioni "che fanno le capriole insieme", be', allora statene alla larga.




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Esistono manga che trascendono la struttura stessa del fumetto per ergersi a qualcosa di superiore, molto vicina a quel termine che riunisce in se tutto ciò che sia frutto, il più sublime, dell'intelletto umano e che noi chiamiamo semplicemente "opera d'arte"; " Al tempo di papà ", opera del 1994 di Jiro Taniguchi, pur nel candore della sua semplicità, può essere definita per l'appunto arte nella sua massima forma di espressività e bellezza. Bisogna avvicinarsi con estrema prudenza all'opera di questo maestro, ben consci di quello che si cerca dato che non siamo sicuramente di fronte ad un autore che punta alle vendite bensì all'autogratificazione personale, puntando su soggetti il più delle volte fin troppo normali, tratti dalla sua vita, raccontati con un estremo realismo di stampo europeo.
" Al tempo di papà " giunge nel pieno di una maturazione artistica che può permettersi anche uno sguardo nostalgico al proprio passato come dimostrerà l'opera successiva, forse la più famosa, " In una lontana città" (anche conosciuta come " Quartieri lontani"), senza cristallizzarsi in questo ma anzi traendone il giusto vigore per affrontare il futuro che verrà; anche per questo non si limiterà ai disegni ma ne scriverà anche il testo ambientandolo proprio nella sua città natia, la piccola e provinciale Tottori.
Siamo negli anni '90 e l'ormai affermato Youichi vive ormai da tempo a Tokyo, in un continuo andare avanti senza mai girarsi verso tutto ciò da cui è venuto, sarà un evento tragico, la morte del padre, a scuoterlo, costringendolo a fare i conti con il proprio passato. Il ritorno al paese natio dopo tanto tempo, l'affetto e il rispetto verso suo padre da parte della gente del posto, il racconto di certi particolari di vari fatti accaduti e dimenticati, sono gli elementi che conducono il protagonista ad un ravvedimento generale della figura del proprio genitore, reso capro espiatorio del divorzio con l'amata madre con l'ostinata sicurezza che solo un bimbo piccolo può avere.
I rimpianti dello Youichi adulto davanti alla salma del padre sono però benefici, facendolo accostare con spirito diverso al suo paese e ai suoi ricordi raggiungendo la convinzione che le proprie origini, il proprio paese natio sono importanti perché fanno parte del proprio bagaglio, della propria storia personale e risultano un porto sicuro dove rifugiarsi e non da rifuggire.
Con una trama semplice e lineare, ma densa di emozioni, e il classico disegno minimalista e molto curato nei particolari, Taniguchi porta per mano il lettore in una storia di crescita personale, che passa per la crescita della provincia rurale giapponese nel dopoguerra tra tante difficoltà ma con la voglia sempre di non arrendersi mai con orgogliosa determinazione, la stessa che si può riscontrare nel padre, il cui figlio ricorda sempre al lavoro ma comprendendone infine le motivazioni e i veri sentimenti. Uno splendido spaccato di un Giappone che fu e che rimane sempre abbastanza nascosto agli occhi di noi occidentali, sempre focalizzati sulle grandi città. Un Taniguchi quindi lontano da certe pesantezze riscontrabili in altre sue opere precedenti, ma che con grazia intimista realizza un piccolo capolavoro adatto a tutti e non solo ad una piccola nicchia di appassionati e che la Planet Manga ha inserito di diritto nella sua " Taniguchi Collection" ripubblicandolo nel 2011 in un'edizione di livello che merita l'acquisto nonostante il prezzo non economico e certi errori di scrittura.