Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero, con gli anime Nadja Applefields The End of Evangelion e il manga Il campo dell'arcobaleno

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.


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"Nadja Applefields" è un anime della Toei Animation creato da Izumi Todo, pseudonimo dietro al quale si cela lo staff autore delle fortunate serie "Ojamajo Doremi" e "Pretty Cure". Si tratta di un titolo che presenta immediatamente due particolarità: la prima è che è il soggetto è del tutto originale, senza un manga o un romanzo come modello base; la seconda è che, nonostante sia stato prodotto nel 2003, si ispira ad opere degli anni '70 e '80, strizzando l'occhio, in particolare, al famigerato filone delle orfanelle bionde, dolci e sfortunate, apparentemente senza più nulla da dire allo spettatore. Sarà davvero così? Diamo uno sguardo alla trama.

Trama
Nadja è una ragazzina di circa tredici anni cresciuta in un orfanotrofio dell'Inghilterra di inizio 1900 con la convinzione di aver perso entrambi i genitori, di cui, come ricordo, ha soltanto una spilla a forma di cuore. La sua vita cambierà allorquando, dopo aver ricevuto un pacco contenente alcuni oggetti personali della madre, forse ancora in vita, entrerà nelle mire di due loschi individui, per sfuggire ai quali si unirà d un gruppo di artisti girovaghi, viaggiando per tutta Europa all'inseguimento della verità sulle sue origini...

Disegni
Similmente agli altri lavori firmati Izumi Todo, il character design ha un che di infantile, con personaggi dai corpi esili e dai grandi occhi luminosi. Elementi, questi, altamente ingannevoli per lo spettatore, dato che la storia non ha molto di puerile: anzi, spesso sono toccati temi "impegnati", come la povertà, il concetto di giustizia, la brama d'amore insoddisfatta, il senso della vita, i sogni dell'uomo, gli ideali di uguaglianza sociale; addirittura, con uno degli antagonisti di cui non rivelerò l'identità, la pazzia. Inoltre, va detto che questo stile di disegno è comunque gradevole, piacevole a vedersi, ed è valorizzato dall'uso di colori brillanti e delicati, che catturano l'attenzione. Tuttavia, a mio avviso, sono gli sfondi a costituire parte non piccola del fascino di questo titolo: difatti, svolgendosi la storia nelle città d'arte maggiormente rappresentative del Vecchio Continente, è possibile ammirare in ogni episodio monumenti, palazzi e piazze riproposti molto fedelmente. Degni di elogio anche gli interni e gli esterni delle magioni fittizie dove risiedono alcuni personaggi di sangue blu. Deliziosi, infine, diversi costumi indossati dalle figure femminili dell'anime. Nel complesso, l'aspetto grafico è degnamente valorizzato.

Storia
Pur essendo colma di cliché triti e ritriti, la storia non ne risente, grazie soprattutto alla capacità degli sceneggiatori di sfruttarli in maniera imprevedibile e mai scontata, offrendo colpi di scena al posto giusto e al momento adatto che riescono a scombinare le carte in tavola, oppure evitando sapientemente di concentrare l'attenzione esclusivamente sull'eroina della vicenda, dando spazio alle vicissitudini e ai sentimenti dei numerosi comprimari, che non di rado occupano interi episodi, impedendo che la soglia d'interesse di chi guarda l'anime cali, e questo perché, ammettiamolo, a quasi tutti piace scoprire dettagli sul passato di questo o quel personaggio. Unica "colpa" degli autori, per me, è aver occasionalmente abusato di certi stereotipi legati ai Paesi visitati dalla piccola Nadja (come i romani che, su un tram, si mettono a cantare "Funiculì funiculà", peraltro canzone napoletana). Macchia però di scarsa importanza, che non offusca i pregi già elencati. Non si direbbe che sia un prodotto frutto della fantasia del solo staff della Toei.

Personaggi
Come si è detto, i personaggi, a prescindere dalla loro importanza ai fini della trama, sono tutti ottimamente delineati, ognuno con alle spalle un percorso credibile che ne giustifica comportamenti, ambizioni, desideri e sogni. La durata della serie (cinquanta episodi), d'altronde, rende possibile la cura della loro psicologia. Davvero esigue, ai miei occhi, le figure prive di personalità. Anche l'eroina è apprezzabile, benché io non sia propriamente una fan delle ragazzine sfortunate (ma non troppo) e di buon cuore. Infatti, a dispetto della giovanissima età, la fanciulla dà spesso prova di una determinazione e di una forza di volontà invidiabili: in altri termini, non è la classica creatura tutta nastri e pizzi che resta a piangere sul latte versato in attesa che il classico cavaliere biondo, con gli occhi azzurri e il cavallo bianco la venga a salvare (e, per ironia della sceneggiatura, la tredicenne è innamorata proprio di un tipo così), ma agisce, lotta, disposta a tutto pur di riabbracciare la madre a lungo sognata. Qualche perplessità può invece sorgere riguardo all'incredibile triangolo amoroso di cui si troverà ad essere il vertice (e che in realtà, calcolando il contributo degli altri personaggi, diventa un poligono), sia perché esso non viene risolto pienamente, sia perché... Beh, a chi arriverà almeno all'episodio 30 le mie parole saranno chiare. In ogni caso, anche qui gli aspetti positivi mettono in ombra quelli negativi.

Musiche
Mi pare infine doveroso, prima del giudizio globale, plaudire alla selezione musicale, un'autentica delizia per gli amanti delle sonorità classiche. Nelle scene di rilievo, difatti, il sottofondo è costituito da brani di Strauss, Debussy, Offenbach, Cajkovskij. Bello anche il "Waltz n°5", melodia composta appositamente per l'anime, del quale esalta i momenti maggiormente romantici.

Giudizio globale
Se i mezzi voti fossero concessi, avrei dato a questa serie anche un 9.5, ma, purtroppo, devo "fermarmi" a 9. Promossi i disegni, la trama, l'ambientazione, le musiche e la caratterizzazione dei personaggi. In definitiva, un ottimo titolo, che non deluderà chi ama le atmosfere "vintage". Consigliato senza alcun dubbio.




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Inio Asano, nato a Ibaraki nel 1980, soffrì fin da piccolo di una malformazione fisica – un incassamento del torace verso l'interno, per la precisione – che, oltre a minargli completamente l'autostima e la sicurezza, lo convinse che sarebbe morto giovane. Il giovane Asano, quindi, non si preoccupò mai troppo del proprio futuro, terrorizzato dall'idea di un mondo in cui lui non esisteva più mentre i suoi amici e coetanei andavano avanti nella vita, adottando una filosofia di vita basata sulla valorizzazione del presente.

Se con la sua prima opera, What a Wonderful World, Asano si era maggiormente concentrato sul disagio lavorativo ed esistenziale della propria generazione e sulle sue esperienze da freeter, col suo secondo lavoro pare invece tornare indietro alla propria infanzia. Perché in fondo non è difficile riuscire a intravedere un po' di Asano in quel Suzuki dal torace incavato che parla della fine del mondo, così come il suo sogno/incubo di un futuro in cui lui non c'è più mentre i compagni sono andati avanti è pienamente rappresentato nel duale scorrere del tempo del manga. L'impianto narrativo de Il campo dell'arcobaleno è un'evoluzione di quello di What a Wonderful World, presentando non solo diversi punti di vista di più personaggi tra loro strettamente legati che s'intersecano come tanti pezzi di un complesso puzzle e che orchestrano una trama molto più articolata di WaWW, ma anche una struttura temporale ad incastro che passa più volte dal passato al presente. Quasi in una sorta di catarsi personale, Asano inasprisce notevolmente l'atmosfera rispetto a WaWW, sia nell'utilizzo dell'elemento soprannaturale, che acquisisce un'importanza maggiore - seppur non predominante quanto si potrebbe pensare - ed una sfumatura più onirica, sia nella pesantezza delle caratterizzazioni psicologiche e dei rapporti interpersonali. Si può infatti affermare, senza cadere troppo in errore, che non ci sia nell'intera opera una sola persona definibile "sana" e più si prosegue con la lettura più si ha la sensazione di assistere al folle gioco al massacro di una mente disturbata nei confronti di un branco di pupazzi incapaci di ribellarsi ad un'entità più grande e indefinita. E si torna sempre alla fine del mondo, catarsi personale dell'autore e dei personaggi, termine del/i sogno/i ed inizio dell'eternità oppure immutabile ciclo di causa-effetto... ma anche qui, come già in WaWW, Asano non finisce con l'autocompiacimento del suo (forse non così tanto) malato mondo di dolore e sofferenza, ma dona una speranza: perché alla fine del tunnel oscuro forse non c'è il mostro, forse c'è la luce, ma sta ai personaggi il compito di raggiungerla.
Il campo dell'arcobaleno può sicuramente lasciare spiazzato il lettore, cui vengono consegnati piccoli frammenti slegati di un disegno più grande e complesso che solo più avanti iniziano ad incastrarsi in modo sensato tra loro, dando gradualmente forma all'immagine definitiva. Anche se, alla fine, che essa sia quella di uno sciame di farfalle, di una mucca senza testa con due figli o di una scatola di metallo chiusa, o che addirittura ad essere rappresentato sia un altro puzzle che a sua volta rappresenta se stesso, a ben pensarci non è poi così importante, perché è quello che hanno da raccontare i singoli frammenti a contare davvero.




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Non nego che, alla prima visione, le ultime due puntate della serie animata di Neon Genesis Evangelion mi abbiano molto deluso: è vero che l'aspetto psicologico della storia mi aveva colpito molto positivamente, eppure mi aspettavo risposte più concrete, oltre che una vera e propria "battaglia finale". Perché la serie finiva quasi alla stregua di una pièce teatrale pirandelliana? A causa di problemi economici di Anno e della sua cricca di collaboratori? O forse, magari come altri spettatori nella mia stessa situazione, quella volta ho semplicemente tratto conclusioni errate sulle vere intenzioni degli autori? Molteplici teorie si accavallavano l'una sull'altra in decine di siti in rete: pur con l'indubbio carattere marcatamente psicologico portato avanti dalla serie, ci volle un po' di tempo affinché fosse ufficializzata la versione dei fatti inerente ai problemi di budget incontrati dalla produzione in corso d'opera. A quel punto, il passo successivo era quello di procedere con la visione dei film conclusivi: Death & Rebirth e The End of Evangelion. Il primo era un mero riassunto della serie con qualche scena in più e il tanto ambito seguito interrotto bruscamente sul più bello, mentre il secondo era finalmente la vera conclusione che tanto agognavo. Oppure no? La prima visione di End of Evangelion mi stravolse, e in senso assolutamente negativo: non era il finale che mi aspettavo né quello che volevo, probabilmente. Troppo duro e crudo, troppo apocalittico per i miei gusti di allora, tant'è che ho avuto bisogno di tempo e di altre visioni (e anche di un doppiaggio italiano decente che rimediasse agli orrori dell'adattamento a cura della Panini Video) per cominciare ad apprezzarlo come merita e, infine, adorarlo visceralmente come adesso.

Per quanto riguarda la trama è un po' difficile parlarne senza rivelare molti sviluppi rilevanti: per questa ragione mi limiterò a dire che il film conduce i personaggi, resi complessi e sfaccettati già nella serie, ai loro limiti psicologici (giusto per fare qualche esempio, trovo a dir poco magistrale la sequenza della "vendetta" di Ritsuko contro Gendo, così come il risveglio di Asuka) e porta a compimento tutte le trame principali e secondarie portate avanti dalla serie, ma, come di consueto con Anno e con Evangelion, da ogni risposta finalmente data corrisponde almeno una nuova domanda. Gli elementi introdotti nel film (il Frutto della Vita, il Frutto della Conoscenza, e via discorrendo), così come diverse scene (Fuyutsuki e Yui che parlano all'ombra di un albero, per esempio), se da un lato si collegano a quanto visto nella serie regolare, dall'altro non fanno che infittire alcuni misteri, rendendo il tutto ancora più complesso e concettualmente immenso. Il bello di Evangelion, e quindi anche dell'EoE, è la possibilità di limitarsi a ciò che si è visto traendone direttamente le proprie conclusioni oppure di fare qualche ricerca e cercare un aiuto per mettere insieme i pezzi al fine di fare nuovi collegamenti. Dopo nove anni dalla prima visione, mi capita tuttora di trascorrere ore intere a parlare della serie e del film conclusivo. È questo ciò che più amo di Evangelion: la sua estrema duttilità, la sua complessità, la sua polivalenza e la possibilità di interpretarlo e reinterpretarlo ancora.

D'altro canto, il film è ancora più violento e "controverso" della serie, rispettivamente per via dei sanguinosi massacri ai quali assistiamo (oltre alla scena gratuita in cui un'auto investe un cadavere) e per la presenza quasi costante di riferimenti sessuali (orgasmi in sottofondo in alcune scene; nell'incipit del film Shinji che pratica autoerotismo davanti ad Asuka in stato comatoso), oltre che per una curiosa ripresa in live action che potrebbe fare storcere il naso ai più (un po' anche a me, devo ammettere). Dopo tutto, però, lo spirito e l'atmosfera generale del film sono gli stessi della serie, solo un po' più "in grande": in fin dei conti, è o non è la vera conclusione apocalittica, cruda e drammatica dell'epopea ideata da Anno? A contribuire al senso di spettacolarizzazione visiva (indimenticabili le sequenze relative al Third Impact) è un comparto tecnico di prim'ordine per quegli anni: con un budget ben più alto di quanto non disponessero per la serie televisiva, Anno e la GAINAX poterono così sbizzarrirsi in termini di fluidità delle animazioni e un sonoro da urlo, inclusa la consueta ottima colonna sonora del grande Shirō Sagisu (da segnalare la presenza della celeberrima Aria dalla Terza Suite per orchestra di Johann Sebastian Bach in uno dei momenti clou del film). È il caso di notare come alcune sequenze finali (Rei e Shinji nudi immersi nell'immenso mare di LCL) siano ispirate agli ultimi splendidi minuti di Space Runaway Ideon - Be Invoked, film conclusivo di una serie animata dei primi anni Ottanta che, proprio per motivi economici, subì un'improvvisa interruzione a quattro puntate dalla fine programmata. Non vi ricorda la stessa sorte toccata a Evangelion? A me un po' sì.

Dopo gli orrori dell'adattamento italiano della Panini ai quali mi riferivo poc'anzi, nel 2009 la Dynit ha ripubblicato il film in DVD (insieme a Death & Rebirth) in una nuova edizione intitolata Evangelion - The Feature Film. Il box cartonato compatto si presenta bene e racchiude al suo interno, oltre ai due dischi dei film, un booklet che descrive le tecniche di missaggio sonoro oggi disponibili (dunque un piccolo compendio rivolto a un pubblico prettamente audiofilo) e un frammento di pellicola del film. D'altra parte, il restauro audiovisivo permette all'opera di risaltare ancora di più, complice anche il nuovo doppiaggio, il quale recupera tutti i precedenti doppiatori "andati perduti" e corregge gli strafalcioni linguistici relativi a nomi e termini tecnici della precedente versione. Sembra un po' scontato da dire, ma penso che non consiglierei a nessuno la visione di End of Evangelion, se non dopo aver guardato (e magari apprezzato) la serie animata. Come degna conclusione di una delle serie più discusse degli ultimi venti anni, questo film memorabile, nel bene o nel male, lascia qualcosa. A me ha lasciato di tutto: dal disgusto alla tristezza, dall'inquietudine all'orrore, oltre a un diffuso e singolare senso di smarrimento e onnipotenza insieme. Un'opera unica nel suo genere che merita uno dei miei rari dieci.

"It all returns to nothing, it all comes tumbling down, tumbling down, tumbling down/
It all returns to nothing, I just keep letting me down, letting me down, letting me down..."