Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero, con gli anime Prince of Stride, Romeo x Juliet e Kamisama Hajimemashita.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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Se il destino ha deciso di intersecare il tuo percorso con la strada di qualcun altro, puoi opporre tutta la resistenza che vuoi, ma alla fine sarà quel qualcosa che va al di là delle tue forze a vincere. Prince of Stride: Alternative (プリンス・オブ・ストライド オルタナティブ) è la storia di amici che praticano lo stesso sport e che si sono ripromessi, chi per un motivo chi per un altro, di vincere insieme il relativo torneo più importante, l'End of Summer. E una promessa, a volte, può essere un incantesimo più potente del destino. Yagami Riku, Fujiwara Takeru e Sakurai Nana si iscrivono all'Hōnan Gakuen, il cui club di stride, ormai in disuso, in tempi passati aveva vissuto un'epoca d'oro per la quale non c'era appassionato di questo sport che non ne conoscesse il nome. Chi coercitivamente, chi volontariamente, bussano alla porta di questo fantomatico club di stride che dello stride ha conservato solo la S, trovandosi davanti un presunto club di shōgi [N.B. scacchi giapponesi]. Partendo proprio dalla ricostruzione dello sutoraido-bu e dalla rammendatura dei rapporti frustrati dei vari membri, i protagonisti di questo nuovo spokon targato Madhouse, tratto da un otome game della Kadokawa e andato in onda nella stagione invernale 2016, si lanciano in una corsa sfrenata superando anche i propri limiti fisici, per inseguire la chimera che in gioventù brilla e ti fa sembrare capace di raggiungere qualsiasi meta...

Quando Prince of Stride: Alternative è cominciato mi domandavo di continuo in cosa consistesse lo stride. Ci sono persone che lo hanno paragonato al parkour, pur se di questo ne infrange le regole; si va invece ad associare più al free running, dove atleti col fisico di gazzelle saltano, corrono, mettendosi in mostra come attori su un palcoscenico, che può essere ambiente rurale o urbano a scelta. L'esempio più rappresentativo di questa tipologia di corsa fa capo alla Saisei Gakuen, la scuola rivale dell'Hōnan, i cui membri fanno gli idol per professione e sanno bene cosa significa intrattenere il pubblico. Tuttavia, durante la visione mi sono resa conto che ogni personaggio guardava allo stride in maniera differente, a volte sembrava quasi che questo fosse una filosofia di vita, o ancora una ragione per vivere. "Mostrami il tuo stride" ripetevano spesso, come se fosse una parte del corpo da esibire. Ci sono casi, infatti, in cui lo sport diventa una metafora dell'esistenza umana, una parentesi in cui scaricare tutte quelle che sono le nostre convinzioni, il nostro vissuto, la passione, il senso di inferiorità e di superiorità, l'incapacità di relazionarsi, la difficoltà a trovare il proprio posto nel mondo, la noia, l'annaspare continuo in questa vita che ti dà e toglie adrenalina nella frenesia della società di oggi... Nella squadra trovi quelli che in giapponese sono definiti col termine nakama (仲間 compagni), dai quali ricevi la forza per accettare te stesso, i tuoi limiti, ma anche per rivalutare il potenziale che nemmeno sai di avere ma che agli altri è chiaro come la luce del sole in primavera.

Sospinti dal vento, i corridori di Prince of Stride Alternative inseguono la mano dal compagno che deve dargli cambio nella staffetta, nemmeno fosse l'unica àncora di salvezza che gli resta prima di piombare nel baratro dell'oscurità. L'amore dei Giapponesi per le staffette non mi è ancora chiaro, ma dopo aver visto Free! e ora anche PoSA, ho potuto notare che il messaggio che vogliono trasmettere con questo elemento è semplice: completa fiducia fra compagni di squadra, mossi da un obiettivo comune e da sentimenti analoghi. È risaputo che il valore messo più in risalto negli spokon o pseudo tali è l'amicizia, intesa sia come vincolo fra persone che si conosco da molto tempo, sia fra quelle che il destino ha legato tramite lo sport argomento della storia. Nel caso specifico di Prince of Stride: Alternative, il fulcro della trama ruota intorno all'amicizia fra il trio protagonista composto da Yagami, Fujiwara e Sakurai, ma non manca di dedicare spazio anche al legame fra i senpai Heath e Kyōsuke, riavvicinatosi dopo anni di separazione, o quello fra Kohinata e Kadokawa. Infine, non meno importante, la relazione fra membri di un unico team che corrono sotto uno stesso stendardo.

Prince of Stride: Alternative si presenta come una mescolanza di gare e allenamenti, quindi di momenti dedicati allo sport, e di slice of life, in un'ottica volta a descrivere la quotidianità dei protagonisti. Da buon esponente del suo genere di anime tratto da otome game, punta molto sull'estetica dei personaggi, i quali, oltre ad avere un bel chara design, hanno una colorazione fredda ma luminosa. L'utilizzo di colori caldi per gli sfondi, invece, con cieli quasi fluorescenti, nuvole bianco vernice, boschi verde acceso, fa risaltare ancora di più i personaggi che hanno un contrasto basso. Al contempo, questa vivacità nei colori rimedia alla staticità dei fondali. Anche il comparto sonoro è ben curato, con temi d'accompagnamento centrati per ogni scena. Energica l'opening "STRIDER'S HIGH", cantata dal duo emergente degli OxT; sensuale invece l'ending "Be My Steady" dei Galaxy Standard, il fittizio gruppo di idol della Saisei Gakuen, costituito dai rispettivi doppiatori, ossia Miyano Mamoru, Hirakawa Daisuke, Eguchi Takuya, Suzuki Tatsuhisa, Ono Yūki, Toyonaga Toshiyuki. E, per rimanere in tema, il doppiaggio è stato ottimo, con la partecipazione di seiyuu importanti. Se volete rifarvi le orecchie è l'anime adatto! A livello di sceneggiatura, il dramma fortunatamente non ci mette molto a risolversi. Forse è stato anche tutto troppo sbrigativo, soprattutto nel finale, ma non è che si potesse pretendere chissà cosa. La caratterizzazione dei personaggi, infatti, è stata buona nelle linee generali, ma sono mancati approfondimenti sui personaggi secondari e qualche filo di trama in più per i principali. A conti fatti è un anime di dodici episodi che non punta ad essere nient'altro che intrattenimento. Il fanservice è presente, anche se in quantità ridotta rispetto a quello che ci si aspetterebbe da una serie simile.

Senza nemmeno provare a nasconderlo, Prince of Stride: Alternative è ispirato liberamente a Free!, del quale ne riutilizza vari espedienti tecnici, come i primi piani strategici o la staffetta, o il protagonista "autistico" che ha i capelli swish, solo per citarne qualcuno... Sicuramente è un Free! in piccolo, perché non ha tutto quell'architrave di dramma e fanservice su cui la KyoAni ha puntato con l'anime dei nuotatori. Se da un lato è apprezzabile questa semplicità, dall'altro, se non lo si gonfia adeguatamente, il pallone aerostatico vola a bassa quota. E molto presto, se a breve non ne verrà annunciata una seconda serie, Prince of Stride: Alternative finirà nel vaso di Pandora degli anime tratti da otome game. Insomma, se devo quantificare in voti è un bel 7 e mezzo, innanzitutto perché mi è piaciuto, poi perché è un buon prodotto nel suo genere e ha avuto il pregio di avere una protagonista non ritardata mentale, come accade spesso per questa tipologia di anime. Adesso non vi resta che mettervi in posizione. E come dicevano in PoSA... On your mark. Get set. GO!



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Qual è uno dei più grossi errori che si può commettere nell'adattamento libero di un'altra opera?
Semplice: andare a ritoccare pesantemente i punti forti dell'opera in questione.
Qual è uno degli errori universalmente più frequenti nell'adattamento libero di un'opera?
Non ci crederete, ma è nientepopodimeno che andare a ritoccare pesantemente i punti forti dell'opera in questione.
E l'opera in questione, "Romeo x Juliet", come se la cava?
Beh... ora lo scoprirete.

"Romeo x Juliet" è un'opera del 2007 prodotta dallo studio Gonzo, basato sulla famosissima tragedia di Shakespeare "Romeo e Giulietta" (nel caso non si fosse capito).
Anche l'anime in questione fa leva sulle rivalità fra le due famiglie, Montecchi e Capuleti, contrarie all'amore dei due rampolli della famiglia, ma vi sono diverse differenze dovute all'adattamento (alcune per nulla riuscite).
L'opera è ambientata a Neo-Verona, città governata da diversi anni dal capofamiglia dei Montecchi dopo un sanguinoso colpo di stato che portò allo sterminio quasi completo della famiglia Capuleti (i precedenti signori) e di coloro che erano loro fedeli. Tuttavia il piano non andò pienamente a buon fine, e alcuni sopravvissuti riuscirono addirittura a salvare un membro della famiglia, una bambina di nome Giulietta, e a nascondere la sua esistenza per ben quattordici anni (arrivando a nasconderle la verità... e a obbligarla a vestirsi da uomo senza darle alcuna spiegazione, cosa che mi ha reso alquanto perplesso). La storia vera e propria inizia quando la ragazza viene messa al corrente dai suoi salvatori della sua vera identità e nel contempo incontra Romeo, il rampollo dei Montecchi e futuro signore di Neo-Verona. Da quel momento si svilupperà il proverbiale intreccio basato sulla classica storia d'amore impossibile.

L'opera in questione, come è possibile notare, differisce dall'originale fin dagli antefatti, ma l'ambientazione tutto sommato presenta buoni spunti ed è in grado di destare un discreto interesse. La sezione che funziona meglio è sicuramente la prima metà, dove Giulietta (il personaggio più importante) è alle prese con la scoperta del suo retaggio e con l'invaghimento per un misterioso nobile di nome Romeo. Chi apprezza un po' di romanticismo non dovrebbe avere molto da ridire sulla prima parte che, pur presentando delle idee non troppo riuscite (come il Turbine Rosso, una sorta di "Stella della Senna" alquanto fuori luogo), si regge abbastanza bene attorno alle vicissitudini dei due giovani divisi dalle loro origini. Anche la schiera dei personaggi secondari, composta in larga parte dagli amici e sostenitori di Giulietta, contribuisce dando il giusto apporto alla struttura, pur peccando di un difetto di caratterizzazione che però non impedisce loro di essere funzionali. Sul fronte antagonisti invece il risultato è alquanto insoddisfacente, e addirittura il malvagio signore risulta piuttosto piatto e stereotipato nonostante il tentativo di dargli profondità, ma nella prima parte tale difetto non pesa particolarmente.

L'opera tuttavia inizia a mostrare il fianco e ad esibire una serie di enormi difetti una volta superata la metà, che minano quanto di buono era stato costruito fino a quel momento. Uno degli errori più grandi è sicuramente il tremendo anti-climax che è possibile riscontrare subito dopo la prima parte, in grado di scuotere l'interesse dello spettatore fin nelle fondamenta. In seguito a questa dura prova, gli sceneggiatori hanno avuto la brillante idea di mettere da parte la compagine romantica e di introdurre delle vicissitudini di scarsa utilità nello svolgimento generale e di caratura piuttosto discutibile, postponendo inspiegabilmente tutta la sezione riguardante i misteri che adombrano le due famiglie e la natura stessa di Neo-Verona. Fortunatamente l'arrivo delle battute finali risolleva in parte le sorti della seconda metà dell'opera, riuscendo addirittura a ricatturare un po' dell'attenzione inevitabilmente perduta dopo quelle sciagurate scelte al limite del riempitivo. Ma non dura molto: purtroppo tale ripresa si infrange contro l'insipido finale, dove evidentemente non è stata colta l'essenza della natura tragica dell'opera, e lo spettatore è costretto ad assistere a un confuso e mediocre tentativo di emulare l'epilogo originale e al contempo di rispondere agli interrogativi posti a causa delle scelte di ambientazione (alcune delle quali, come anticipato, sono decisamente discutibili).
Sfortunatamente i due propositi cozzano vistosamente tra di loro, dando vita a un finale insoddisfacente sia come tragedia sia come storia fantastica.
Il che è un peccato, viste le enormi potenzialità offerte da una delle opere più conosciute al mondo.

La regia risulta piuttosto mediocre: mentre nelle parti romantiche appare sufficientemente efficace, in altre sezioni, come quelle dove parlano le spade, mostra più di un limite. Normalmente, vista la natura dell'opera, non ci farei troppo caso, ma non avrebbero dovuto inserire troppe sezioni di cappa e spada (come quelle del "Turbine Rosso") senza l'adeguata capacità di dirigerle. Inoltre i palesi limiti di direzione sono piuttosto evidenti dove la sceneggiatura è più debole, data la mancanza della benché minima capacità di compensare. Su quest'ultima c'è ben poco da dire: il lavoro era stato fatto più di 400 anni fa, ma hanno deciso di mettervi mano peggiorando sensibilmente il risultato, specialmente nella parte finale. Un po' di umiltà e maggior fedeltà all'opera non avrebbe affatto guastato.

Sul versante personaggi si possono riscontrare luci e ombre, proprio come su tutto il resto dell'opera. Giulietta tutto sommato funziona bene, incarnando l'innocenza e la semplicità. Non mi è dispiaciuto il fatto che l'abbiano resa più decisa e attiva, anche se questo ha contribuito in parte al discutibile finale. Romeo invece risulta fin troppo spesso eccessivamente ingenuo e in balia degli eventi, e attorno a lui ruotano alcune delle peggiori parti dell'intera storia. Anche i personaggi secondari seguono un'efficacia speculare a quella dei due protagonisti: quelli dalla parte di Giulietta sono funzionali, e viene da chiedersi se non avrebbero meritato più approfondimento (utilizzando magari l'enorme quantitativo di minuti sprecati in futilità nella seconda parte dell'opera), mentre gran parte di quelli più vicini a Romeo (che sono per larga parte antagonisti) risulta alquanto superficiale e dimenticabile.

Il comparto tecnico è uno degli aspetti dell'opera che funziona meglio: la parte video, a parte qualche sbavatura occasionale, rimane generalmente solida e molto piacevole durante tutto lo svolgersi dell'opera, mentre il comparto audio accompagna le vicende in modo più che dignitoso. Anche le sigle sono molto ben fatte e piacevoli da ascoltare.

Quest'opera ha preso spunto da una delle più famose tragedie mai scritte, pasticciando il tutto con scelte discutibili ed elementi troppo pretenziosi. Nonostante la prima metà dell'opera sia quantomeno godibile, il crollo che subisce nella seconda parte le impedisce di raggiungere una sufficienza piena. Di conseguenza assegno un 5.5, a causa degli enormi limiti con cui è stato affrontato l'adattamento della famosa opera di Shakespeare.



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A posteriori posso dire di essere stata felice di aver "tardato" tanto nel vedere "Kamisama Hajimemashita", così ho avuto l'occasione di vedere prima e seconda serie tutte di fila, ben lieta poi di vedere che non ci sono state cadute di stile nella trama, cosa che mi ha portato a riconfermare l'8.

Questa seconda serie segue a ruota dove aveva lasciato la prima, aggiungendo nuovi dettagli alla trama, dando più spessore agli eventi intorno all'abbandono del tempio da parte del dio Mikage e al burrascoso passato di Tomoe, senza però dimenticarsi che Nanami sta ancora crescendo come divinità terrestre in un mondo snob e stizzito di dei che poco tollerano una umana mortale tra le loro fila.
Ho trovato molto gradevole il non dimenticarsi dei comprimari della prima serie, seppur aggiungendo il tocco (classico per uno shoujo) del cattivo misterioso, stereotipato forse, ma gestito con classe ed eleganza nell'anime; ed è così che facciamo la conoscenza di Kirihito, umano non proprio vivo, che è in realtà un demone avente un legame con il Tomoe di ben prima della sua vita di famiglio di Mikage (un'introduzione di Kirihito la si ha anche negli OAV che temporalmente vengono dopo la prima serie, ma prima della seconda).

Il lato umoristico viene mantenuto senza che dia noie all'evolversi della storia e con più attenzione si guarda al dramma della mortalità degli esseri umani visti dagli youkai. Ho trovato molto realistica la descrizione del cuore umano: capace di cambiare molteplici volte nel tempo di una sola vita, definizione molto importante perché invece il cuore degli ayakashi è difficile da mutare, e quindi le ferite che subisce guariscono parimenti con più lentezza.
La caratterizzazione dei personaggi è ancora una volta degna delle aspettative, l'analisi sul dramma dei legami che Tomoe si fa è portata in parallelo al concetto di scelta libera, ossia se è il legame di famiglio a costringerlo ad amare Nanami, sua signora, o se è amando Nanami che riesce ad essere un famiglio diverso e si può quindi per amore rinunciare alla libertà di non subire le catene dell'obbedienza.
La protagonista resta stereotipatissima, e confesso che un po' mi dispiace, anche se il suo essere un'adolescente infantile e traviabile dalle emozioni e dalla giovane età contrapposta ai secoli di Tomoe è coerente con la storia e aiuta molto nell'analisi della contrapposizione tra i due.

Il comparto tecnico è come la prima serie, notevole, bei disegni, ottime animazioni e musiche gradevoli; se vogliamo proprio trovare una pecca, direi che l'ending questa volta non ha creato l'effetto motivetto non scacciabile dalla testa come nella prima serie.

Non posso che dirmi in impaziente attesa per la terza serie.