Durante la quinta edizione dell'evento B-Geek, svoltosi dal 27 al 29 maggio a Bari, abbiamo avuto l'opportunità di intervistare il regista di "Lo chiamavano Jeeg Robot", "Basette" e "Tiger Boy", Gabriele Mainetti. Vi lasciamo al video dell'intervista e alla relativa trascrizione.
 
 

AnimeClick.it: Salve amici di AnimeClick.it, siamo qui con Gabriele Mainetti: attore, compositore, regista, che molto gentilmente ci ha concesso questa intervista qui al B-Geek. I tuoi ruoli da attore sono troppi per elencarli tutti, ma vogliamo concentrarci sulle tue opere da regista. In particolare a partire dal tuo cortometraggio “Basette”, ispirato al celebre manga Lupin. Come è nata l’idea di questo cortometraggio?

Gabriele Mainetti: Mi trovavo al centro di Roma con Nicola Guaglianone che è l’autore del soggetto della sceneggiatura di “Basette”, e lui mi disse: “perché non fare un cortometraggio su Lupin III?” e abbiamo subito capito che l’unico modo per poterlo realizzare era di raccontarlo così come lo vedevamo noi, come l’avevamo vissuto quando eravamo ragazzini. Nel senso, tu guardavi il cartone, te lo portavi dentro e lo riproponevi in una tua versione. Invece di cadere nell’errore di lanciarsi in una riproduzione filologica di quello che poteva essere il cartone che non avrebbe funzionato. E quindi son venute fuori tutte queste esperienze, che tra l’altro ha fatto anche Nicola in uno spazio come quello di Tor Bella Monaca, del “CIS”, il “Centro d’Integrazione Sociale”, ed è stata strutturata questa storia criminale reale che faceva da specchio a quella più immaginaria dove riusciva a fuggire come un criminale. E’ un po’ un rapporto tra sogno e realtà.

AC: Dopo “Basette” hai realizzato un altro cortometraggio, “Tiger Boy”, ispirato al manga de L’uomo tigre. Anche in questo caso, come è nata l’idea?

GM: Lì siamo stati chiamati da una società di produzione che voleva realizzare dei cortometraggi che avessero un rapporto con il sociale. Io, ora non voglio spoilerare, avevo scelto il tema che viene affrontato in “Tiger Boy” e sempre Nicola ha avuto questa intuizione, questa immagine di un bambino con la maschera. La maschera era chiaramente quella non dell’uomo tigre ma del Tigre, perché poi noi abbiamo cercato di far funzionare questo immaginario degli anni ’80 che ci ha cresciuto, in una storia di quartiere che sostanzialmente racconta il bisogno di nascondere un’onta di questo bambino che in realtà viene percepito erroneamente come un capriccio, dalla madre e dai compagni di scuola.
 
Gabriele Mainetti

AC: Dopo i cortometraggi hai fatto il grande salto e sei approdato sul grande schermo con il tuo primo lungometraggio per il cinema, “Lo chiamavano Jeeg Robot”, vincitore di 7 David di Donatello, e forte di un grande successo sia tra il pubblico sia tra la critica. Come è stato realizzare un film per il cinema, quali sono state le differenze?

GM: I tempi! (ride) I tempi sono infiniti, nel senso che il corto è un’esperienza più corta e anche molto meno impegnativa. Tra l’altro le difficoltà più importanti sono state quelle di riuscire a mantenere una tensione drammatica per un tempo appunto più lungo e sviluppare i personaggi più approfonditamente. Quelle sono state le differenze maggiori. Poi sicuramente a livello produttivo ci sono dei costi non paragonabili. “Tiger Boy” è costato quasi 30 mila euro, “Lo chiamavano Jeeg Robot” è costato 1.700.000 euro. Quindi puoi capire che, visto che i corti li avevo prodotti io e questo film l’ho prodotto io, produttivamente era più complicato. Però non sento la dimensione dei cortisti come inferiore a quella del lungometraggio… Tu hai parlato di evoluzione, sì, però “Tiger Boy” è un corto molto adulto e maturo, non dico che non ha niente da invidiare al cinema, ma è un’altra cosa, funziona diversamente, però non sono minimamente lontani da quello che è il linguaggio cinematografico, che è quello che conta quando affronti questi sguardi.

AC: Basette, Tiger Boy, e Lo chiamavano Jeeg Robot sono chiaramente ispirati ad anime e manga, qual è stata l’influenza dei manga in generale nella tua vita e nel tuo lavoro?

GM: Tanta, io leggo manga, Nicola Guaglianone no, però è un amante di quella che è stata la nostra cultura popolare e si è ispirato a quel periodo di “Bim bum bam”. Ma è divertente perché, tu ti occupi di questo e parli del rapporto con manga e anime, però i film, anche “Tiger Boy” e “Basette” hanno altro dentro, tanto cinema, tanta commedia all’italiana, anche cinema americano, non a caso “Lo chiamavano Jeeg Robot” è un film che dialoga con il genere supereroistico, che non ci appartiene neanche quello minimamente. Noi è come se guardassimo ad un mondo a cui abbiamo partecipato o in televisione o al cinema, lo prendessimo, perché ci ha emozionato tanto grazie alla sua forza drammatica e spettacolare, e l’abbiamo forzato nel mondo che ci era attorno. Il nostro mondo che poteva distare veramente 20 o 30 centimetri dalla nostra vita. Questa è forse “la formula”. E’ importante ricordare che come sceneggiatore c’è anche Menotti in “Lo chiamavano Jeeg Robot”, altrimenti parlo solo di Nicola, ma giustamente tu mi hai fatto le domande sui corti dei quali lui è l’autore della sceneggiatura.

AC: Ringraziamo tantissimo Gabriele Mainetti per questa intervista, un saluto speciale ad AnimeClick.it?

GM: Un saluto specialissimo ad AnimeClick.it che seguo con attenzione ogni volta che c’è un manga che mi interessa vado su AnimeClick.it, vedo se è distribuito o meno in Italia, approfondisco sempre con voi!