Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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“Ghost in the Shell: Stand Alone Complex – Solid State Society” è un lungometraggio d’animazione giapponese del 2006, terzo film dedicato all'universo di “Ghost in the Shell”, nonché special conclusivo delle due serie televisive “Stand Alone Complex”. Diretto da Kenji Kamiyama e prodotto da Production I.G., è stato portato in Italia da Dynit.

Trama:
Sono passati due anni da quando il Maggiore Motoko Kusanagi ha lasciato la Sezione 9 di Pubblica Sicurezza per dedicarsi alle indagini seguendo un proprio “ragionamento personale”. Adesso, a dirigere le varie operazioni investigative è Togusa, questa volta impegnato in un difficile caso di apparentemente inspiegabili suicidi e bambini rapiti, in cui continuano a saltare fuori i nomi del Marionettista, un abilissimo cyberterrorista, e del misterioso Solid State.

“Solid State Society” riporta sullo schermo tutti gli apprezzati agenti della Sezione 9, per i quali dunque non viene sprecato tempo in superflue presentazioni. Anche la personalità di ognuno di essi è rimasta invariata, ad eccezione di un focus leggermente più approfondito su Togusa, ormai sempre più a proprio agio in una posizione di responsabilità, nonostante i rischi che questa comporta, specialmente per qualcuno sprovvisto di un resiliente corpo robotico, e sul Maggiore, le cui sempre più frequenti immersioni nella Rete, unite agli eventi delle passate stagioni, la stanno trasformando progressivamente nella donna malinconica e introspettiva dei film di Oshii.
La vicenda che li vede coinvolti, per quanto confermi la complessità di tematiche proprie di ogni opera marcata GitS, si rivela invece piuttosto sottotono rispetto a quanto visto in precedenza (il caso dell’Uomo che ride e quello degli Undici individuali): tralasciando un paio di scene molto intense, viene a mancare un autentico coinvolgimento emotivo. Nonostante gli stessi uffici e laboratori della Sezione 9 siano ancora una volta sottoposti ad attacchi hacker e alcuni dei suoi membri vengano impegnati in prima linea e mettano a repentaglio la propria incolumità per il trionfo della verità e della giustizia, è raro che si percepisca un vero senso di pericolo, specie considerando le massicce plot armor indossate dai protagonisti. Non vi è nemmeno un’adeguata presentazione dei numerosi colpi di scena e risvolti investigativi, che spesso giungono improvvisi e in rapida sequenza, probabilmente a causa della struttura del film, a cui sarebbe stata preferibile una mini-serie, con un ritmo più disteso e transizioni più chiare. In questo modo, invece, non si crea un’opportuna aspettativa nei confronti degli eventuali antagonisti, introdotti piuttosto avanti nella storia, con i quali non si sono stabiliti alcun rapporto precedente e legami emotivi, positivi o negativi che siano.
Nondimeno, il caso è intrigante e discretamente inquietante, grazie ad una sapiente scelta dei colori, delle inquadrature e del design di personaggi e ambientazioni, in alcuni momenti la tensione è palpabile e si sente in maniera decisa il desiderio di scoprire la soluzione di questo enigma.
Sempre affascinanti le implicazioni sociali e morali della trama, che questa volta riguardano alcuni argomenti caldi dell’attualità, come la xenofobia, il ricambio generazionale, il futuro di una nazione sempre più anziana e con un tasso di natalità in discesa libera, i pregi e i difetti del welfare e, soprattutto, la dipendenza dalla tecnologia, la cui pervasività, con il proliferare di cervelli cibernetici, ispira una forte sensazione di mancanza di privacy e sicurezza, poiché qualunque ghost può essere violato, costringendo il soggetto in questione ad agire contro la propria volontà. Infine, si affacciano nuovamente le infinite potenzialità della Rete, vasta e insondabile, in cui risulta sempre più difficile riconoscere il confine che separa la coscienza umana da un’intelligenza artificiale complessa.

Il comparto tecnico è semplicemente strabiliante: le animazioni sono fluide e naturali, sia nei momenti più tranquilli che nelle ottime ma rare scene d’azione, condite da esplosioni e autentici sbarramenti di artiglieria. Il design dei personaggi è molto curato e proporzionato, in linea con quanto visto in “Stand Alone Complex” e ognuno di essi è subito riconoscibile e dotato di segni peculiari. Grande attenzione è prestata alla realizzazione dei fondali, per i quali si può chiaramente parlare di iperdettaglio: casermoni di periferia, lussuosi grattacieli, affollati scorci cittadini, piccoli appartamenti e avanzatissimi uffici, è impossibile non notare lo zelo riversato in ogni minimo particolare di interni ed esterni. La stessa accuratezza è evidente nella resa dei materiali, principalmente acciaio e vetro, assolutamente realistica in quanto a riflettività, convincente e indubbiamente una gioia per gli occhi. La computer grafica è evidente soprattutto nei vari veicoli e nei mecha, siano Tachikoma/Fuchikoma o esoscheletri potenziati, ma è estremamente discreta e si sposa armoniosamente con l’animazione tradizionale. Ovunque spadroneggiano tonalità cupe, con imperanti grigi e verdi antropici, in palese contrasto con la luce accecante dei monitor di computer e dei neon.
Le musiche sono ancora una volta composte da Yoko Kanno e sono di ottimo livello, anche se non sempre ispirate come quelle delle serie televisive e il montaggio sonoro è a volte troppo secco, con brani molto differenti posti uno immediatamente in successione all'altro. Il doppiaggio nostrano conserva le voci originali di “S.A.C.” e “S.A.C.: 2n GIG”, regalando generalmente buone interpretazioni, specie per quanto riguarda le figure principali del cast.

“Ghost in the Shell: Stand Alone Complex – Solid State Society” è un discreto special conclusivo, ma a cui servirebbe una storia di una scala tale da poter essere considerato quel grandioso epilogo che le avventure di Motoko Kusanagi e dei suoi commilitoni meriterebbero. Gli elementi classici di GitS ci sono tutti: gli intrighi politici, il terrorismo internazionale, la critica allo sfruttamento dei più vulnerabili, i riferimenti ad un mondo che, nonostante le innovazioni tecnologiche, non è progredito più di tanto, ancora devastato da guerre e conflitti mondiali, con tanto di masse di poveri, rifugiati ed esclusi. A mancare è un intreccio definitivo, di indubbio spessore psicologico e narrativo, che eviti di ricorrere ai vari stereotipi dei film polizieschi e di spionaggio.
Siamo comunque di fronte ad un prodotto notevole sotto molti altri aspetti, soprattutto stilistici, e che cattura rapidamente l’attenzione dello spettatore, lasciando incollato allo schermo senza annoiarlo, nonostante i numerosi dialoghi e alcuni ragionamenti cervellotici. Consigliato agli amanti del genere e dell’universo nato dalla mente di Masamune Shirow.


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Il cane che guarda le stelle è una splendida storia del rapporto tra uomo e cane, un rapporto dolce-amaro che ci ricorda quanto molto spesso finiamo a dipendere da queste splendide e mirabili bestie. Un rapporto spesso strano, basato su sentimenti ambivalenti, dove da una parte c'è una completa fiducia e ricerca di attenzione nel proprio compagno essere umano e dall'altra invece la ricerca di accettazione, comprensione e affetto nel proprio compagno animale. Un rapporto semplice e robusto che ci lega indissolubilmente con il nostro animale fino alla morte di uno dei due, un rapporto da non sottovalutare fino alla fine. Ed è questo nella sua semplicità quello che ci racconta questa storia.

Se non volete inutili spoiler e vi è bastata questa introduzione per decidere di gustarvi questo splendido volume non procedete oltre ed interrompete pure qui la lettura, siete perdonati. Se invece la vostra curiosità è maggiore continuate pure a leggere: sapere qualche pezzo in più di trama non vi invaliderà la lettura, perché in storie come queste quello che conta è il viaggio e quello che viene trasmesso dalla storia, non la storia stessa. Ma torniamo a noi. Un legame da non sottovalutare dicevamo...

Il cane che guarda le stelle è un volume diviso in due parti, dove ognuna di esse racconta un modo diverso di vivere l'importante legame uomo-animale. La prima parte parla della classica vicenda di un uomo e del suo cane che lo segue fedelmente nel corso della vita, dove il padrone è un simpatico ma sfortunato padre di famiglia ed il cane un piccolo cucciolo trovato per strada dalla figlia e raccolto inizialmente quasi per gioco. I due si avvicinano a causa delle classiche routine familiari e ben presto iniziano a condividere un legame più forte, dove l'uomo trova nel cane un compagno di un silenzioso dialogo in cui può essere finalmente se stesso ed il cane un compagno affidabile che pensa a lui nonostante il passaggio del tempo ed il disinteresse crescente degli altri familiari. Un legame quindi onesto e amorevole che li lega fino alla fine della loro vicenda e che ci ricorda quanto la felicità alla fine stia nelle piccole cose e nella quotidianità di tutti i giorni passata assieme ai giusti compagni, umani o animali che siano.
La seconda parte invece parla di un ragazzo, ormai cresciuto fino ad essere un uomo, che venendo a contatto con i personaggi della precedente storia ricorda il suo cane e come esso fosse legato a doppio filo con la sua infanzia. Un legame diverso, basato inizialmente sulla scostanza del padrone e sul sempre immutabile affetto del cane, per poi diventare qualcosa di diverso.. Una visione alternativa di quello che può essere il normale rapporto tra essere umano e bestia e di come nonostante diversità strutturali alla fine i nostri amici animali mantengano fedelmente e fiduciosamente il proprio ruolo salvifico sulla nostra anima fino alla fine.

Alla luce di tutto questo diventa chiaro perché questo legame non sia da sottovalutare: scegliere di tenere un compagno animale nella nostra vita è una scelta importante che ci condizionerà per sempre e che se sapremo accettare e condividere porterà tanta gioia a noi come ai nostri partner canidi. E non solo. L'autore infatti collega a questa considerazione l'importante messaggio contenuto nel titolo dell'opera, mostrando il cane non solo come compagno di vita ma anche come omonimo dell'essere umano perennemente in cerca di qualcosa di meglio dalla vita, ma sempre attento anche a godersi le piccole gioie donate dal presente. Un piccolo esempio per dimostrare quanto l'uomo può essere simile all'animale che tanto idolatra per la propria fedeltà ed onestà e che sì, anche noi possiamo avere tali caratteristiche.

Cosa altro dire? Ah si i disegni. Dopotutto un manga nella sua natura di narrazione figurativa non si può giudicare solo dalla storia.. peccato. Nel caso de "Il cane che guarda le stelle" purtroppo i disegni non fanno la parte del leone. Non che non siano funzionali alla storia e non svolgano decentemente il proprio lavoro, semplicemente si poteva fare di meglio (come ci ha insegnato il buon Taniguchi con i suoi due volumi legati alla avventure di Blanca). Per essere precisi la pecca principale del lavoro dell'autore è che i cani son sempre disegnati benissimo, da veri protagonisti della storia quali sono, così come lo sono gli sfondi e gli altri animali, ma gli esseri umani non lo sono altrettanto: disegnati spesso in maniera oltremodo semplicistica rispetto a tutto il resto alcune volte rendono oltremodo difficile immedesimarsi in essi pur apprezzandone le vicende. Questo purtroppo è un bel difetto, soprattutto per una storia come questa che si basa espressamente sul far sentire i sentimenti di entrambe le parti in causa, ma fortunatamente l'autore ne è consapevole e viene incontro al lettore con l'ottima trovata della voce narrante che, accompagnandoci per tutta la durata del racconto, riesce a farci provare i sentimenti e sensazioni che i suoi personaggi non riescono completamente a trasmettere da soli. Comparto grafico quindi promosso, anche se con qualche riserva.

Questione a parte per l'edizione italiana. La copia arrivata in redazione era una copia a bassa risoluzione e non aveva una qualità ottima nella resa dei dettagli di molte scene probabilmente dovuta a questo per cui mi trattengo nel fare considerazioni dettagliate sulla sua qualità grafica in attesa di avere sottomano la versione cartacea. Ciò nonostante quello che si può dire con sicurezza è che la traduzione è molto buona, in linea con gli ultimi lavori jpop, e riesce a trasmettere nella sua interezza tutto il pathos emotivo utilizzato dall'autore originale per cui riguardo a questo lato dell'edizione potete stare sicuri di trovare davanti a voi un buon prodotto.

Rimane ancora qualcosa da dire? Ah sì, le conclusioni. Che smemorato.

Sinceramente, considerazioni sul disegno umano a parte, questo volume mi è piaciuto molto e ne consiglio la lettura a tutti gli amanti di sane storie realistiche strappalacrime e a chiunque voglia una lettura seria con cui staccare un po' dai soliti generi adrenalinici che vanno tanto di moda oggi. Una storia piacevole e commovente che vi rimarrà nel cuore e vi farà pensare subito dopo la sua lettura ad agguantare la prima palla di pelo che vedete e coccolarla fino al suo sfinimento, per ringraziarla di tutto quello che ha fatto e farà per voi.