Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.


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“Youjo Senki”, conosciuto anche con il titolo di “Saga of Tanya the Evil”, è un anime che non mi aveva destato curiosità quando era stato annunciato. Tuttavia, in seguito a diversi apprezzamenti che questa serie ha avuto, ho deciso di iniziarne la visione, lasciandomi in parte soddisfatta, in parte delusa. Andiamo con ordine.

La storia è ambientata in un mondo alternativo, dove si sta svolgendo la Prima Guerra Mondiale tra l’Impero, geograficamente corrispondente alla Germania, e tutte le altre potenze vicine, tra cui la Repubblica e l’Intesa. Tutta la vicenda la si vede con gli occhi di Tanya, conosciuta da tutti per il suo essere cinica e spietata, e che, nonostante la giovane età, è a capo di un battaglione dell’Impero.
La trama, strutturata in questo modo, sembra fatta apposta per non destare il minimo interesse nel potenziale spettatore. Se poi si mette come protagonista della storia una loli, ecco che i pregiudizi iniziano a farsi sentire. Ma, se si dà alla serie una possibilità, e soprattutto se la visione non si ferma al primo episodio, le basse aspettative verranno disattese.

Uno dei punti forti di “Youjo Senki” è la rappresentazione delle varie tematiche, a partire da quella della guerra. La guerra è orribile perché porta distruzione e morte, perché non ci sono né vincitori né vinti, ma anche perché ogni traccia di umanità viene cancellata, per lasciare spazio alla sete di sangue e alla gloria (effimera) che porta la vittoria.
Altra tematica molto presente in tutta la serie è il rapporto tra l’uomo e Dio. Tanya non crede in Dio, perché pensa che solo chi è senza speranza si può aggrappare a un’entità la cui esistenza è messa costantemente in dubbio. Senza fare tanti spoiler, è da ciò che nasce lo scontro tra Tanya e Dio, da lei chiamato Entità X, ed è da ciò che parte tutta la storia, dove verrà mostrato il percorso che Tanya deve fare per ottenere una vera fede, la quale viene vista come condizione necessaria per l'esistenza dell'uomo.

Se da un lato le tematiche sono un pregio di “Saga of Tanya the Evil”, dall'altro il come esse siano state gestite è un limite che impedisce di dare un voto più alto a questa serie. Capita molto spesso nel corso della visione che gli argomenti messi in gioco vengano quasi subito accantonati, senza dare la possibilità allo spettatore di sviscerarle in modo da elaborare una sua interpretazione.

Sotto la voce dei difetti, ci sono anche i personaggi: nessuno tra i soldati è particolarmente memorabile, non si capisce perché abbiano scelto di arruolarsi nell'esercito, da quali ideali siano mossi, e non mostrano nessuna crescita o evoluzione.
Anche il personaggio di Dio manca di una caratterizzazione adeguata: a volte sembra un’entità onnipotente e onnisciente; a volte, invece, sembra soffrire di un qualche complesso di inferiorità. La sua caratterizzazione può essere accettabile se si abbandona la definizione di Dio secondo il Cristianesimo e si tiene a mente quella data dalla religione dell’antica Grecia: un essere divino molto simile all'uomo, capace di assumere varie forme, prepotente e pronto a infliggere punizioni agli uomini, qualora abbiano peccato di tracotanza.
L’unico personaggio ben caratterizzato è Tanya, una protagonista dalle molte sfaccettature. Dietro al suo essere spietata e al suo mostrare un atteggiamento leggermente sadico è presente una motivazione: sopravvivere, pensando prima a sé stessa che agli altri, per poter vincere la sfida contro Dio.

Per quanto riguarda l’apparato tecnico, si sta parlando di una piccola sorpresa: per essere la prima produzione, lo studio Nut ha mostrato di saperci fare. Nonostante qualche uso della CGI a volte leggermente esagerato, c’è stato un sapiente uso del budget. Il comparto tecnico eccelle in tre elementi: la regia, che dà il meglio di sé soprattutto nelle scene di combattimento; le musiche, che riescono a sostenere ogni scena in maniera eccellente; la cura con cui sono state rese le espressioni dei volti dei personaggi, specie nel caso di Tanya, i cui occhi sbarrati e volutamente poco proporzionati mostrano la sua follia più pura.

Insomma, “Saga of Tanya the Evil” è una serie discreta: non si tratta di un prodotto eccellente, ma la sua visione riesce a lasciare un qualcosa allo spettatore, e tanto basta. Consigliato soprattutto agli amanti delle serie di guerra.


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I prodotti metatestuali mi hanno sempre intrigato, a maggior ragione in un ambito che amo come l’universo ota... - ehm - della cultura POPolare giapponese applicata all’editoria, l’animazione e ai giochi elettronici.
Un anime che illustra come questa cultura nasce, si costruisce e poi si riversa in un prodotto specifico (a proposito, sono sempre stato affascinato dalle visual novel), non poteva avere dei presupposti di partenza migliori. Lo step successivo era saggiare come questi presupposti si sarebbero radicati in un contesto di buon livello sia a livello tecnico che di contenuto editoriale, e ammetto che “Saenai Heroine no Sodatekata ♭” ha superato di gran lunga la prova.

Fanservice: fanservice, benedetto/maledetto fanservice. In “Saenai Heroine no Sodatekata ♭” c’è e si vede, ma - mi permetto di dirlo - ci doveva essere/si doveva vedere perché, volente o nolente, è ormai un tratto inscindibile dell’attuale cultura editoriale nipponica. I puristi se ne facciano una ragione.
Personalmente il fanservice non dà fastidio, anzi lo trovo piacevole se non è troppo forzato. Difetti del genere esistono anche in “Saenai Heroine no Sodatekata ♭”, ma si annacquano con il fluire degli episodi, restando infine sullo sfondo e non in posizione dominante.

Storia: in maniera distaccata, si potrebbe affermare che la storia non è un granché o, meglio, è pensata per gli addetti ai lavori. Ma noi fan siamo addetti ai lavori in un certo senso, quindi il dibattito si sposta su un piano diverso, cioè se questa storia ci fa provare il brivido e la sensazione di essere partecipi e autori di un prodotto di cui normalmente usufruiamo come utenti finali. I ritmi, le dinamiche e l’organizzazione di un club di doujinshi erano gli elementi essenziali per capire se la storia avesse centrato l’obiettivo. Ebbene, per me l’obiettivo è stato centrato. Mi sono sentito coinvolto dall’incedere del progetto quasi fosse mio, e ho metaforicamente brindato alla sua riuscita.

Personaggi: il mio giudizio positivo non sarebbe stato tale senza il fondamentale apporto dei personaggi, utilizzati sapientemente anche per canzonare certi stereotipi otaku e, in un certo senso, fare un po’ di autocritica (mitica Utaha senpai). In generale, al di là di Kato, la più originale di tutte, le eroine principali hanno rispecchiato i diversi cliché caratteriali a cui siamo abituati, ma facendolo consapevolmente (più volte si dichiarano tsundere, yandere, ecc.) ci hanno dato modo di riderci su. Tomoya, infine, interpreta senza infamia la parte dell’otaku conteso, fornendo comunque un buon approfondimento di sé e della sua crescita da fan ad autore di quel mondo.

Disegni e character design hanno dato una marcia in più a questo bel racconto. L’A-1 per me ha fatto veramente un ottimo lavoro, esteticamente tra i migliori degli ultimi anni. Una bellezza ‘tecnica’ che sicuramente contribuisce a innalzare il voto totale.


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Futaba Yoshioka è una liceale che, dopo un'esperienza molto negativa alle scuole medie, pur di sentirsi accettata è stata disposta a cambiare le proprie abitudini alimentari e il proprio carattere, a sopprimere la coscienza in quei momenti in cui un suo ritorno alla sincerità risulterebbe determinante almeno per affiancare qualcun altro dall'isolamento da cui lei stessa sta fuggendo con una vita sociale falsa ed egoista. L'equilibrio iniziale è rotto dalla comparsa nel suo panorama visivo di un compagno di scuola che lei subito associa ad un ragazzino di cui era innamorata prima di entrare alle superiori... e prima che questi sparisse improvvisamente ed inspiegabilmente dalla sua vita dopo averla lasciata ore ad aspettare in strada per una prima uscita insieme, da lui timidamente proposta in occasione dell'annuale festa dell'estate. In realtà, nonostante le somiglianze esteriori, lo studente ha un cognome diverso da quello del bambino e, soprattutto, il carattere dolce e la voce un po' femminile ricordati da Futaba nulla hanno a che vedere con quelli del giovane appena incontrato, che si scoprirà però davvero essere lo stesso primo amore della protagonista, sebbene sia risolutamente tenace nel proprio disinteresse e nella propria disillusione. Sarà proprio lui a mettere alle strette la coscienza di Futaba e a portarla a cercare di tornare ad essere sé stessa.

Manga essenzialmente di stampo romantico ma avente come vero fulcro l'amicizia, non risulta mai esagerato nei sentimenti (è anzi realistico e si sviluppa secondo tempi naturali) né schiavo di un'eccessiva drammatizzazione. I volumi non raccontano una storia diluita né troppo lunga o contenente episodi secondari che distraggono dal pathos della trama centrale, come accade invece in moltissimi fumetti giapponesi femminili. La narrazione segue gli elementi tipici del manga di ambientazione scolastica (scuola, esami, corridoi e refettorio, strada di ritorno a casa, cameretta della protagonista, gita scolastica in un'altra città del Giappone, e così via), eppure l'autrice riesce sempre ad aggiungere qualcosa, a ricreare da elementi troppo utilizzati e utilizzati ancora quella novità nelle risposte dei personaggi ad alcune situazioni che li avvicinano per maturità di caratterizzazione più ai manga femminili per donne piuttosto che a quelli per adolescenti; nulla è forzato né irreale. Il punto forte sono però i disegni (particolarmente coinvolgenti e "luminosi" in alcuni volumi, tra cui il sesto e l'ottavo); i disegni mantengono tale livello anche con i coprotagonisti, i personaggi secondari, gli ambienti e gli sfondi. Per quanto riguarda la decorazione delle tavole di maggiore impatto emotivo e di maggiore importanza bello sviluppo della storia, "Ao Haru Ride" è elegante e pulito, privo di tutti quei troppi fiorellini e cuoricini che riempiono parecchi shoujo nelle scene clou (che invece dovrebbero essere ancor più curate, come molto felicemente avviene in questo caso). Altro oggetto d'interesse per una recensione è l'umore che percorre l'opera: nonostante la narrazione sia ricca di scene drammatiche (ma lo ripeto: mai assurde o melodrammatiche), un umorismo dolce e pacato, pulito e verosimile la percorre tutta, dando respiri piacevoli al lettore e facendo vedere tutta la storia attraverso la lente del tragicomico più comune, quello della vita reale i ogni giorno.

Un'ultima cosa: il volume 13, che vuole essere un'appendice al volume conclusivo numero 12, è in realtà uno dei più dolci e conclude senza deludere questa bellissima serie realizzata nei toni del bianco e nero.