Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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7.0/10
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Voglio fare una premessa: quando leggo la parola anime associata a MMORPG, non mi sento mai al sicuro. Questo preconcetto, insinuatosi nella mia mente dopo aver visionato svariate delusioni animate in cui la tematica fantasy veniva solo inserita come escamotage per mascherare storie che nulla avevano a che fare con quel genere, ha rischiato inizialmente di prendere il sopravvento pure con “Overlord”, serie animata del 2015 tratta da una serie di light novel pubblicate a partire dal 2012, scritte da Kugane Maruyama e illustrate da So-Bin. Per quanto concerne l’anime, invece, alla sceneggiatura abbiamo Yukie Sugawara e Naoyuki Ito (già precedentemente direttore di alcuni episodi speciali della celebre serie “One Piece”), ma è stata proprio la “certezza” Madhouse, studio di produzione del quale non ricordo nemmeno una serie che non mi sia piaciuta, a spingermi definitivamente, nel tardo 2017, alla visione di questa serie tanto discussa e apprezzata tra i fan del genere.

La trama ci catapulta fin dalle prime battute a Yggdrasil, realtà virtuale MMORPG che si trova in procinto della chiusura, dopo un lungo periodo di popolarità. Momonga, uno degli utenti più forti, ma che nella vita di tutti i giorni altri non è (come egli stesso si definisce) che un povero impiegato privo di ambizioni e interessi, esegue il login per l'ultima volta, ripensando, con nostalgia e dispiacere, a tutti i bei momenti passati con i suoi amici utenti. Il giocatore, però, tutto a un tratto scopre che il logout non è avvenuto, e ben presto si consapevolizza del fatto di esser egli stesso stato catapultato nel gioco sotto forma del suo personaggio (un arcilich mago), e che gli è preclusa qualsiasi possibilità di uscita. Dopo un’iniziale fase di preoccupazione, ben presto nota di essere diventato il leader supremo del regno di Nazarick, regno ideato e costruito da Momonga e dai suoi ex compagni, in altre parole il sogno di qualunque nerd fatto realtà, con cameriere carine, servitori potenti ma servili al tempo stesso, oggetti magici di massimo livello e una bandiera sventolante il suo nome. Da questo momento in poi inizieranno le imprese di Momonga, che indagherà, all’inizio cautamente, il mondo fantasy in cui è stato catapultato, notando fin da subito le somiglianze con il suo gioco preferito, salvo poi cominciare una lenta e inesorabile conquista del mondo, diventando alla fine egli stesso protagonista/antagonista. Ciò non vuol dire che il nostro impiegato perda la sua umanità, dal momento che buona parte delle sue ricerche saranno condotte con l’intenzione di ritrovare qualche altro “imprigionato” nel gioco e una potenziale via di fuga.

Già dai primi passi si può notare come l’anime si discosti enormemente da altre serie del suo genere, “Sword Art Online” su tutti: spariscono infatti le barre della vita dei personaggi, indice che il mondo non sia propriamente lo stesso del videogioco, ma su tutti la prima cosa che salta all’occhio è l’umanizzazione del gioco stesso, che finisce non per prefigurarsi come mondo trappola dal quale uscire, bensì finisce per mostrarsi come un’altra dimensione a tutti gli effetti, autonoma, autosufficiente e viva nelle sue dinamiche. Altra nota di merito che alza di molto la qualità della serie è senza dubbio il grande approfondimento che passo dopo passo viene dato alle ambientazioni incontrate dal protagonista, con spiegazioni, a momenti eccessive, non solo della struttura politico/economica del posto, ma anche approfondimenti sulle magie, sugli effetti degli oggetti magici, scatenati da un protagonista palesemente di un altro livello di potere rispetto agli umani e alle altre “creature inferiori”, così come del resto i suoi servitori, che nel corso della serie finiranno per massacrare eserciti di avventurieri che altro non potranno fare se non darsi alla fuga. Ciò tuttavia non vuol dire che “Overlord” sia noioso o scontato, vista l’enorme, quasi soverchiante, differenza di capacità tra Momonga e il suo esercito contro le altre fazioni, anzi: il fatto stesso che il protagonista-antagonista sia una sorta di deus ex-machina sul mondo calza a pennello con lo sviluppo dello stesso Momonga, un impiegato che nella vita di tutti i giorni vive schiacciato dal peso dei suoi superiori, e che nel gioco, in un’ottica vendicativa quasi “disturbata”, gode nell’imporre il suo potere sugli altri, con un’ipocrisia che lo rende un antieroe a tutti gli effetti. D’altro canto, è curioso osservare come lo stesso Momonga mostri più di una volta un momento di umanità, rappresentato dall’affetto che in fondo prova per i suoi servitori, quasi come una nota stonata, una debolezza, sotto la sua crudele armatura di arcilich mago. Ma in ciò non va vista una contraddizione, bensì il forte conflitto di un protagonista la cui umanità lo spinge a cercare una via di fuga dal gioco e a mostrare affetto per i suoi seguaci (ultimo ricordo della sua vita da giocatore), ma d’altro canto il rancore riservatogli nella vita di tutti giorni lo spinge invece ad abusare di quell’unico “potere” tanto sudato nelle sue lunghe ore di gaming, quasi come se volesse una sorta di rivincita sulla vera vita, spietata e ingiusta.
Per quanto riguarda gli altri personaggi, essi non risultano troppo caratterizzati dal punto di vista psicologico, ma la loro singolarità nell’aspetto e nei comportamenti li rendono lo stesso memorabili. Non si possono dimenticare infatti con tanta facilità l’innamorata (quasi al limite della perversione) demone Albedo (protagonista di alcune scene divertenti ecchi, mai comunque ingiustificate né talmente esuberanti da risultare fastidiose), la psicopatica vampira Shaltear o il possente Cocytus, tutti generali unici nel loro genere. Non mancano nemmeno personaggi spalla/comici, su tutti il Grande Re Savio del Bosco, creatura che più di una volta riuscirà a strappare risate, alleggerendo i momenti più pesanti della serie.

Per quanto riguarda il comparto audio, nulla da dire: calzante e a tema (seppur un po’ limitato). Sull’aspetto grafico, invece, ci sono alcune note dolenti, con fondali non troppo curati e soprattutto dettagli e linee di contorno dei personaggi non sempre ottimali. La opening credo sia una delle migliori del panorama anime degli ultimi dieci anni, ma anche la ending risulta eccezionale, seppur soffra il confronto con la sigla di apertura da top 5.

Concludendo, “Overlord” è una serie che strizza l’occhio al pubblico del MMORPG e ai fan del GDR con un’ambientazione epica e memorabile, con un protagonista e un cast d’impatto, e che con ‘tamarragine’ porta su schermo i sogni e desideri di tanti nerd, senza scadere però nel trash. Consigliatissimo, quasi un must watch, ai fan del genere, che apprezzeranno la pomposità dell’intera storia, che a tratti sfocerà nell’epica fantasy, ma lo suggerisco anche ai più scettici e ai neofiti, che potranno trovare in tredici episodi di mazzate e ambientazioni mozzafiato un piacevole passatempo per ammazzare la noia senza dover tenere troppo acceso il cervello.

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L’adolescenza è quella parte della vita in cui il mondo ti è contro, ti marca stretto e ti toglie il respiro, mentre le persone che ti circondano non riescono a capirti; l’adolescente è quindi combattuto tra la necessità di omologarsi alla società, rappresentata dai propri coetanei, e il volersi distinguere ed emergere dalla massa, due vie non sempre disgiunte che conducono ugualmente alla realizzazione dell’individuo. Diciamo pure che questo è il punto di partenza di “Aku no Hana”, un fumetto dal gusto autobiografico, un po’ di formazione, pesantemente psicologico e a tratti pure un po’ ermetico; la prima opera in cui Shuzo Oshimi abbia deciso di riversare tutto se stesso.
Quello che l’autore pone è il problema della <i>perversione</i>, intesa come aberrazione dal modello di individuo imposto dalla società, non necessariamente intesa dal punto di vista sessuale; un problema che l’autore esplica tramite il parallelismo tra l’individuo durante l’adolescenza e il poeta decadente nella società di metà Ottocento. Il protagonista, Takao Kasuga, è un pervertito per due motivi: perché rifugge la monotonia di una società dai valori scaduti e vacui attraverso la lettura e la poesia; per il furto della tuta di una compagna di classe, causa del tragico cambio di rotta della sua esistenza e punto di partenza della narrazione.
Proprio grazie alla lettura de “I fiori del male”, egli sovrappone l’idea di mondo decadente descritta dal poeta francese con quella della società che lo circonda; Takao vive nell’ossessione di essere un novello Baudelaire, un individuo dalla sensibilità spiccata che si erge, silenzioso, al di sopra della massa, proprio in virtù di essa, ma che dalla massa non viene accettato e riconosciuto. Il rapporto controverso con l’imperscrutabile Nakamura, sua ricattatrice, e con l’angelica e ingenua Saeki, lo porta tanto a un’estremizzazione di questo sentimento, quanto alla messa in dubbio del proprio ruolo, seguendo abbastanza fedelmente il percorso evolutivo della figura del poeta che Baudelaire impone nella propria raccolta più famosa. Takao si trova di fronte a tre problemi, fili conduttori dell’intera opera e tappe dell’evoluzione del personaggio: la scoperta dello <i>spleen</i> e il rapporto dell’individuo <i>perverso</i> nella società; la dicotomia tra purezza e dannazione, che si esplica nella contrapposizione di <i>donna angelo</i> e <i>femme fatale</i>, Saeki e Nakamura; il superamento dell’adolescenza e l’allontanamento da “I fiori del male”.

La suddivisione dell’opera, oltre che a livello narrativo, offre qualche spunto interessante anche sull’evoluzione del modo in cui l’autore si pone nei confronti della propria opera. Da un punto di vista concettuale, nella prima parte del fumetto, quella più strettamente legata all’opera di Baudelaire, viene posta particolare enfasi sul rapporto tra individuo e contesto in cui esso si trova; Oshimi attinge dichiaratamente dalla propria esperienza personale, fotografa i luoghi della propria infanzia e adolescenza, gli interni della sua vecchia scuola media, il fiume dove soleva trascorrere i pomeriggi in compagnia e via dicendo. L’attenzione, a questo punto della narrazione, è posta sì sui personaggi, disegnati con linee sottili e precise, molto arrotondate, ma anche sulla componente paesaggistica, riprodotta con attenzione e profondamente legata alle vicende e allo sviluppo delle personalità dei tre protagonisti. Takao, infatti, è mosso sostanzialmente dal desiderio trovare qualcosa che riempia la vacuità di quell’ambiente, che tenta di inglobarlo; sulla falsariga de “I fiori del male”, egli cerca dapprima rifugio nell’idealizzazione della bellezza e della purezza, rappresentate dalla figura di Saeki, ma ben presto realizza che l’immagine costruita attorno alla ragazza, si scontra terribilmente con la sua vera personalità. Saeki è ingenua, sottomessa fin da bambina alle regole che le sono state imposte e costretta a indossare la maschera della ragazza modello, tradendo le aspettative di Takao e finendo per ricercare ella stessa, proprio in Takao, la sostanza con cui riempire il guscio vuoto che sente di essere diventata.
Nakamura, al contrario, è sempre stata una <i>pervertita</i>. A causa di una situazione familiare complicata, la ragazza passa il tempo da sola a commiserarsi per la propria diversità e a fomentare il proprio odio verso la società dell’apparenza; quando viene a conoscenza del crimine di Takao – il furto della tuta di Saeki – è finalmente felice di aver trovato un’altra persona come lei, con la quale poter scappare verso un luogo diverso da quello soffocante in cui è costretta, con cui poter raggiungere <i>il mondo dall’altra parte</i>. Il ricatto di Nakamura, assieme alla presa di coscienza riguardo al proprio rapporto con Saeki, lo porta ad avvicinarsi alla prima e a compiere una serie di atti di ribellione verso i genitori, la scuola e la comunità cittadina in toto, senza tuttavia riuscire a raggiungere <i>l’altra parte</i> e a scappare dalla società, né tantomeno a trovare un posto all’interno di essa. Dilaniato quindi dall’incertezza e dal disgusto, Takao decide quindi di ripercorrere fino in fondo il percorso de “I fiori del male”, che con le ultime poesie individua nella morte il mezzo ultimo per raggiungere il tanto agognato <i>mondo dall’altra parte</i>.

L’avvicinamento al trasferimento della famiglia Kasuga, che segna l’inizio della seconda parte del racconto, è accompagnato da un cambio della psicologia del personaggio, che ha superato la fase di sovrapposizione alla figura di Baudelaire, ma che non riesce ancora a trovare scampo dalla città decadente che lo circonda. Da un punto di vista artistico, le linee iniziano a farsi più sinuose e i chiaroscuri più marcati; i retini utilizzati per le campiture lasciano progressivamente il posto al tratteggio e gli sfondi diventano via via più funzionali e meno iperrealistici. Di contro incrementa notevolmente l’espressività della scena, ora focalizzata esclusivamente sui personaggi. L’abbandono progressivo del dialogo, in favore della comunicazione per immagini, non inficia minimamente la trasmissione delle emozioni forti e delle sensazioni – vere protagoniste di questa parte del fumetto – dei personaggi, rappresentati tramite una fisiognomica precisa e dei primi piani terribilmente realistici, pur senza abbandonare la linea semplice e funzionale, tipica dello stile dell’autore. L’approssimazione nelle ombreggiature e il tratteggio esasperato degli ultimi capitoli, accompagnati da una regia ormai svincolata da ogni regola e canone preesistete, rappresentano l’apice della poetica visiva di Oshimi, un linguaggio che riesce a passare dal delicato al violento in un attimo, con una delicatezza e una naturalezza disarmanti, senza bisogno di parole a enfatizzare l’una o l’altra componente.

A differenza di altre opere fumettistiche giapponesi che hanno tentato in modo più o meno convinto di trattare la <i>perversione</i> dell’animo umano, trovo che “Aku no Hana” riesca a tenere sempre al centro della scena l’argomento principale, senza ricadere nella banalità e senza toccare ripetutamente la sfera sessuale, impresa ardua per un seinen, figuriamoci per uno shounen. Il fatto che l’autore studi in modo così dettagliato la scena e che conceda alla regia il ruolo principale nella veicolazione del messaggio della sua opera, è la chiave di volta del suo successo. La capacità di parlare per immagini permette una lettura rapida, immediata e molto intensa, nonostante alle volte, in un certo senso, questo si ritorca contro il lettore. Il rovescio della medaglia è infatti quello della scarsa longevità, non tanto della prima parte, in cui l’approfondimento psicologico dei personaggi e l’articolazione dell’intreccio godono di uno sviluppo praticamente perfetto, quanto della seconda. Se è vero che, come detto in precedenza, l’impoverimento della componente scritta a favore della dialettica dell’immagine arricchisca da un punto di vista artistico l’opera d Oshimi, è altrettanto vero che, in termini di tempo di lettura – per quanto meditativa essa possa essere – si riscontra un deficit importante. Sarebbe stato più interessante vedere un approfondimento maggiore del personaggio di Tokiwa e del suo rapporto con il protagonista, a sottolineare in modo più marcato il cambiamento scaturito dal superamento del Takao-simil-Baudelaire, in favore del vero Takao.
Rimpianti a parte, guardandolo nel suo insieme, “Aku no Hana” inizia come buon fumetto e cresce lentamente fino a diventare, nelgli ultimi volumi, un piccolo capolavoro, capace di coinvolgere, trasportare e far riflettere su tematiche delicate che, verosimilmente, hanno riguardato da vicino ogni adolescente, presente o passato.

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Hikikomori. Questo astruso termine di origine asiatica nasce come mezzo per identificare coloro che soffrono di particolari disagi psicologici che li portano ad avere comportamenti gravemente antisociali e alla reclusione, estraniandosi dal mondo intero. Questo fenomeno sociale è in continuo aumento, non solo nella terra del sol levante, e l'autore Tatsuhiko Takimoto decide di usare le sue esperienze di ex-hikikomori per poter raccontare con toni tragicomici la difficile vita di chi soffre di tali problemi.

I complotti sono spesso trovate false ed assurde con poche basi di fondamento, se non particolarmente assurde ed incredibili, spesso create da gente problematica per sopperire ai propri disagi mentali. Probabilmente tra queste ci saranno anche alcune rarissime eccezioni con basi solide, ma per ora Sato - un Hikikomori ventiquattrenne che ha interrotto gli studi e non lavora, sopravvivendo solo con i soldi mandati dai genitori - ha trovato l'unico vero complotto che piegherà il mondo: il complotto della NHK!
Dietro la sigla della TV pubblica si nasconde una realtà ben diversa: da anni propinano ai giovani gli anime ricchi di bei messaggi di speranza, ottimismo e "tante belle cose" che regalano falsi ideali. In questo modo, mentre si raggiunge l'età adulta, questi illusi ragazzi non sanno più come difendersi dal mondo e dalla difficoltà giornaliera nel perseguire la felicità, trasformandoli tutti in Hikikomori!
I primi capitoli sono inaspettatamente pesanti e visionari, con dialoghi astrusi e personaggi criptici che si dipanano tra argomenti pesanti quali l'uso di droghe leggere, i giochi erotici ed i lolicon. Anche la commedia che ha distinto le trasposizioni di questo libro è molto labile, spesso l'atmosfera tragicomica è palpabile ma non sempre efficace, però proseguendo la storia diventa sempre più intrigante e la commedia migliora, seppur di poco.
I personaggi, per quanto ricercati nella loro delirante follia, sono necessari per andare ad impattare con il più vasto pubblico possibile e dare figure nelle quali il lettore possa anche rispecchiarsi, e complessivamente possono anche vantare una discreta cura psicologica, soprattutto la dolce Misaki, che si rivelerà terribilmente umana nella sua fragilità e nel suo modo di ferire gli altri per valutare meglio se stessa.
Complessivamente, quindi, la storia migliora sotto ogni aspetto ad ogni capitolo, andando inoltre a regalare piccoli approfondimenti sempre più curati e profondi, riunendo tutte queste peculiarità nell'incredibile finale, eccezionalmente intenso ed emozionante.

L'inizio non è molto esaltante, oltre che confusionario per via della narrazione non proprio perfetta, ma continua a migliorare come in un vortice sempre più intenso e rapido che cattura sempre più il lettore, portandolo a porsi domande interessanti e accompagnandolo per la strada giusta da seguire per trovare le risposte a importanti domande, qualsiasi esse siano.
In tutti noi c'è un Hikikomori più o meno grande, che cerca di rifugiarsi in un mondo tutto suo dove poter fuggire dal dolore, dalla paura e dal futuro. E questa lettura, per quanto folle ed audace, può darci una mano importante.