Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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Conosciuto anche con il titolo inglese “Your Lie in April”, “Shigatsu wa Kimi no Uso” (“La tua menzogna nel mese di aprile”) approda sugli schermi televisivi nipponici nella stagione autunnale del 2014. Prodotto dallo studio A-1 Pictures e basato sull’omonimo manga scritto e illustrato da Naoshi Arakawa, l’anime consta di ventidue episodi, a cui si aggiunge l’OAV “Moments”.

Protagonista della storia è Kousei Arima, uno studente all’ultimo anno delle medie. Il ragazzo un tempo era un pianista prodigio, tant’è che veniva soprannominato “il metronomo umano”; tuttavia, in seguito alla morte della madre, egli ha perso la capacità di sentire la propria musica e ha interrotto bruscamente la sua carriera. Una nuova possibilità di rinascere e di tornare a vedere il mondo a colori gli è però offerta dall’incontro con Kaori Miyazono, una vivace e intraprendente violinista.

Un turbinio di emozioni, una variopinta e travolgente melodia: così potrebbe essere descritto l’episodio iniziale di “Shigatsu wa Kimi no Uso”, un anime in grado di colpire quasi tutto il pubblico fin dai primi minuti. Ugualmente appassionanti si rivelano le puntate successive, capaci di prendere lo spettatore e di fargli desiderare di vedere subito l’episodio seguente. Gli elementi vincenti che portano a tali risultati sono pochi e semplici. Innanzitutto una visione tutta particolare della musica, non dissimile da quella presentataci nel film d’animazione “Piano Forest”: non un mero spartito da riprodurre meccanicamente, ma un potente mezzo di espressione di sé stessi, grazie al quale comunicare con gli altri e lasciare la propria immagine impressa nella mente degli ascoltatori. L’opera, tuttavia, non mancherà di esporre altre concezioni di tale arte, differenti in base al personaggio che se ne fa portatore.

Sebbene le puntate siano principalmente occupate da esibizioni, largo spazio sarà dedicato anche ad altre tematiche, quali il rapporto madre-figlio o la perdita di una persona cara, che tanto può influire sulla vita di chi resta. In tale contesto non sfigurano neanche le questioni più “spensierate” e più diffuse nelle opere dedicate a un pubblico giovane: sovente ricorreranno flashback di un’infanzia non tanto lontana, pronti a illustrarci il tenero rapporto d’amicizia che lega Kousei e la vispa Tsubaki; l’innamoramento, dal canto suo, non possiederà la profondità del sentimento che unisce due adulti, ma dimostrerà che anche la più innocente cotta adolescenziale può cambiare radicalmente la propria visione del mondo.

In quest’ottica non si può certo affermare che i personaggi godano di una blanda caratterizzazione. Tante, infatti, sono le scene spese per fornire allo spettatore un’immagine il più completa possibile del protagonista, grazie all’utilizzo di semplici ma efficaci metafore (di cui, però, si abusa parecchio). Sviscerata a sufficienza, nei suoi pregi e nei suoi difetti, anche la figura di Tsubaki e di altri personaggi secondari, quali Takeshi, Emi e Nagi. Sopraggiunge una sorta di vuoto quando invece si pensa a Watari, adombrato da “attori” che, decisamente, sembravano svolgere un ruolo meno importante del suo. La vera luce di “Shigatsu wa Kimi no Uso” è però rappresentata dalla splendente Kaori, protagonista femminile che ha rubato il cuore di personaggi e spettatori: una personalità che potrebbe risultare alquanto scontata, ma che si riesce a decifrare del tutto solo nell’ultimo episodio.

Fin qui sembra che l’anime sia privo di punti deboli, o che, al massimo, ne abbia veramente pochi. Bisogna constatare, invece, che l’atmosfera iniziale che tanto aveva intrigato nelle prime battute inizia ad affievolirsi nella parte centrale, dove il coinvolgimento dell’audience appare decisamente in diminuzione. Il motivo, a mio parere, risiede nella continua reiterazione dei medesimi argomenti, che alla lunga stanca sfociando in una fastidiosa ridondanza. Complice, oltretutto, è la palese volontà di commuovere lo spettatore con pianti tragici ed esagerati. La drammaticità forzata, per fortuna, si astiene dall’infettare lo splendido ultimo episodio, di una bellezza triste ma pacata. Ultimo appunto da fare riguarda il modo di esprimersi dei ragazzi, troppo poetico e adulto per degli studenti delle medie.

Altra nota positiva è da ricercarsi nel comparto tecnico. Quello visivo può fregiarsi di un character design dai tratti dettagliati e molto gradevoli, il quale non perde mai un colpo nelle ottime animazioni. Suggestivi i fondali, densi di colori brillanti che rendono la visione una gioia per gli occhi. Il lato sonoro, invece, presenta tracce che svolgono bene il proprio compito, talora accompagnando le esibizioni dei musicisti. Il brano originale che rimane più impresso è sicuramente “Yuujin A-kun wo Watashi no Bansousha ni Ninmeishimasu”, proposto (forse un po’ troppo) spesso. Molto orecchiabili tutte le sigle, in particolare l’energica opening “Hikaru Nara” dei Goose House.

Tirando le somme, “Shigatsu wa Kimi no Uso” è un’opera che di certo non lascia indifferenti, grazie ai suoi personaggi ben caratterizzati, alle travolgenti esibizioni, ai temi non di poco conto e all’ottimo comparto tecnico. Tali numerosi pregi, tuttavia, si accompagnano a qualche difetto, quali evidenti forzature o un’eccessiva ripetitività. Voto: 8,5.

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Ho conosciuto l'opera della sensei Higashimura grazie alle avventure delle principesse meduse.
Mi ci ero avvicinato con una certa esitazione, non essendo il mio genere preferito, ma alla fine sono stato conquistato dalla simpatica follia di Tsukimi e Kuranosuke e l'ho divorato in un attimo. Ho provato anche qualche one-shot della sensei, molto gradevole, finché non ho scoperto l'esistenza di questa autobiografia.

L'ho approcciata con cautela, felice di ritrovare uno stile scorrevole, per nulla noioso. Dal punto di vista del disegno nulla da dire, il tratto è quelo tipico di Higashimura, che alterna ritratti profondamente espressivi (i primi piani sono stupendi) a bozzetti frenetici molto comici.
La vicenda copre la vita della sensei dalla fine del liceo fino al primo trasferimento a Tokyo, dopo la morte del suo maestro, con una carriera di mangaka ormai avviata.
Quello che fa davvero la differenza con le altre opere della Higashimura è la profonda sincerità con cui si racconta.
E' la prima volta che vengo a conoscenza di così tanta parte della vita privata di un mangaka e il suo percorso di crescita non mi poteva lasciare indifferente.

Sono il padre di un'adolescente e vedere i vicoli ciechi in cui si Akiko si è cacciata, le occasioni perdute, gli eccessi che lei candidamente ci racconta mi ha fatto arrabbiare, emozionare, riflettere.
In nuce la storia di Higashimura è la storia di una ragazza che non sa davvero cosa vuole, sa soprattutto cosa non gli piace e più o meno cosa vorrebbe imparare a fare. In questa grande incertezza incontra il suo vero Maestro, un uomo totalmente votato all'Arte, in particolare alla pittura, che le perdonerà sempre tutto, ma non le permetterà mai di dimenticarsi del valore del gesto artistico, per quanto la stesa Akiko cerchi in tutti i modi di perdersi.
Da padre, durante la lettura, avrei voluto molte volte prendere da parte quella ragazzina e dirle tutto quello che si stava perdendo, cosa che peraltro l'autrice stessa fa più volte in numerosi intermezzi della storia. Il me stesso giovane, a sua tempo confuso e un po' vigliacco come lei si è ritrovato nel'imbarazzo di tante scelte assurde fatte, naturalmente col senno di poi.

Il finale è davvero intenso, con la sensei che infine riconosce il valore per la sua vita degli insegnamenti che il Maestro le ha lasciato, e il rimpianto, da adulta, per ciò che non può più essere.
In ultimo è una lettura molto intensa, che fa emozionare e riflettere, a cui consiglio a tutti di avvicinarsi, se si è almeno un po' in sintonia con lo spirito della Higashimura vi resterà senz'altro quaslcosa di valore.
Spicca nel finale la pubblicazione di alcune delle foto originali che testimoniano della sua vita in quel periodo, preziose già di per sè.

A mio personale giudizio, i numerosi premi vinti da quest'opera sono assolutamente meritati, datele una possibilità se potete.

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Aspetta un “Memento”.

“Lupin III - La lampada di Aladino” è il ventesimo special TV dedicato al ladro gentiluomo. La pellicola vide la luce nel 2008 in Giappone, arrivando poi nelle TV italiane nel 2009. I redattori Mediaset pensarono bene di storpiare il titolo da “Sweet Lost Night” a “La lampada di Aladino”, per instillare negli spettatori quel richiamo disneyano tanto caro soprattutto ai giovanissimi.

Lupin si avventura alla ricerca della lampada di Aladino sotto le sollecitazioni della conturbante Fujiko, ma, quando si impossessa del tesoro, scopre che il genio al suo interno è una bellissima ragazza. Il prosperoso genio può esaudire un desiderio, a patto che a colui che lo esprime vengano sottratti i ricordi di metà vita, dalle 7.00 di sera alle 7.00 di mattina. Lupin constata che il genio è in realtà una ragazza comune di nome Drew, la quale, come lui, ha ricordi frammentari a causa del dr. Eichman, misteriosa figura che sembra voglia eliminare ogni individuo disonesto dalla faccia della Terra. Riuscirà il nostro Lupin a recuperare la sua memoria?
La storia, strutturalmente semplice, cattura da subito con la sua immediatezza. Avvincente la rocambolesca ed estenuante fuga iniziale di Lupin dalle grinfie di un ardimentoso Zenigata. Pregevole anche la piega che la trama prende nella seconda metà della pellicola, vi è una buona dose di denuncia sociale che a tratti sfiora il fantapolitico, catalizzandosi principalmente sulla manipolazione mentale.

I personaggi, dagli storici a quelli originali, sono ben assortiti, e il film risulta meno Lupin-centrico di altri. Ho apprezzato tra i nuovi in particolar modo l’avvenente Drew, e, tra gli storici, l’evergreen Zenigata, che, seppur nel cuore della pellicola venga accantonato, quando è in scena riesce sempre a strappare un sorriso. Da citare anche i soliti Gigen e Goemon, e l’originale Generale Aglio.

Tecnicamente il film zoppica, se confrontato ad alcune pellicole precedenti - impietoso sarebbe il confronto con “Il castello di Cagliostro” -, tuttavia buone animazioni e personaggi discretamente disegnati non fanno storcere più di tanto il naso. Buona anche la selezione dei temi musicali principali da parte di Yuji Ono, meno riuscite le semplici melodie create ex-novo, complessivamente comunque il comparto sonoro risulta più che sufficiente. La regia di Tetsuro Amino nella sua classicità funziona, con dovuti rallentamenti e continue accelerazioni tipiche del brand Lupin.

Né l’opera originale di Monkey Punch né la serie anime di Lupin ha mai preteso di essere verosimile o realistica, qui tuttavia ci sono gargantuesche esagerazioni (soprattutto nelle scene d’azione) che a volte rasentano il ridicolo. Ad esempio, quando Lupin fugge dal generale Aglio, salta da un tetto di una macchina a un altro, bypassando nel mentre proiettili come neanche il miglior Neo saprebbe fare. Interessante invece l’evidente influenza del film d’esordio di Cristopher Nolan, “Memento”; oltre al tema principale dell’amnesia, la scena in cui Lupin si scrive addosso ciò che ha paura di dimenticare è una chiara citazione al Leonard Shelby di Nolan.

In conclusione, dunque, reputo questo special su Lupin interessante. Non la migliore opera sul ladro gentiluomo, ma ad ogni modo lo consiglio a tutti i fan, a chi cerca una storia ritmata e a chi semplicemente vuole piacevolmente intrattenersi per novanta minuti.

Voto: 7