Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

-

Dopo un’ottima serie TV, nel marzo del 2013 esce nelle sale cinematografiche giapponesi “Hanasaku Iroha: Home Sweet Home”, film della durata di 66 minuti circa diretto da Masahiro Ando e scritto da Mari Okada. In questo lungometraggio, Ohana trova i vecchi registri della pensione compilati da Nonno-fagiolo che, tra le altre cose, contengono alcune informazioni sul passato di sua madre Satsuki, all’epoca adolescente.

Il film, dunque, fa la spola tra il passato e il presente, tra le vicende di Satsuki e quelle di Ohana. Ma sia ben chiaro: per quanto riguarda queste ultime, non abbiamo a che fare con un sequel, ma con una side story. Esse si collocano, infatti, all’incirca nella seconda metà della serie. Fatta questa premessa, posso affermare con certezza che “Home Sweet Home” è davvero un buon prodotto, degno del nome di “Hanasaku Iroha”; tuttavia, ci sono alcuni punti che potevano essere sviluppati molto meglio.
Partiamo con il presente. Le vicende a cui assistiamo in questo film sono in linea con lo stile dell’anime: piacevoli, divertenti e coadiuvate dal cast della serie TV al completo. C’è da dire, però, che ho trovato alcune di esse alquanto inutili e fuori luogo: le scene isteriche di Tomoe, per esempio, si potevano benissimo evitare. Altra cosa che non ho apprezzato è che queste abbiano leggermente surclassato quelle ambientate nel passato, le quali, al contrario, si possono considerare tutte delle piccole perle. Interessantissimo è stato sbirciare nell’adolescenza della madre di Ohana, di cui avevamo avuto solo pochissimi accenni nell’opera precedente. Punto forte della storia prequel è, appunto, la figura di Satsuki, diversa e al contempo simile a quella di sua figlia: come ben sappiamo, quest’ultima odiava la monotona città di Tokyo, e desiderava raggiungere Yunosagi per vivere un’avventura come quella dei film; la madre, al contrario, non vedeva l’ora di trasferirsi nella capitale nipponica e abbandonare l’ambiente ostile in cui era cresciuta. Entrambe le ragazze, però, sono accomunate dall’irrefrenabile voglia di brillare, di farsi notare, di mostrare al mondo chi sono veramente. Altra tematica presente in tutti e due gli archi temporali è il complicato rapporto genitori-figli: come nel presente Ohana scopre sfumature di sua madre che prima non aveva mai compreso, così Satsuki, nel passato, inizia a vedere la donna che più volte aveva definito “strega” sotto una luce leggermente diversa. Ultime ma non per importanza, le scene tra Satsuki e il fotografo che diventerà il padre di Ohana: dolci e in un certo senso affascinanti, ma, purtroppo, davvero troppo poche.

Passiamo al lato tecnico: esso è rimasto pressoché immutato rispetto a quello della serie TV, anzi, direi che è leggermente migliorato. I fondali sono sempre stupendi e luminosi, le animazioni ancor più capaci di rendere al meglio le espressioni e i movimenti dei personaggi. Come al solito, abbiamo OST orecchiabili e un’energica canzone dei nano.RIPE a chiudere il lungometraggio.

In conclusione, “Hanasaku Iroha: Home Sweet Home” è un film che va assolutamente guardato se avete amato la serie TV, anche se decisamente non ne raggiunge gli ottimi livelli. Piacevoli ma non proprio esaltanti le vicende di Ohana & Co. qui raccontate, superbe ma presenti in quantità piuttosto esigue quelle invece legate a Satsuki. Insomma, la durata alquanto breve ha un po’ penalizzato un film che altrimenti sarebbe risultato di gran lunga superiore. Voto: 8.


8.5/10
-

“Shuumatsu Nani Shitemasu ka? Isogashii desu ka? Sukutte Moratte Ii desu ka?” (abbreviato spesso come SukaSuka) è una light novel scritta da Akira Kareno con le illustrazione di Ue, uscita in Giappone nel periodo 2014-2016 e costituita da 5 volumi più un extra. La serie presenta anche un sequel dal titolo breve SukaMoka.

La trama è da serie post-apocalittica: comparse apparentemente dal nulla, diciassette tipologie di creature, note come “Bestie”, sterminano in poco tempo tutte le forme di vita presenti sulla Terra. Un manipolo di sopravvissuti riesce però a scampare alla distruzione rifugiandosi su poche isole volanti. Cinquecento anni più tardi, le isole continuano ad essere minacciate da attacchi delle temibili Bestie. Per contrastarle le armi tradizionali non bastano e pertanto si ricorre all'uso delle Dug Weapon, antiche spade leggendarie. Queste però possono essere brandite solo dalle Leprecauni, una razza di creature dalle fattezze umane. Con il pericolo della distruzione completa sempre dietro l'angolo, le Leprecauni vengono trattate come armi e non come esseri viventi, senza restrizioni ne diritti per loro. In questo contesto di morte, angoscia e isolamento, si inserisce nella vita delle Leprecauni un giovane uomo, Willem Kmetsch, rimasto pietrificato 500 anni e ultimo rappresentante in vita del genere umano. Un uomo, un combattente, che ha perso tutto ciò per cui lottava, insieme alla voglia di vivere una vita.

La serie parte da un contrasto: da una parte abbiamo il protagonista, Willhem, un uomo che aveva sempre sognato di entrare a far parte del gruppo degli Eroi, un guerriero che ha però perso per sempre il motivo per cui lottava e si ritrova in un mondo a lui estraneo; qui ciò che decide di fare è vivere una vita vuota, senza significato, quasi a punirsi per un fallimento di cui non ha colpa. Basti pensare che soggiorna in un isola dove quelli come lui, “senzamarchio”, vengono discriminati, ma in molte altre isole non è affatto così.
Dall'altra abbiamo le leprecauni, giovani ragazze divenute guerriere senza possibilità di scelta, portate a lottare per una causa, un paese, che non riconosce loro nulla, figuriamoci la libertà; eppure cercano di vivere la loro vita nel meglio che possono, in una grande comunità/prigione in attesa che arrivi la chiamata per il campo di battaglia, per una partenza che potrebbe non vedere il loro ritorno.

La serie è quindi un viaggio di Willhem in questo mondo nuovo, dove scopre sì i misteri che circondano le ragazze, le Bestie e la verità su cosa successe nel mondo 500 anni prima, ma sopratutto scopre di nuovo le motivazioni che rendono la vita degna di essere vissuta, anche se breve. Un percorso che porta il nostro eroe “un po' malridotto” a scoprire un ruolo per se anche in questa nuova vita, così come cosa significhi alla fine essere eroi.
Allo stesso modo seguiamo anche il percorso di Chtolly, una giovane guerriera destinata già a 15 anni a sacrificarsi, che vorrebbe però lasciare un segno, un qualcosa che possa provare nel mondo che anche lei ha vissuto. Ma sopratutto, ciò che vorrebbe è vivere, nel senso di non andarsene senza aver prima provato cosa significhi farlo.
Per i primi tre volumi seguiamo l'avvicinarsi dei due, il loro supportarsi a vicenda e i teneri e al tempo stesso forti tentativi di andare aventi insieme. La loro storia d'amore è abbastanza classica e normale, ed è proprio questa normalità in un mondo non normale che me l'ha resa dannatamente bella e apprezzabile.
Nei restanti due volumi invece, per la maggior parte si entra più in profondità sul passato, sul ruolo dei Visitors e sul lato decisamente poco luminoso che gli esseri senzienti, almeno parte di loro, spesso hanno. Ho apprezzato anche questi due ma in misura minore rispetto ai primi tre. Il finale è comunque soddisfacente e non nego di avere un po' di magone anche adesso a distanza di giorni dalla sua lettura.

Il character design e la descrizione delle ambientazioni è molto ben fatto. L'autore ha la tendenza a rivelare informazioni in maniera quasi casuale, messe un po' sparse nel testo, tanto che gioverebbe sicuramente una rilettura per assaporare alcuni passaggi con una luce nuova. Di tanto in tanto la cosa è un po' frustrante, visto che la comprensione di alcuni avvenimenti avviene magari anche qualche volume più avanti e al momento si rimane un po' così, nel limbo del “non sono sicuro di aver capito”.

In definitiva, è una serie che reputo davvero bella nel mostrare come apprezzare le piccole cose, per lo charm e l'atmosfera eterea che la pervade per tutti i suoi cinque volumi, così come per la bellissima storia dei due protagonisti. Bilanciando i volumi ho optato per un 8.5 come votazione finale. La consiglio a tutti, magari non proprio ha a chi non apprezza la presenza dell'elemento drammatico. Allo stesso modo consiglio la visione dell'anime omonimo (alcune tracce mi risuonavano sempre in testa mentre leggevo).


-

Pur non essendo in possesso di dati certi, la sensazione che questo "Vanilla Fiction" non abbia goduto di grande considerazione presso il pubblico italiano mi sembra una cosa abbastanza evidente. In apparenza si tratta di un titolo che già di suo sembra offrire ben poco ad un lettore esperto; e a renderlo ancora meno appetibile si sono aggiunti anche dei tempi di pubblicazione che io considero davvero assurdi. Io posso capire che ci sia questa moda della "contemporaneità col Giappone" e la cosa, in fondo, piace anche a me; ma bisogna anche tener conto che se un manga in Giappone viene proposto a "capitoli" su una rivista, per avere l'intero prodotto a disposizione in Italia poi occorrerà molto tempo. E distribuire solo tre volumetti all'anno (con attese anche di otto mesi) è davvero troppo poco per la proverbiale pazienza italica, soprattutto se si pensa che stiamo parlando di un lavoro non esattamente pubblicizzatissimo. A mio avviso sarebbe stato meglio aspettare un altro po' prima di proporlo e garantire tempi di pubblicazione più umani; forse così avrebbe avuto un pubblico maggiore e, in tutta onestà, se lo sarebbe pure meritato perché quella raccontata da "Vanilla Fiction" è davvero un gran bella storia.
"Vanilla fiction" racconta le disavventure di Shinobu Satou, un famoso scrittore giapponese, che resta coinvolto suo malgrado in un drammatico gioco di sopravvivenza: Dio, infatti, ha stabilito che se non mangerà assieme alla piccola Eri Makino dei biscotti sull'isola di Hajiro il mondo finirà. Sembra tutto molto semplice, ma così non è: un'altra persona, infatti, ha avuto un incarico diverso la cui realizzazione porterà allo stesso risultato, la salvezza del mondo. Ma se per evitare l'apocalisse le possibilità sono due, la possibilità di sopravvivere per i due "prescelti" resta una sola: portare a termine la loro missione. Se sarà l'altro a completarla la punizione per il "perdente" sarà la morte.
Se come incipit quello di "Vanilla Fiction" vi è sembrato poco attraente non posso darvi torto; in realtà pure io dopo la lettura dei primi volumetti ho avuto qualche dubbio sulla bontà complessiva dell'opera. L'idea che suscitava era che, seppur con le varianti del caso, si trattasse di una di quelle storie tutto splatter e niente arrosto che ormai si trovano un po' ovunque; ma fortunatamente l'abito non sempre fa il monaco.
Una delle qualità che amo di più in una storia è la coerenza, sia in termini di trama che in termini di evoluzione dei personaggi: in genere sono molto severo verso quei titoli che si "dimenticano" parti della storia (ed è anche per questo che preferisco leggere/guardare manga/anime non troppo lunghi in quanto, a mio avviso, questa eventualità è direttamente proporzionale alla lunghezza dell'opera) o che propongono un percorso di crescita irrazionale della natura dei vari personaggi.
Per questo motivo il merito maggiore che attribuisco a "Vanilla Fiction" in relazione al suo contenuto è proprio quello di aver sempre mantenuto la sua compattezza narrativa: la storia sembra quasi essere stata scritta tutta d'un fiato (e chissà magari è davvero così) per evitare improvvisi e deleteri cambi di rotta.
Ma se la coerenza della trama è quasi un minimo sindacale per un manga di solo otto volumi (anche se, ad onor del vero, le dimensioni di ognuno di questi è sempre molto corposa e comunque più grande rispetto alla media), non si può sempre sperare nello stesso automatismo anche in relazione alla crescita dei personaggi. Ma è proprio in questo, invece, che "Vanilla Fiction" eccelle: la caratterizzazione dei suoi personaggi è davvero superba, si vede benissimo che nulla è stato lasciato al caso. E così uno stesso personaggio, non importa se si tratta del protagonista, del cattivo di turno o di uno degli altri "attori" presenti nell'opera, riesce a far crescere in chi lo guarda sentimenti che si evolvono e che possono passare da un iniziale disprezzo alla comprensione, per poi tornare all'antipatia ed arrivare ad una inaspettata simpatia senza che la cosa appaia contraddittoria; e questo perché il modo in cui tutto questo avviene è perfettamente naturale. Ogni persona ha dei lati buoni e dei lati cattivi ed il modo in cui questi si manifestano fanno nascere, in chi li osserva, sentimenti contrastanti ma non per questo improbabili: Megumi Osuga (l'autrice) lo sa e con "Vanilla Fiction" vuole gioca proprio con la complessità insita in ogni persona per dimostrare che anche nelle zone più scure può esistere una componente più chiara e viceversa. E la cosa funziona, altroché se funziona.
I disegni non sono molto complessi, specie se si tiene conto della componente splatter, ma per me questo non è un difetto: meglio semplice ma efficace che elaborato ed incomprensibile.
Se avete in programma di comprare in blocco un manga non troppo lungo e non sapete cosa scegliere, se il genere è di vostro gradimento (in realtà basterebbe anche che non vi faccia proprio schifo) "Vanilla Fiction" è il titolo che state cercando. Anche se non ha goduto di grandissima considerazione, infatti, a mio avviso è uno dei manga migliori usciti negli ultimi anni.