Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

9.0/10
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Nel 2014 lo studio P.A. Works ci regala “Shirobako”, anime diretto da Tsutomu Mizushima e portato in Italia da Yamato Video sul canale di streaming Yamato Animation. La serie è composta da ventiquattro episodi, a cui si aggiungono due OVA rilasciati con l’edizione home video.

Protagonista della serie è Aoi Miyamori, una tempo un attivo membro del club di animazione assieme alle amiche Ema, Shizuka, Midori e Misa. Desiderosa di realizzare la propria opera insieme alle compagne, la ragazza ricopre ora il ruolo di assistente di produzione all’interno dello studio Musashino Animation, quest’ultimo al lavoro sulla serie originale chiamata “Exodus”.

Telefonate da un capo all’altro della stanza, matite che corrono instancabili sui fogli e auto che sfrecciano alla velocità della luce: il modo in cui inizia “Shirobako” non può essere più indicativo della frenesia che permea la complessa industria degli anime. Un settore che costituisce, ovviamente, la colonna portante dell’opera, e che viene trattato nelle sue più variegate sfaccettature. Innanzitutto, non possono che essere messe in evidenza le mille difficoltà che interessano tale ambiente di lavoro: consegne al limite della scadenza, tabelle di marcia sfasate per il più piccolo imprevisto o mancanza di personale disposto ad eseguire un incarico impegnativo, spesso sottopagato. “Shirobako” riesce ad affrontare le più disparate tematiche in maniera abbastanza realistica, senza sottrarsi a implicite critiche alle varie ingiustizie che investono il settore. Si pensi, ad esempio, alle ragioni che spingono ad assumere una doppiatrice piuttosto che un’altra, che poco o niente hanno a che fare con la bravura e le doti di recitazione.

Se la serie svolge un ottimo lavoro nel raccontare i vari problemi che si presentano ogni giorno (che si tratti di incomprensioni col mangaka o assistenti poco competenti), stessa cosa accade con gli aspetti più piacevoli e soddisfacenti del settore, i quali raggiungono efficacemente lo spettatore. Gli episodi più interessanti, a mio parere, sono quelli in cui si imbastisce un dialettico confronto tra vecchia e nuova guardia: tra animazioni disegnate a mano e realizzate in CG, in cui è difficile (ma non impossibile, come la serie ci dimostra) trovare un punto di incontro; tra lo stile più classico e quello più moderno, in cui il secondo ha sempre qualcosa da imparare dal primo; tra gli appartenenti alla vecchia generazione e alla nuova, in cui i giovani trovano l’impulso di continuare a lavorare grazie all’aiuto dei veterani.

Altro punto a favore risiede nel fatto che “Shirobako” possa considerarsi in tutto e per tutto un documentario sull’industria degli anime: non di rado ci verranno illustrate le varie fasi che stanno dietro alla realizzazione di un prodotto, con tutti gli incontri da tenere e le tabelle di marcia da seguire (non mancheranno neanche i numerosi termini tecnici). Proprio per questo l’anime si rivela perfetto per coloro che - come la sottoscritta - ignorano ma vorrebbero esplorare il “dietro le quinte” di una serie animata.
Altrettanto riuscito si dimostra il lato umoristico, ricco di gag e situazioni esilaranti che alleggeriranno la tensione e strapperanno una risata a una buona fetta di pubblico (da ricordare, a tal proposito, il divertentissimo episodio 23 e i singolari pupazzetti di Aoi).

Nella catena di produzione è essenziale ogni singolo membro dello staff: allo stesso modo, ogni singolo membro del cast di “Shirobako” si rivela fondamentale e viene approfondito con la dovuta adeguatezza. I personaggi dell’anime sono davvero numerosi, eppure l’ardua impresa (ma non impossibile, ancora una volta) di caratterizzarli uno per uno è stata compiuta senza riserve. Di certo le nostre protagoniste hanno ricevuto molto più spazio rispetto ad altri personaggi secondari (spesso di sesso opposto), ma bisogna comunque constatare che ciascuno di essi si è dimostrato reale e differente rispetto ai propri colleghi. Ad esempio, ci troviamo dinanzi a chi non ha ancora scelto la propria strada, chi persegue un ideale già da tempo e chi invece ha abbandonato futili speranze di fronte alla dura realtà. C’è ancora chi svolge il proprio lavoro con costanza, chi sfugge spesso e volentieri alle proprie responsabilità e chi non è soddisfatto del proprio operato. Nonostante le mille difficoltà, però, in ogni membro della MusAni è possibile percepire l’immensa passione per il settore in cui è attivo e, soprattutto, il profondo affetto per i prodotti creati, i cui personaggi si rivelano dei veri e propri “figli”.

Passando al lato tecnico, il character design risulta abbastanza gradevole e presenta fattezze alquanto “moe” sulle ragazze, molto meno evidenti per i personaggi maschili e adulti; le animazioni svolgono un lavoro nella media, mentre gli sfondi - purtroppo non tanto variegati - si rivelano come sempre eccelsi. Orecchiabili OST e sigle, in particolare l’ultima ending.

In conclusione, “Shirobako” si è dimostrato di sicuro uno dei migliori anime degli ultimi anni. Un interessante documentario e un realistico ritratto dell’industria dell’animazione, con tutte le problematiche e le gioie che ne derivano. Da ricordare, tra l’altro, per i numerosi ma carismatici personaggi che affollano le sue scene. Voto: 9.


10.0/10
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Nel lontano 2003 al Far East Film Festival fui rapito dal film "Ping Pong" diretto da Fumihiko Sori, che scopersi essere tratto da un celebre, ma da noi inedito, manga.

Bene: finalmente, dopo 15 anni, ho potuto leggere l'opera originale di Taiyo Matsumoto. Scritto nel 1996, la sua controparte cinematografica arrivava dopo sette anni. Oggi ho potuto leggerlo a più di ventanni dalla sua prima pubblicazione in Giappone.

Ma come è vero che per un'opera d'Arte con la a maiuscola, il tempo non passa.

Il tratto di Matsumoto è un tratto personale, autoriale, che non è paragonabile a nessuna tendenza estetica, motivo per cui, è il lettore che deve andare incontro alla sua Arte, il contrario di un tratto preconfezionato accattivante, che ricerano le opere più commerciali. L'aggettivo "sporco" è quello che più calza ai fumetti di Taiyo Matsumoto. Oppure dovrei dire "grezzo". I lineamenti dei personaggi sono per certi versi incredibilmente realistici, per quanto riguarda le fisionomie, ma, come in un film animato con la tecnica del rotoscoping (vedi "Waking Life" e "A Scanner Darkly" di Richard Linklater), ogni cosa e persona ha una sua vita espressa in un tratto costantemente onirico, anche grazie a delle inquadrature ardite, volte ad esprimere gli stati d'animo. In questo senso Ping Pong è opera ancora all'avanguardia. In certi momenti mi veniva di associare a Taiyo Matsumoto al cinema di registi come Stanley Kubrick e Lynch.
Le sue vignette mostrano una capacità inusuale a far calare il lettore nella vicenda, nell'opera d'Arte stessa, azzerando spazio e tempo, trascendendo nell'Arte la materia stessa, il volume che si ha fra le mani.

E questo grazie anche ad una storia, lineare, in fin dei conti. Ma è una storia di personaggi che hanno un'anima e un cuore, tanto che dall'inizio, sin dalle primissime pagine, ci rendiamo conto di stare davanti a due anime e del loro percorso di crescita in quel viaggio misterioso che è la vita.

E non si tratta soltanto dei due protagonisti "Smile" e "Peko", che bucano ogni pagina, e direttamente parlano nel nostro cuore. Ogni personaggio di "Ping Pong" ha la profondità d'animo di un personaggio di un romanzo russo o tedesco. Mi spiego... Nessuno qui è una macchietta nel senso caricaturale o comico che si può associare ad un manga. Ogni comportamento umano risulta pieno di sfumature, tanto che ogni personaggio ha sempre qualcosa di inafferrabile, poichè, continuamente, instancabilmente è alla costante ricerca di qualcosa. Ognuno a modo suo.

Parlare di Ping Pong, scrivere ora di Ping Pong, mi fa venire i brividi. Per farvi capire perchè ho deciso di mettergli 10. Ammetto che, a volte, esagero e metto 10, questo numero che rappresenta il massimo, anche a opere che, sono consapevole, hanno almeno uno o due difetti. Ma su Ping Pong non so davvero cos'altro dire se non che... Nonostante un manga, per sua natura, non ha la musica di sottofondo, perchè empiricamente non può averla. Beh, io sono un musicista e, leggendo Ping Pong, trovavo fosse estremamente musicale, come sentissi la sua musica sfogliandolo... Una musica invisibile, fra le pagine e me (e l'eco del cuore del suo autore).


8.0/10
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Ogni volta che mi accingo a guardare una trasposizione live-action di un manga (che abbia letto o meno) ho sempre il timore che quello che andrò a vedere sia una perdita di tempo o, peggio, che non sia all'altezza dell'opera originale, che non gli renda insomma giustizia. Di solito questo avviene perché vengono cambiate troppe cose a livello di sceneggiatura rispetto al materiale originale, e le nuove parti non risultano all'altezza. Diciamo pure subito che il film di "I am a Hero" risulta assai differente dal manga, cancellando molte parti più o meno importanti, in particolar modo quello che succede nei primi volumi, soprattutto le parti più lente. Ovviamente un'operazione del genere era abbastanza scontata, visto che il film dura circa 2 ore, ed i volumi da adattare fino a quel momento erano parecchi. Leggendo ciò si potrebbe pensare di trovarsi di fronte ad un film mediocre, ma in realtà non è così: il risultato finale infatti è comunque più che valido, merito anche di una regia sapiente e di effetti speciali credibili: logicamente non ci troviamo di fronte a blockbuster di Hollywood con budget da decine e decine di milioni di dollari (come ad esempio World War Z), ma non c'è una scena in cui la computer grafica non risalti (troppo) rispetto agli attori reali ed agli effetti pratici. Senza contare che, al contrario CDI molti film di Hollywood sugli zombie, in questo film non mancano scene splatter a volontà (come si possono trovare anche nel manga).
Un plauso anche agli attori, in particolare al protagonista, che risulta essere quasi la copia perfetta della sua controparte cartacea.
Come si accennava all'inizio molto è stato tagliato o condensato del manga originale, a spese di vari personaggi, ma ciò non è bastato: anche il finale rimane aperto, cosa che aprirebbe la strada almeno ad un secondo film, ma ad oggi, nonostante il manga si sia concluso nel 2017, non si sa se verrà mai girato. Intendiamoci: il film non termina con un "cliffhanger", quindi non si può dire che lasci in sospeso molte questioni, ma d'altro canto si capisce che la vicenda non può finire così. È anche vero che la seconda parte del manga che dovrebbe essere trasposta è molto meno convenzionale e molto più complessa da adattare per il grande schermo (incluso il finale del manga, alquanto criptico), per quanto indubbiamente affascinante.
In ogni caso, anche se non dovessimo mai vedere un seguito, questo film rimane comunque un esempio di come i giapponesi siano ancora in grado di produrre lungometraggi decenti tratti da altre opere, nonostante molte pellicole possano far pensare il contrario.