Questo articolo è il topic ufficiale per poter partecipare alla LIVE tramite i commenti.
I nostri ospiti saranno:
Distopia Evangelion
Cavernadiplatone
Svet Krasna
e Sergio Algozzino
Buona visione!
Questo articolo è il topic ufficiale per poter partecipare alla LIVE tramite i commenti.
I nostri ospiti saranno:
Distopia Evangelion
Cavernadiplatone
Svet Krasna
e Sergio Algozzino
Buona visione!
Sì, lo sono, in minima parte sì (beh, nel caso della Principess Splendente è molto evidente, per esempio). Ma quello che ti è sempre stato contestato sono i forti fattori comuni a tutti quei dialoghi, non le differenze che vengono messe in secondo piano da questi fattori comuni. Non è accettato proprio il "sentire dei giapponesi parlare in italiano". Lascia stare ciò che ritieni giusto o sbagliato, la capisco perfettamente la tua ideologia: quando parlo in inglese nei paesi esteri odio non riuscire a dare la sfumatura che la mia mente italiana partorisce nel dialogo in quanto mente italiana, e quindi finisco per dire cose italianizzate oppure mutilate e la cosa mi dà ai nervi perché penso sia fondamentale il modo in cui vengono dette le cose e concatenate tra loro, ad esempio il sarcasmo si basa interamente su questo e forma e contenuto in quei casi vanno a braccetto.
Quindi sì, capisco perfettamente la tua ideologia. È sempre stato un conflitto di premesse (chi fruisce del doppiaggio non desidera questo), però nel fare le argomentazioni che ho fatto finora ho preso comunque la tua premessa per buona. Cercando solo di arginarla e limitarla (tu stesso non la spingi al massimo del suo potenziale, quindi anche tu ti dai dei paletti. Cerco solo di avvicinarli).
Sì, esattamente. Dico "tue stranezze" perché sei tu che porti avanti questa metodologia, quindi che tu lo voglia o no... è un metodo che hai introdotto tu in quest'ambiente, e a venire sarà ricordato con la tua figura.
No, non è così, credimi. O meglio, per qualcuno sarà sicuramente così. Per altri, semplicemente, guardare un film è legato all'immersione, l'immedesimazione, la sospensione di incredulità: ovvero l'illusione che quei personaggi siano vivi e stiano parlando in quel modo. Si tratta sempre di convenzioni, ovvero lo spettatore è conscio che i personaggi stanno parlando in un linguaggio codificato, ma la premessa comune è che ciò che comunichino non siano parole, ma concetti. Non tutti i concetti sono uguali per tutti i popoli, ma ce ne sono molti di simili, l'adattamento ti dice semplicemente: "Ehi, tale concetto espresso nella nostra lingua si esprime in modo più o meno efficace in quest'altro modo analogo." Quello che invece definiscono "Cannarsiano" (vale a dire il "giapponese parlato in italiano") è una lingua a sé stante in cui vengono espressi gli stessi identici concetti, solo utilizzando forme differenti da quelle utilizzabili nell'italiano: ci si può fare senz'altro l'abitudine, ma di per sé spiazza e rompe la quarta parete. Non è del tutto sbagliato dire che equivalga ad una sorta di lingua a sé stante, un dialetto basato sulla grammatica italiana. Ma in quanto "giapponese-parlato-in-italiano" non è giapponese. Le persone che desiderano tenere invariato il più possibile forme e concetti originali non fruiscono del doppiaggio, fanno un giusto e sacrosanto passo avanti: fruiscono dei sottotitoli. Il passo ulteriormente successivo è quello di fruire dei sottotitoli nella medesima lingua del parlato (nel caso: giapponese con sottotitoli giapponesi). Il passo ulteriormente successivo è quello dei madrelingua: non fruire di alcun sottotitolo.
Io credo che il tuo metodo sia PERFETTO per dei sottotitoli. Nel doppiaggio non ha un target (ed è stato ampliamente dimostrato).
La tua ideologia non tiene conto del concetto di target, ma il mercato sì. Il doppiaggio è puro mercato. Non valorizza la cultura.
I sottotitoli possono ancora appigliarsi alla valorizzazione culturale.
C'è un'altra cosa che sbagli a ritenere tale secondo me, vale a dire la seguente:
È vero che utilizzi il vocabolario nel modo più completo possibile, proprio perché attingi ai significati etimologici. Non tieni conto di quanto una parola sia "alla moda" o "desueta", lo sfrutti nella sua completezza.
Però il vocabolario attualmente utilizzabile è comunque limitato e circoscritto nel tempo. È diverso rispetto all'italiano del passato, e nel futuro cambierà.
Petrarca diceva "nudrire", oggi diciamo "nutrire". Diceva "giovenile", oggi diciamo "giovanile", magari tra 200 anni si dirà "giovinno".
Pertanto l'attuale vocabolario sfruttato al 100% non è immortale, fa comunque parte del giorno d'oggi. Invecchierà. Tra 200 anni forse non potrà più essere seguito. Le opere invecchiano con le loro parole. Se un'opera è del 1920, va adattata tenendo conto dei vocaboli e delle forme del 1920. Se un'opera è del 1990, va adattata tenendo conto dei vocaboli e delle forme del 1990. Anche la FREQUENZA D'USO è importante. È un dato molto difficile da verificare con sicurezza del 100%, ma è un dato importante. Se si potesse verificare in modo affidabile ANDREBBE ASSOLUTAMENTE verificato. Nell'impossibilità di farlo, si va per presunzione. È necessario. Anche tu dai per scontato che un bambino qualsiasi di 3 anni non utilizzi la completezza di vocabolo di un adulto.
Beh, ma rivoltando la medaglia: allora sei tu che non guardi un certo tipo di animazione.
"Uso" è una delle parole più utilizzate in quel tipo di linguaggio codificato, lo stesso linguaggio codificato in cui dicono ovunque "Chikusho" o "Teme" (cose oltremodo inopportune nella vita quotidiana) o in cui ripetono allo sfinimento "Yamete" senza forma onofirica (in effetti, negli Anime sono tutti troppo tremendamente maleducati e spavaldi, ma è un'idealizzazione). Evangelion usa lo stesso linguaggio. Noto poi che stai escludendo i casi in cui in Evangelion viene detto "Uso da". Credi veramente che ci sia tutta questa differenza?
In conformità ai miei limiti e tenendo conto del mio margine di errore, trovo oggettivo che la differenza tra "Uso" e "Uso da" sia sostanzialmente la stessa che ci può essere tra "Chigau" e "Chigau yo".
In italiano tra un "Non è vero!" e un "No!" con il debito sottotesto non c'è differenza nell'intento di comunicazione, è solo un rafforzativo.
Che in italiano si possa? Dunque, Diversamente. Che si possa dire, conscio, sono io ad esserlo. Lo nego, che si possa, in italiano. Di comunicazione vi è un intento; della comunicazione, quell'intento, sì, differente, questo intento, sarà. Negazione, ovvero doppia negazione, ovvero constatazione. C'è un concetto, esso espresso è tale; rimane tale.
...Come dimostrato sopra: parole normali, ma espresse in modo inusuale rispetto alla frequenza di utilizzo, mancano l'obbiettivo. (cioè comunicare)
Eh, ok. Ma come si fa a stabilire chi ha ragione, se abbiamo percezioni diverse della cosa? Io non rappresento il mondo, tu non rappresenti il mondo. Siamo una caccola nella statistica, è il nostro buonsenso a farci esprimere un'opinione nel merito. Siamo nostro malgrado costretti ad avvalerci di esso.
Certo che Asuka ci crede: è soltanto un sottotesto. Come sai benissimo, serve a far capire un'intenzione astratta utilizzando parole che rendano bene l'idea del tono, del tipo di stato d'animo e del modo di porsi nei confronti dell'interlocutore. La sfortuna dei sottotesti è che sono profondamente relativi. In base a quello che ho recepito, in questo caso io e te abbiamo lo stesso identico concetto di ciò che voleva esprimere Asuka in entrambe le circostanze (o meglio, ciò che volevano esprimere per lei gli sceneggiatori che hanno scritto i suoi dialoghi). Abbiamo entrambi questo concetto astratto. Probabilmente usiamo parole diverse per esprimere il suo sottotesto, ma quello è. Il punto è che la frequenza di utilizzo della parola "Bugia!" in italiano, isolata a quel modo, cambia il modo di intendere l'intenzione che ne deriva. Sì, la sua frequenza d'utilizzo nella vita quotidiana di noi esseri umani nel 2019 (e nel 1996) muta la parola stessa, è innegabile. Mi affligge non poter reperire in modo statistico e verificabile questa cosa, ma è una percezione talmente nitida e chiara in me che non posso in nessun modo ignorarla, pertanto mi comporto di conseguenza.
Per le battute finali di Gendo, attendo le tue argomentazioni per porre nuove domande.
Torno qui a distanza di due anni perché ho ricercato la conversazione e mai avrei pensato che avrebbe risposto a tutti i commenti. Le faccio le mie più sincere congratulazioni per l'impegno e la pazienza.
Ma no, non riesco comunque a capire come un traduttore possa pensare solo ed esclusivamente alle volontà dell'autore dell'opera e non al pubblico di destinazione. Cannarsi, lei è un ponte, un ponte che deve connettere l'opera ai suoi fruitori, perché per evidenti motivazioni storiche, culturali, geografiche e quant'altro, non potrà mai trasmettere l'intento dell'autore con delle parole. Questo vale per il giapponese come per qualsiasi altra lingua, ovviamente. Se prendiamo atto di questo, ciò che le resta è sforzarsi di trasmettere il messaggio in generale e in modo comprensibile, perché credere di poter rendere, usando per filo e per segno le parole dell'autore, la sua idea mentre concepiva l'opera, è di una presunzione allucinante.
Lei non potrà mai, e sottolineo MAI, rispecchiare le idee dell'autore, quindi basta con questa storia dell'essere fedeli alle idee e alle parole, perché è tutto un fantasma che lei stesso si è costruito.
Proprio per questo il mio referente è l'opera, non "l'idea dell'opera" nella testa dell'autore, né presunta e neppure dichiarata in possibili "interpretazioni autentiche".
A tutti gli effetti, mi pare che tu imputi a me esattamente quello che i "normai" traduttori fanno, e io cerco di evitare: interpretare. Se rileggi gli ultimi tre messaggi credo sarà evidente anche a te.
Per l'appunto non intendo farlo. Resto con gli occhi fissi sulla materia dell'opera: le parole che la esprimono.
Le parole esprimono linguisticamente qualcosa, il loro legame determina un contesto culturale, nessuno dei due va perso con una "traduzione". Non serve chiamarsi DeSaussure e distinguere tra langue e parole per capirlo.
Sì, il fatto è che "l'opera in sé" è priva di significato, senza il fattore interpretativo.
La comunicazione non si limita alla grammatica.
Sono solo parole e immagini in sequenza, che comunicano un numero limitato di informazioni, con un numero potenzialmente infinito di variabili ed ambivalenze.
È l'interpretazione a fornire loro un senso logico, e a racchiudere il maggior numero di informazioni.
Il linguaggio è, per definizione stessa, necessariamente ambiguo.
Ed è proprio questo il problema, santo cielo!
Lei tiene gli occhi fissi sulla materia dell'opera e non guarda in faccia il suo pubblico di destinazione! A cosa serve il suo operato, e che senso ha il suo ruolo se si limita a riportare la "realtà dei fatti"? Quello che fa non è un lavoro di traduzione, ma è quello di un notaio! Lei prende una parola e l'annota, poi un'altra e un'altra ancora, ignorando e prendendo per buono quello che legge. Ma come fa una persona del suo calibro a ritenersi soddisfatta di tutto questo?
Io insisto e ancora insisto, perché ogni volta che si parla di lei mi piange il cuore: metta VERAMENTE le sue conoscenze al servizio del pubblico, perché potrebbe fare grandi cose!
Ogni lingua è un'approssimazione limitativa e limitante, quindi determinati concetti e sfumature vengono rese per approssimazione e, pertanto, in maniera relativa. Quando si dice che "Il linguaggio è necessariamente ambiguo" si intende questo... in poche parole una data parola o frase, che oggettivamente dovrebbe voler dire una cosa univoca, in realtà non significa mai una cosa necessariemente univoca.
E questo è un dato di fatto.
Infatti non lo faccio neppure io. In termini di di relazione, a corrispondenza tra aree semantiche interlinguistiche non è mai biettiva. Se parliamo di traduzione in termini di funzione matematica, la funzione non è biunivoca. Si tratta di applicazioni a volta iniettive, a volte suriettive, a causa della sempre presente polisemia terminologica in ambo le lingue coinvolte, ma anche per la semplice non-corrispondenza d'estensione delle aree semantiche di significato associate ad ogni significante.
Le parole [signifcant] dal significato davvero univoco sono davvero pochissime, in genere appartengono a registri molto specifici se non tecnici - un eritrocita, per dire, è un significato che si è definito specificamente. Così come molti termini giuridici, per fare una citazione interna si può dire che la lingua tecnico-specifica è normata quasi da un giuspositivismo puro di tipo kelseniano, ma nella lingua e terminologia più comune, usuale, non è mai così.
Il fatto che si cerci, si provi a temere ordinata un un singolo testo testo tradotto/adattato/localizzato per non sacrificarne la varietà linguistica - né sacrificarla per contro - è solo un tentativo e un intento di rigore, non è una norma preordinata al significato delle cose.
Quindi?
È sufficiente che non compari i tuoi dialoghi a quelli originali. Perché i tuoi dialoghi non sono quelli originali.
Nessuna traduzione/adattamento è comparabile ai dialoghi originali.
Tutte le traduzioni sono sbagliate e soggette ad un'interpretazione contestuale anche minima... pertanto (quasi) ogni critica è sempre legittima.
Certo, ci sono traduzioni meno sbagliate di altre. Ma sotto sotto, sono tutte sbagliate.
Questo è un passo logico che hai introdotto tu, ed è del tutto indebito oltreché assurdo.
Un'opera derivata è derivata, e va "paragonata", ovvero riferita, al suo referente - come tale. Tutto qui.