Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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Tradurre la complessità di un'opera non è mai facile. Si deve partire dalla premessa che nella trasposizione qualcosa andrà perso. Tagli, modifiche, aggiustamenti, sono inevitabili. Come è pure da tenere in conto che ogni traduzione è di fatto un'interpretazione, che a livello tecnico o stilistico può discostarsi dal modello originale. E di molto. Ma cosa avviene quando, oltre a riproporre un canovaccio e uno schema già usati, si comincia a sperimentare solo per "aggiornare", per "tirare a lucido" ciò che si ritiene (da vedere poi quanto a ragione) perfettibile o meritevole di una (supposta) miglioria?

Per rispondere a questa domanda basta dare un'occhiata alla nuova trilogia che adatta i capitoli dedicati al passato di Gutz, il protagonista di "Berserk". Capitoli che erano già stati adattati in una serie del 1997 che, pur discostandosi in più punti dal manga di partenza, aveva proposto una sua chiave di lettura, riuscendo a sopperire alle carenze tecniche, ai tagli della trama, alle modifiche e alle strategie narrative con uno stile enfatico, con richiami autoriali e virtuosismi tecnici come le musiche di Susumu Hirasawa.

Il confronto diventa così impietoso. Questo primo film della nuova trilogia, sembra un qualcosa di totalmente estraneo sia al manga di Miura, sia alla serie di quindici anni prima. "Diverso" in questo caso significa "estraniante". Nonostante la trama di base non sia stata sensibilmente modificata (anche se le forbici hanno comunque avuto un ruolo pari ai protagonisti), molti dettagli sono stati resi con un trasporto che rasenta la noncuranza.

Il regista Toshiyuki Kubooka sembra aver volutamente tralasciato sfumature e richiami, cullandosi negli allori del mito, stante la premessa che «la trama la conoscete già tutti, no?».
Il piglio espresso ha un sapore documentaristico. Nel proporre l'azione, gli orrori, le tragedie, i drammi, si percepisce lo stesso pathos che c'è nelle controindicazioni dei farmaci.
Non sono sufficienti i silenzi, gli effetti sonori, le scene d'azione, le battaglie, a restituire quelle atmosfere gotiche da Medioevo barbarico quanto picaresco che esplodono invece nelle tavole del manga.
Non bastano i nuovi brani di Hirasawa (sempre ispirato ma qui sprecato) a dare slancio ad un quadro d'insieme così insipido.

Ma l'elemento che più colpisce di questo film è l'animazione. Perché colpisce proprio come un pugno allo stomaco. Lo Studio 4°C ha confezionato un'opera incredibilmente mortificante a livello visivo. L'uso della CGI per animare personaggi e azioni è risultato devastante. I movimenti sono legnosi, meccanici, talmente innaturali da strappare dei sorrisi (o delle urla) di scherno. Non siamo certo di fronte a un colto richiamo all'arte delle marionette.
Sembra più di vedere le animazioni di un videogame.
Ma anche in questo caso il confronto sarebbe impietoso se si considera che l'industria videoludica è già in grado di proporre dettagli tecnici superiori a quelli qui proposti. Perfino la computer grafica usata per i videogames di Berserk da PlayStation 2 e Sega risultava più digeribile.
La differenza si nota subito in quel mischiare due forme tecniche che parlano linguaggi spaziali e prospettici quasi antitetici.
Il contrasto è accentuato soprattutto dall'alternanza fra questo espediente e l'animazione 2D. Tale contrasto, sempre rischioso e immotivato, è giocato in maniera dilettantesca, risultando niente affatto curato, quasi fosse un dettaglio di cui nessuno possa accorgersi (il che si potrebbe quasi interpretare come un palese insulto all'intelligenza dello spettatore).

La domanda sul perché si sia alla fine scelto di riproporre un arco narrativo già presentato in animazione viene totalmente messa in ombra da questi schiaffi visivi, che lasciano spazio al più pressante quesito sulla necessità di una tale prodezza che, alla luce dei risultati, si rivela utile quanto un calcio nelle gengive.

Purtroppo lo stesso schema si ripete sostanzialmente invariato negli altri capitoli della trilogia. Il che farà poi da apripista a qualcosa che se possibile risulterà anche peggiore di questo «trimorfo» che farebbe paura alle aberrazioni delle mitologie antiche, delle culture popolari o agli stessi incubi tracciati dalle chine di Miura.

A coronare questo sconfortante quadro c'è infine un dettaglio che, ciliegina sulla torta, rende il tutto ancor più penoso: un doppiaggio particolarmente non ispirato.
Nonostante la presenza di professionisti del calibro di Romano Malaspina, la resa è stranamente sottotono. Le voci, soprattutto quelle dei protagonisti, non riescono a dare vigore a un pacchetto che avrebbe potuto rifarsi con degli extra non inclusi. Un'esecuzione piatta e quasi stonata, paradossalmente in questo perfettamente coerente al senso generale di questa produzione.

Per trovare la necessità di vedere questo film e i suoi seguiti, stanti la precedente serie e il manga di riferimento, bisogna avere la costanza samuraica di chi ama l'animazione in ogni sua forma (anche la peggiore), o lo stoicismo che solo i filosofi e i fan accaniti possono avere.
A chiunque altro consiglierei di preferire una colonscopia.

10.0/10
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“Versailles no Bara” (letteralmente “Le Rose di Versailles”, conosciuto in Italia col titolo di “Lady Oscar”) è un anime di quaranta episodi prodotto nel 1979 dallo studio TMS Entertainment (all’epoca Tokyo Movie Shinsha) e basato sull’omonimo manga scritto e illustrato da Riyoko Ikeda. I primi diciotto episodi della serie sono stati diretti da Tadao Nagahama, mentre la regia del resto dell’opera è stata affidata a Osamu Dezaki.

La storia vede come protagonista Oscar François de Jarjayes, una ragazza che è stata cresciuta come un uomo per volere di suo padre, generale della Guardia Reale da sempre al servizio della corona di Francia. Grazie alle sue incredibili abilità, a soli quattordici anni Oscar diventa il Capitano delle Guardia Reale e riceve l’incarico di proteggere la principessa Maria Antonietta, da poco sposa dell’erede al trono Luigi XVI.

Nonostante la sua veneranda età, “Le Rose di Versailles” è un anime che riuscirebbe a far impallidire molte opere odierne per via dell’ottima fattura di comparto tecnico, personaggi e storia.
Partendo da quest’ultima, è impossibile non notare con quanta armonia, e soprattutto realismo, l’opera riesca a ripercorrere uno dei periodi storici più delicati e importanti di tutti i tempi. Abbracciando un arco di tempo di quasi vent’anni, l’anime riesce infatti a ritrarre fedelmente il panorama francese di fine ‘700 mettendone in evidenza due aspetti contrastanti che ma che coesistono: da un lato la vita di corte, caratterizzata da affascinanti balli, vestiti e gioielli preziosi, screzi tra dame e intrighi orditi da nobili assetati di gloria e potere; dall’altro la miseria e gli stenti in cui è costretto a vivere un popolo sempre più stremato e stanco della noncuranza del monarca e del suo entourage. Proprio il lento ma inesorabile cambiamento che interesserà la Francia di Luigi XVI e che culminerà con lo scoppio della Rivoluzione del 1789 sarà il fulcro della serie, nonché il palcoscenico perfetto su cui si muoveranno i diversi attori, tutti profondamente coinvolti in questa sequenza di incredibili eventi.

Quella di “Versailles no Bara” è una rosa di personaggi molto variegata: che siano nobili spietati o popolani in cerca di vendetta, che siano ispirati a personalità realmente esistite o interamente prodotto della fantasia dell’autrice, tutti appariranno estremamente veri e perfettamente caratterizzati. A rimanere più impressa sarà ovviamente la protagonista Oscar: una figura ricca di forza, coraggio e nobiltà d’animo, che però cade preda delle sue debolezze quando si tratta dell’ambigua situazione in cui è costretta a vivere fin dalla nascita; un personaggio in cui v’è una continua lotta interiore tra la parte maschile e quella femminile, tema attualissimo anche al giorno d’oggi. Altra figura degna di nota è rappresentata da Maria Antonietta, principessa e poi regina che possiede mille sfaccettature a seconda di chi la guarda: uno spirito puro e candido agli occhi della sua amata Oscar, una sovrana indegna a detta del popolo francese, una ragazza che troppe volte ha ceduto alle tentazioni di corte ma che ha saputo redimersi quando ce n’era bisogno secondo la sottoscritta.

Un ulteriore cavallo di battaglia è costituito dalla regia di Osamu Dezaki e dalla realizzazione tecnica dell’opera: impossibile non rimanere affascinati dallo stile tipico dal maestro, che predilige la staticità, l’uso di potenti e superbi fotogrammi detti “cartoline ricordo” e i primi piani sugli intensi sguardi dei personaggi per donare espressività alle varie scene. Da lodare i tanti espedienti utilizzati per ricreare i giochi di luce sull’acqua o le esplosioni, che sortiscono praticamente lo stesso effetto delle tecniche digitali largamente diffuse oggigiorno. A creare la giusta atmosfera contribuiscono anche le splendide e solenni musiche, che spesso fanno uso di strumenti più “antichi” come il clavicembalo.

Tirando le somme, “Versailles no Bara” può essere considerato uno dei capisaldi dell’animazione giapponese, un prodotto senza tempo perfettamente fruibile anche a distanza di anni. Una fortuna che io abbia messo da parte la mia riluttanza verso gli anime “vecchi” per dare un’opportunità a un’opera che si farà ricordare per la grandezza della sua storia, dei suoi personaggi e del suo comparto tecnico. Voto: 10.

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"Oda Nobuna no Yabou", ovvero "L'ambizione di Oda Nobuna", è un anime del 2012 tratto da una light novel che, personalmente e adesso che ora, agosto 2019, è stata completata, devo assolutamente trovare e leggermi dall'inizio alla fine.
Quest'anime è uno di quelli che porto davvero nel cuore. Sin dalla sua uscita l'ho visto ed è subito rientrato fra i miei preferiti e, ancora oggi dopo averlo rivisto ancora una volta, avrà sempre un posto speciale nel mio cuore.

La storia narra delle avventure di Oda Nobuna, prodotto della Rule 63 che spesso viene introdotta nelle opere a tema storico giapponese, ossia il cambio di sesso del personaggio in questione, che persegue con tenacia il suo sogno di unificare il Giappone e poi girare per il mondo. Essendo lei molto appassionata di tecnologie straniere, di intelletto elevato e di mentalità aperta, viene guardata con sospetto, sufficienza e odio da parte dei suoi molto più tradizionalisti vicini di casa, sua famiglia compresa. Nel periodo di guerra civile giapponese, il molto amato periodo Sengoku, giunge, non si sa come, Sagara Yoshiharu dal futuro, per sostituire Toyotomi Hideyoshi, ossia la seconda persona che, nella storia, ha ultimato il lavoro di unificazione iniziato da Oda Nobunaga. Questo ragazzo, pervertito come ogni buon protagonista shonen, sogna di assemblare un harem e di aiutare Nobuna a conquistare il Giappone.
I due non saranno gli unici personaggi principali di tale vicenda: ad essi si uniranno altre personalità del periodo Sengoku, molte delle quali cambiate di sesso come Maeda Toshie, loli armata di lancia e dal bizzarro copricapo di tigre; Shibata Katsuie, abilissima quanto prosperosissima guerriera; Niwa Nagahide, la onee-san che tutti vorremmo; e infine Hachitsuka Goemon, una balbuziente quanto divertente ninja.

La trama prosegue seguendo in linea di massima i veri avvenimenti storici del periodo Sengoku, quali la ritirata a Kanegasaki o la battaglia di Okehazama, ovviamente in gran parte alterati grazie all'intervento di Yoshiharu, detto "Saru", che, essendo ossessionato dai videogiochi, di quel periodo ne sa più di Piero Angela, riuscendo a influenzare la storia per, soprattutto, permettere a Nobuna di rimanere una ragazza pura, visionaria e felice, scongiurando la sua trasformazione a "Re Demoniaco".
Ed è sul personaggio di Nobuna e sul suo rapporto con Yoshiharu che mi voglio soffermare: Nobuna è sì una tsundere, ma lo è solo all'inizio e in maniera molto blanda, e, insieme a Yoshiharu, si viene immediatamente a creare grande feeling e chimica, soprattutto perché questi viene dal futuro. Nobuna, emarginata e odiata a causa della sua visione progressista del mondo, si ritrova a condividere con Saru la sua visione, e si riesce a intendere che la ragazza ha voluto per tutta la sua vita qualcuno che la supportasse. Il rapporto fra i due si evolve progressivamente, ed è uno dei miei preferiti di tutto il panorama dell'animazione giapponese. La componente harem dell'anime è poi parecchio risicata e quasi completamente assente, visto che il tutto gira molto intorno a questo stesso rapporto, il che secondo me è una cosa fantastica.

I personaggi sono ottimi e la trama è intrigante... ma ci sono alcune cose che mi fanno abbassare il voto, vediamo quali sono.
Innanzitutto, cito la completa mancanza di informazioni circa il perché e il come Yoshiharu sia finito nel periodo Sengoku. Toyotomi stesso e il ninja Hattori Hanzo lasciano intendere di saperne qualcosa a riguardo, ma la questione non viene mai approfondita, ed è la prima delle cose che mi ha fatto storcere il naso.
Seconda cosa è il finale, che è probabilmente uno dei più incompleti che io abbia mai visto: il rapporto fra Yoshiharu e Nobuna non si consolida, altre questioni come Yoshikage Asakura e il suo piano vengono lasciate in sospeso e, infine, viene mostrata l'immagine di un nuovo personaggio per pochi fotogrammi. Purtroppo non c'è mai stato un sequel a questa opera, e dubito fortemente, e con grandissimo rammarico, che lo faranno, anche perché la serie è del 2012, e dubito che a distanza di sette anni vogliano tentare la fortuna con un'opera che, per quanto bella e fatta bene, risulta essere di nicchia.

Dopo questa lunghissima parentesi, veniamo al lato tecnico: il disegno è bello, pulito e dettagliato, sia dei personaggi che degli scenari, e le animazioni sono parecchio fluide. L'opening e l'ending sono a mio parere un po' anonime, mentre le OST sono eccezionali, eccezionali veramente. Da citare "Naban Torai" e soprattutto "Spring and Autumn", che dopo sette anni continuo ad ascoltare ogni tanto.

Che dire? Dopo averla rivista per l'ennesima volta, ho potuto notare delle sottigliezze e dei simbolismi ottimi, sia in positivo che in negativo.
Serie che consiglio comunque a tutti e che ha cementato il mio amore per gli anime più di nicchia.