Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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Che forma ha la voce?
Chi non può sentire è costretto a “vederla”.
Che rumore fa il dolore?
Scommetto che a questa domanda, invece, sapremmo rispondere tutti, anche se si tratta di qualcosa di astratto. Per ognuno di noi questo rumore è differente, eppure sappiamo tutti da dove provenga. E, quando ci accorgiamo che siamo stati noi a provocare quel rumore, sotto sotto non rimaniamo mai del tutto indifferenti, anche se spesso, esternamente, facciamo di tutto per apparire tali.
Lungo, sofferto, introspettivo, lento quando ci fa riflettere, rapido quando ci sorprende. “La forma della voce” è un messaggio di sensibilità a tutti gli esseri umani. Veicola precisi messaggi che è davvero difficile trattare con tanta delicatezza, e, al tempo stesso, tenacia e sfrontatezza: la questione della disabilità nel mondo moderno, oltre le barriere architettoniche o mentali, oltre le grandi metropoli o le campagne sperdute; il bullismo scolastico e minorile verso gli indifesi e i più fragili; la fragile psicologia dei più giovani e le difficoltà a relazionarsi con gli adulti.
È quel genere di lungometraggio che ti rimane dentro per tanto tempo, e accade dopo averti preso a sberle e a carezze nel giro di due ore scarse. È come quell’amico che, anche se ti sta dicendo cose difficili da ascoltare, sai che ha ragione, e, anche se può far male, non smetti di ascoltarlo. È quella piccola storia di tutti i giorni a cui abbiamo assistito e, nel peggiore dei casi, di cui siamo stati protagonisti.

In un Giappone di metropoli tecnologiche, dove tutto pare funzionare alla perfezione, avanti su tutti i fronti per accogliere i disabili e i loro problemi, facciamo la conoscenza con una classe di ragazzini allegri e scalmanati, fra cui spicca Shouya, il bulletto che tutti noi abbiamo potuto conoscere o incontrare alle elementari o alle medie. È amato dai suoi compagni, fa spesso cose spericolate o stupide, e poi se ne vanta: si mostra forte, i suoi amici più stretti lo idolatrano e tentano di imitarlo. Un po' come tanti di noi, quando eravamo piccoli, spavaldi, incoscienti, e ignoravamo cosa fosse davvero la vita.
Un giorno, in classe arriva una nuova compagna: il suo nome è Shouko. È molto carina, ma... c’è un muro che la divide dal resto di questo mondo perfetto, costruito su misura per gente “normale”. La giovane è sorda, e di conseguenza non riesce a comunicare con la voce in modo corretto e comprensibile, a parte suoni disarticolati, poco chiari e spesso anche fastidiosi da sentire. Per usare un eufemismo: non è facile.
Sappiamo benissimo quanto non lo sia, o almeno crediamo di saperlo, perché, se non la viviamo da dentro, questa situazione non la potremo mai comprendere appieno. Più dura di quanto umanamente si possa immaginare.
Shouko cerca di mostrarsi il più disponibile, gentile, carina e affabile possibile, ma questo modo di proporsi, più passa il tempo, più viene inteso da alcuni compagni di classe come ruffiano e falso, un metodo per accattivarsi la loro simpatia, mentre in realtà si tratta solo di sforzi atti a farsi accettare, ingoiando ogni affronto, cercando di ignorare ogni momento di difficoltà, sorridendo anche dopo una tirata di capelli, una matita spezzata, un pranzo nel cestino, un calcio nella schiena.
Ma non basta. Non basta mai.
Shouko viene presa di mira da alcuni compagni, in primis proprio Shouya, che comincia a detestarla, e, come spesso accade quando i ragazzini fanno branco contro qualcuno, gli abusi, gli scherzi e i soprusi cominciano a prendere una piega decisamente eccessiva.
Accuse di bullismo, sospensioni, momenti difficili. Il film sbatte in faccia allo spettatore una realtà che tutti possiamo comprendere e purtroppo conoscere, piccoli frangenti di vita quotidiana triste e dolorosa, e lo fa senza remore: ogni cosa appare realistica, amara e, ahinoi, comune.
Scopriremo così che Shouko non sarà l’unica a dover affrontare le difficoltà del relazionarsi con altri, e che anche chi si mostra forte e propone una facciata coraggiosa e spesso refrattaria, in realtà soffre, e, se non riesce a gestire le conseguenze delle proprie azioni, spesso si ritroverà vittima di tali esagerazioni.

È questo l’inizio di una storia appassionante, sentita e coinvolgente, che porterà questi due ragazzi a conoscersi in un modo particolare, unico, forte ma delicato, timido ma intenso, un contrasto che appare così surreale eppure così normale.
Affrontare le proprie paure e i sensi di colpa, un periodo di minacciosa depressione, identificare la propria inadeguatezza verso il mondo intero come causa di sofferenza delle persone che si hanno accanto; sono tutte situazioni che si gestiscono male quando si è soli, quando si è adolescenti, e, soprattutto, quando si è innamorati.
Ma dentro si ha poca fiducia. L’amarezza covata, il dolore della solitudine, l’annaspare per trovare il proprio posto nella società, ognuno di questi passaggi è un rebus da risolvere che spesso sembra non avere soluzione, fino a quando non ci si sposta e non si cambia punto d’osservazione. È un maturare arduo e sofferto, perché il dolore, qualsiasi forma esso abbia, va attraversato, e non rifuggito, per poterlo sconfiggere definitivamente, e accettarlo come tale, poiché come ogni cosa che portiamo dentro non va ignorata, ma compresa ed estinta col tempo necessario.
È un lungometraggio incredibilmente maturo, ricco di sensibilità, capace di affrontare queste tematiche senza paura e anche di lasciarci importanti riflessioni in merito.
Di sicuro, aprire il cuore a chi ci circonda, soprattutto se non lo comprendiamo, è uno sforzo che ci apparirà difficile e quasi spaventoso, ma tutto parte proprio dall’imparare ad ascoltare.
E sentire una voce spesso non basta, è col cuore che si deve comunicare.

La colonna sonora rispecchia in modo eccellente la trama e amalgama il tutto con sequenze di pianoforte davvero indimenticabili; riesce a creare atmosfere perfette che calzano a pennello su una sceneggiatura che nella parte centrale sembra essere un po' in flessione, ma ci offre una parte finale davvero toccante.
Le animazioni e lo studio dei personaggi appaiono egregie. I colori, le ombre e le luci, le espressioni dei protagonisti, le pause nei dialoghi, il doppiaggio, ognuna di queste cose merita una menzione positiva.

Ribadisco: “La forma della voce” è quella piccola storia di tutti i giorni a cui abbiamo sicuramente assistito, e, nel peggiore dei casi, di cui siamo stati protagonisti, magari da un lato, magari dall’altro.
Parla di persone come noi, e lo fa in modo genuino e sincero. E vi farà commuovere in ogni caso.
Assolutamente da non perdere.

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La cultura è lo strumento ideale per conciliare le prospettive e le idee degli individui attraverso un elaborato sistema di norme, il quale ricopre un ruolo fondamentale nella regolazione dei rapporti fra gli stessi. È necessario, però, sottolineare che non tutti gli esseri umani riescono ad armonizzare le profonde discrepanze che li caratterizzano, di conseguenza diventa prevedibile la possibilità della nascita di conflitti e incongruenze tra i differenti sistemi esistenti. Tale è la metafora utilizzata dall'autore per descrivere la distanza tra gli umani e gli abitanti del mare, esseri ricoperti da uno strato sottilissimo di energia, Ena, che gli consente di respirare e comunicare con i propri simili sott'acqua. Le differenze culturali sono molto pronunciate all'interno dell'anime: non scorrendo buon sangue fra le due fazioni, è molto facile che anche per la più banale motivazione si sfoci di conseguenza in futili e insensate dispute. Si nota proprio come l'autore si sia particolarmente dilettato nella descrizione minuziosa degli aspetti socio-culturali dell'epoca, focalizzandosi nell'attribuire il giusto valore simbolico alla tradizione e agli usi e consuetudini delle rispettive culture.

Un aspetto di fondamentale importanza che è stato conciliato correttamente con la forte impronta culturale attribuita all'opera e che non ha mai tradito le aspettative è la grafica. Uno stato di stupore pervade lo spettatore quando viene concessa la possibilità di ammirare i paesaggi subacquei e le strutture sottomarine del villaggio di Shioshishio, e il tutto viene esaltato con quel piccolo tocco di magia che caratterizza alcune importanti vicende dell'opera, davvero qualcosa di speciale e particolare per gli occhi.
Non potrei dire lo stesso per quanto concerne la narrazione e i personaggi, ma andiamo per gradi: nel primo caso, ritengo che la trama nel suo complesso non sia male, con una storia originale ed emotiva alla base e con interessanti intrecci amorosi per complicare ancora più le vicende, tuttavia mi è capitato spesso di avere la percezione di star guardando qualcosa di troppo noioso e lento, in quanto alcuni dialoghi tra i personaggi mi sono sembrati leggermente fuori luogo e soprattutto incessantemente lagnosi. Quest'ultima impressione credo di averla costruita sulla base degli atteggiamenti e dei comportamenti dei personaggi: ho notato nella maggior parte di essi una staticità e una piattezza assurda... è come se ognuno di loro non volesse in qualche maniera maturare per paura di non riuscire più a comprendere l'altro oppure essere allo stesso livello degli altri. Addirittura Chisaki ha represso tutti i suoi sentimenti amorosi, perché non le sembrava giusto che lei fosse felice e i suoi amici no. Posso anche comprendere sotto un certo punto di vista il potere dell'amicizia che lega il nostro gruppo di protagonisti, ma non credo che ognuno di loro prospettasse tale destino per l'altro o volesse che le cose andassero proprio così. In questa maniera non si crea che un profondo vortice, caratterizzato dalla più immutabile staticità, all'interno del quale, spinti tutti dalla paura, nessuno riesce ad avere dei cambiamenti a livello sia psicologico che sociale. Se questo è già di per sé un problema, e poi ci aggiungiamo il fatto che durante quasi ogni conversazione c'è davvero una eccessiva liquidazione dei propri sentimenti (lacrima facile), è naturale che allo spettatore possano cominciare a infastidire e annoiare i dialoghi.
Per quanto concerne la regia, sia le OST che il doppiaggio li ho trovati all'altezza di quanto visto, credo che i doppiatori se la siano vista brutta nell'estroversione di tutti quegli stati d'animo dei personaggi, in particolare per quanto riguarda i dialoghi tristi e sdolcinati.

Nel complesso "Nagi no Asukara" rispecchia poco la mia personale idea di ritmo narrativo e caratterizzazione dei personaggi, pure il finale segue in sordina quanto visto e detto durante la seconda metà della recensione. Si salvano il comparto grafico, la trama in senso generale e la perfetta attualizzazione del tema sul contrasto culturale. Un vero peccato, perché, con un po' di staticità in meno e una migliore realizzazione dei dialoghi e delle relazioni fra i personaggi, sarebbe potuto uscire un prodotto sopra la media. Purtroppo, però, il nostro compito è giudicare quello che vediamo e percepiamo, non le potenzialità, essendo una serie poi conclusa.
Il mio voto finale è 7.

6.5/10
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Qualche settimana fa decisi di rileggere per la seconda volta "Iris Zero". Sono passati all'incirca cinque anni da quando venni a conoscenza dell'esistenza di questo titolo, ma dopo una ventina di capitoli misi la serie in pausa e mi dimenticai di riprenderla. Nonostante questo manga sia in corso da ben dieci anni, al momento conta solo una quarantina di capitoli di 18 pagine ciascuno. Non comprendo la ragione per il quale gli autori abbiano deciso di pubblicare la serie con la cadenza di un volume ogni due anni, tuttavia, non posso negare che, nonostante i pochi capitoli, la storia ha già iniziato a stancare, tant'è che sono nuovamente indecisa se sospenderla definitivamente o lasciarla temporaneamente in pausa.

L'introduzione è sicuramente molto interessante e ha come protagonista un studente di nome Toru Mizushima emarginato dai suoi coetanei. La ragione dietro a ciò risiede nel fatto che il ragazzo è un Iris Zero. Circa ventisette anni prima degli eventi correnti, infatti, iniziarono a nascere delle persone in possesso di un potere denominato "Iris" che gli consente di vedere delle cose particolari. Per esempio, alcune persone sono in grado di vedere una percentuale che indica quanto una determinata persona o un oggetto è adatto a svolgere un compito, mentre altre possono individuare i bugiardi grazie a una coda che compare dietro a chi sta mentendo. Non si tratta di poteri sgargianti come quelli dei supereroi a cui siamo abituati, ma sono comunque delle abilità fuori dal comune che sono diventate via via più frequenti, tanto da riguardare oltre il 99% dei nuovi nati. Il restante 1% sono Iris Zero, ovvero persone prive di Iris che spesso sono vittime di discriminazioni.
Questa storia si concentra sulla vita scolastica di Toru e sul suo rapporto con gli altri studenti. Il suo motto è "mai esporsi" per non attirare l'odio degli altri, tuttavia, le cose si faranno estremamente complicate quando entrerà in contatto con Koyuki, la ragazza più popolare della scuola. Lei, essendo pura e innocente, lo prenderà subito in simpatia e inizierà a frequentarlo sempre più spesso per chiedergli di risolvere qualche problema. Toru, infatti, pur avendo una visione limitata rispetto agli altri, è molto perspicace e questo gli consente di trovare soluzioni a molti problemi solo grazie alla sua capacità di giudizio. Nonostante il ragazzo sia odiato da tutta la scuola, grazie a questo incontro con Koyuki riuscirà a stringere qualche amicizia.

In sostanza, la storia si concentra su due elementi fondamentali: l'apertura di Toru nei confronti di alcune persone e la reazione degli studenti nei confronti di un Iris Zero. Il primo tema a mio parere è stato gestito molto bene e con calma, dando il tempo al protagonista e allo spettatore di metabolizzare questa evoluzione. Il secondo punto, al contrario, non è stato gestito al meglio. Sotto molti aspetti le reazioni degli studenti rispecchiano perfettamente alcuni episodi di bullismo che interessano le nostre scuole, in cui le persone vengono discriminate semplicemente perché "diverse" in qualcosa e non per qualche ragione precisa, tuttavia, con l'avanzare della storia, queste discriminazioni hanno preso una piega sempre più ridicola e forzata, tanto da rendere noiosa e insensata una storia già di per sé un po' ripetitiva. Non mi riferisco ai modi con cui viene emarginato e sbeffeggiato il protagonista, ma proprio alle reazioni di paura e terrore degli studenti. Ad un certo punto della storia, infatti, inizieranno a vedere il protagonista come un vero e proprio mostro portatore di una malattia grave quanto l'ebola o la peste, il che non ha alcun senso. Questo atteggiamento non è ridicolo solo per le reazioni in sé, ma anche per il fatto che si tratta di una forzatura bella e buona, dato che attualmente solo gli adolescenti possiedono un Iris e quindi questo non spiega perché il protagonista dovrebbe essere un pericolosissimo mostro, mentre gli insegnanti e tutti gli altri adulti no. Non ho idea di quali intenzioni avesse l'autore, ma il lato psicologico e scolastico è andato un po' alla deriva. Fortunatamente ad accendere l'interesse ci sono i misteri che il protagonista dovrà risolvere per aiutare chi ne ha bisogno, tuttavia, ritengo che questo non sia sufficiente a fare di questo manga una serie quantomeno discreta.

A differenza delle comparse forzate, il protagonista e le persone a lui più vicine sono dei personaggi coerenti con loro stessi e ben costruiti. L'unico personaggio di una certa rilevanza che trovo forzato e privo di ogni logica è Harumi Tokita, che odia il protagonista per un motivo ancora più ridicolo di quello degli altri studenti della scuola e per tale ragione è pronto a distruggergli la vita.

Lo stile di disegno è molto kawaii e caratterizzato da personaggi i cui volti sono disegnati con pochi semplici tratti spigolosi. Gli sfondi, quando presenti, sono molto dettagliati, ma anche quando assenti sono ugualmente ben fatti in quanto il mangaka fa spesso uso di molti retini al fine di creare vari tipi di effetti sullo sfondo che rendono le tavole veramente belle da vedere.

Volendo fare qualche paragone, "My Hero Academia" ha un inizio simile e molti aspetti in comune con "Iris Zero", tuttavia, a differenza di quest'ultimo, la storia è in continua evoluzione e riesce sempre a stupire. "Iris Zero", invece, oltre ad essere forzato è anche ripetitivo, il che rende la lettura davvero pesante. Sicuramente non è un brutto manga, ma si trova sicuramente di meglio in circolazione. Per esempio, una serie che tratta molto bene il tema del bullismo è "A Silent Voice", da cui è stato tratto anche un film.
A chi deciderà di leggere "Iris Zero", consiglio solo di leggere pochi capitoli alla volta in modo da digerire meglio i volumi. In fin dei conti i capitoli escono molto di rado quindi non c'è nessuna fretta nel recuperare la serie.