Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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“C'è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo.” (F. De André)

“Dopo la pioggia” è una serie anime andata in onda in Giappone su Fuji TV tra l’11 gennaio e il 29 marzo 2018. La serie, composta da dodici episodi, è tratta dal manga della fumettista Jun Mayuzuki, pubblicato da Shogakukan tra il 2014 e il 2019. L’anime in questione fu realizzato dallo studio Wit, studio che ha realizzato diverse importanti serie come “L’attacco dei giganti” e “Vinland Saga”, con Ayumu Watanabe in cabina di regia, importante figura del settore che nel suo curriculum vanta la realizzazione de “I figli del mare”.

Akira Tachibana è una liceale molto bella e intelligente con la passione per l’atletica, ambita e desiderata da molti suoi coetanei. Un giorno, mentre corre, Akira si infortuna gravemente alla caviglia, motivo per cui si ritrova costretta a lasciare il club di atletica e a dedicare molte delle sue energie a un lavoro part-time come cameriera presso il Garden, un family restaurant della sua città.
Il ristorante diventa così una seconda casa per la protagonista e, anche se in modo diffidente e distaccato, stringe sempre più amicizie con i colleghi e le colleghe e, soprattutto, si innamorerà del manager del ristorante, nonché suo superiore, Masami Kondo, un uomo divorziato di quarantacinque anni con già un figlio.

Insomma, una trama pulita, semplice, leggera e delicata, una storia che, senza troppe pretese, si sviluppa nell'arco di dodici episodi presentando a chi guarda tutta una serie di circostanze e di problemi che fanno in modo che lo spettatore si possa immedesimare non solo nella protagonista, ma anche negli altri personaggi che vivono l’opera.
Questo processo di immedesimazione e di presentazione di problemi, situazioni e indecisioni è alleggerito dalle numerose gag e dai momenti spensierati che si vanno a creare nel racconto. Grazie a questi “alleggerimenti” la trama scorre liscia e senza intoppi, dando così la possibilità allo spettatore di entrare a far parte mentalmente del mondo di “Dopo la pioggia”, senza le eccessive pesantezze che si sarebbero potute creare sviluppando in modo più elaborato e profondo temi come la differenza di età tra Akira e Kondo.
Questo importantissimo tema, infatti, seppur trattato con una certa disinvoltura, propone diversi parallelismi tra i due protagonisti; emergono in modo un po’ timido e volutamente sfuocato due personaggi apparentemente diversi ma in realtà abbastanza simili: un uomo già adulto, con un lavoro, un figlio e con una relazione oramai alle spalle ma con tante, ma tante, insicurezze sulla sua vita, sul suo futuro e sui suoi sentimenti; dall'altra parte invece viene presentata una ragazza ancora nel pieno della sua adolescenza, con un lavoro part-time e la scuola ancora in corso, nessuna relazione se non un amore apparentemente utopistico e con un infortuno che ha affievolito le sue amicizie, la sua passione sportiva e la sua voglia di fare. Quali sono i punti in comune? Il futuro. Ma non solo il futuro ipotetico, lontano, denso e angoscioso. No! Anche il futuro immediato, quello oramai più prossimo, quello a cui entrambi legano la loro quasi totalità dei sentimenti. E sono proprio i sentimenti a richiamare i legami del passato, ossia le amicizie troppo sbiadite che avevano costruito i due protagonisti, proprio mentre sullo sfondo nascono e crescono degli affetti che possono risultare simili, ma ovviamente dalle sfumature molto diverse.

I personaggi che vanno a crearsi, anche quelli secondari, riflettono anch'essi lo spettatore e integrano le vite dei protagonisti, attorno a loro infatti si muoveranno i loro sentimenti. Sono proprio i personaggi che danno quel voto in più all'opera.
Un’opera sentimentale? Certamente. Un’opera che porta a riflettere? Ovvio. Ma è anche un’opera divertente, realistica e appassionante, anche grazie al gruppo formato da amici, parenti, conoscenti e colleghi che andrà a comporre il cast dei personaggi di “Dopo la pioggia”.
Insomma, un anime leggero ma non privo di pretese, che nel corso degli episodi si realizzeranno appagando lo spettatore.
Un po’ come in alcuni lavori alla Adachi, dove sentimenti e sport (e in questo caso anche lavoro) si fondono, anche in “Dopo la pioggia” risulta esserci un insieme di magia, sentimento e passione che vuole dare un qualcosa allo spettatore, ma senza esagerare, lasciandolo libero da malinconia, pensieri scomodi e pesantezza. Il risultato sarà quindi quello di un anime leggero che può e, soprattutto, sa stupire chi lo guarda, che sa far ridere, sa far riflettere e sa far, in particolar modo, emozionare, perché è vero ciò che disse Nietzsche - la pioggia e il sole “sono ugualmente necessari a maturare l’uva e il talento” -, ma qui, grazie a “Dopo la pioggia”, possiamo capire come anche l’acqua sappia far maturare i sentimenti.

9.0/10
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“Sarazanmai” è l’ultimo prodotto sfornato dalla mente del genio Ikuhara, già famoso per “La rivoluzione di Utena” e “Mawaru Penguindrum” che, in ogni caso, risultano prodotti più criptici.

A rendere unico questo titolo, come gli altri, sono la stramberia, la creatività e l’eccentricità della sceneggiatura, che pone al centro della storia tre ragazzi, di caratteri opposti, che - dopo essersi fatti estrarre da Keppi (il principe dei kappa) la shirikodama (una sfera che, si racconta nelle leggende, si estrae dall’ano di una persona) - verranno trasformati in Kappa a loro volta. L’obiettivo di Keppi è quello di assoldare i tre giovani per combattere i cosiddetti “kappa-zombie”, in cambio dei piatti della speranza che permettono l’esaudirsi di un desiderio a scelta.

Il “nudo” di “Sarazanmai” non è mai mero fanservice ecchi, inserito a caso per accalappiare le attenzioni di qualche spettatore in più. Tutt’altro, serve ad accentuare la fragilità dei personaggi che, oltre ad essere denudati delle proprie vesti e della propria umanità, mettono a nudo i loro sentimenti e i segreti più reconditi, facendo trapelare - di volta in volta - parte di sé. Questo permette loro di “connettersi”. Quelli della connessione e del desiderio sono i temi chiave della serie: gli stessi segreti dei tre ragazzi si riallacciano al desiderio di riconnettere relazioni in bilico.

Ikuhara stesso, in un’intervista, disse: “Viviamo in un’epoca in cui, grazie ai nostri smartphone e ai social media, connettersi con gli altri è un’attività quotidiana. Così ho voluto chiedermi: «Cosa significa tutto questo? Per quale ragione avere a che fare con tutte queste connessioni?»”

Al termine degli undici episodi, questa tematica risulta evidente, così come l’obiettivo che il regista si era posto di raggiungere: viviamo in una società in cui si desidera la connessione con qualcuno, anche quando quella connessione comporta dolore. Ma in che direzione può andare una relazione?
Come per altri finali, Ikuhara dà un messaggio di speranza al culmine della serie: per quanto un legame possa spezzarsi o essere dimenticato, finché ci si crede si può ripristinare, si può ricreare la connessione originale.

Quanto alle citazioni, Ikuhara è solito riutilizzare richiami alle opere che l’hanno colpito maggiormente: già in “Mawaru Penguindrum” era palese il continuo riferimento a “Una notte sul treno della Via Lattea”. In “Sarazanmai”, ho notato molti parallelismi con lo stesso “Mawaru Penguindrum”, rendendolo in qualche modo - ai miei occhi - una sorta di erede dello stesso.

Tecnicamente, è un prodotto ineccepibile grazie alle meravigliose animazioni dello studio Mappa, e alle canzoni inserite, che rendono “Sarazanmai” un prodotto più che piacevole. Nonostante risulti il più fruibile dei suoi lavori, consiglio ugualmente il titolo solo a chi apprezza lo stile del regista.

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L’adolescenza, in quanto periodo di sviluppo e di turbamenti emotivi, è una fase della nostra vita che si presta molto ad essere usata come argomento da sviluppare in innumerevoli opere multimediali, e gli anime e i manga non fanno certamente eccezione, anzi, ne attingono a piene mani, come fa in questo caso ‘Araburu kisetsu no otome-domo yo’ che però, rispetto alla maggioranza almeno di anime e manga sugli stessi argomenti, affronta la questione anche, e soprattutto, mettendo in risalto la sessualità e il desiderio sessuale delle ragazze protagoniste, un aspetto che ha attirato immediatamente la mia attenzione su questo titolo.

‘Araburu kisetsu no otome-domo yo’ (che tradotto sarebbe ‘O fanciulle nella più turbolenta delle stagioni’, e che da questo momento in poi verrà contratto in ‘Araoto’) infatti ci porta a fare la conoscenza di cinque liceali, tra cui spicca la protagonista principale Kazusa Onodera, facenti parti del Club di letteratura del loro istituto, un gruppo di ragazze apparentemente tranquille che impiegano il loro tempo principalmente a leggere insieme un libro per poi commentarlo. Ed è proprio un libro a portare la scintilla che smuove quest’apparente tranquillità in cui le ragazze sembrano immerse, quando, discutendo su quale possa essere un desiderio da realizzare prima di morire, una componente del club ammette candidamente che è: “fare sesso!”, un mondo totalmente inesplorato per lei ma allo stesso estremamente affascinante. Quest’inattesa presa di posizione porterà non poco scompiglio nel gruppo, che è formato da personalità molto variegate e con una corrente di pensiero molto diversa in merito all’argomento sessuale, e il tutto viene condensato al meglio nell’esperienza della protagonista Kazusa che si ritrova ad affrontare per la prima volta la consapevolezza di come il sesso sia diventato una variabile della loro esistenza quando sorprende casualmente, in una scena memorabile per espressività ma anche per risvolti comici, il suo amico di infanzia Izumi, di cui lei è inconsciamente innamorata, mentre è intento a masturbarsi. L’idea stessa che il bambino che lei ha conosciuto e col quale è cresciuta stia diventando un uomo capace di provare pulsioni sessuali è uno shock tale da innescare in lei non solo una presa di coscienza sull’argomento ma pure un processo di crescita e maturazione che la porterà a compiere ulteriori passi verso l’età adulta attraverso anche l’evoluzione dei legami di amicizia e, eventualmente, amore con chi la circonda.

Ma non è solo con la vicenda di Kazusa che ‘Araoto’ riesce a catturare l’attenzione dello spettatore: un pregio attribuibile a questa serie infatti è la presenza di un cast di protagoniste eterogeneo, convincente e “coinvolto”, nel senso di sfruttato appieno nelle dinamiche della serie. Presidentessa del club di letteratura è Rika Sonezaki, studentessa del terzo anno pudica e assolutamente refrattaria all’idea che il sesso possa coinvolgere ragazzi della sua età che, paradossalmente, si ritroverà giocoforza a sviluppare la relazione sentimentale più tranquilla dell’intero gruppo; gli altri membri sono invece Hitoha Hongo, studentessa del secondo anno che si cimenta già nella scrittura di romanzi, tra cui quelli erotici, e che è desiderosa di fare esperienza in tal senso per arricchire il suo bagaglio culturale e poter scrivere racconti migliori, Momoko Sudo, migliore amica della protagonista, una ragazza timida e remissiva alla scoperta come Kazusa della sua sfera sessuale, e Niina Sugawara, il personaggio più enigmatico della serie, ragazza algida ma dalla bellezza innegabile, curiosa di affrontare l’universo sessuale e che svilupperà lungo la serie un’attrazione verso Izumi che andrà a cozzare con la sua sincera amicizia verso Kazusa diventando un tema ricorrente dell’anime.

Le vicissitudini di queste ragazze costituiscono la ragnatela di pensieri, emozioni e azioni che rendono questa serie un’opera vivace e originale capace di spaziare agevolmente nei generi più diversi, comincia con toni da commedia brillante, senza abbandonarli mai definitivamente, arricchendosi man mano con sfumature farsesche, sentimentali e drammatiche che culminano nel convulso finale che personalmente ho trovato efficace e adatto al contesto ma che, volendo, è passabile anche di critiche per un’eccessiva velocità adottata nella risoluzione dei conflitti creatisi tra i personaggi e che, a un primo sguardo, può risultare anche straniante per quanto visto fino a quel momento.

Non merita invece critiche, se non positive chiaramente, il lato tecnico della serie che si assesta su un ottimo livello risultando anche piuttosto gradevole dal punto di vista estetico. ‘Araoto’ è la trasposizione dell’omonimo manga firmato dalla coppia Mari Okada alla sceneggiatura e Nao Emoto ai disegni, e la stessa Okada (sceneggiatrice celebre per opere come ‘Ano Hana’, ‘Nagi no Asakura’ o ‘Maquia’, dove è anche regista) ricopre il ruolo di sceneggiatrice anche della serie animata garantendo una continuità stilistica tra le due opere che mi fa pensare, non avendo avuto modo di leggere il manga, che l’anime possa esserne una sua degna trasposizione. Kaori Ishii ha curato il delizioso character design dei personaggi riprendendo, e sgrezzandolo con risultati decisamente positivi, il tratto originale della Emoto, personaggi che si incastrano in un quadro d’insieme piacevolissimo dove colori chiari e brillanti la fanno da padrone sin dall’inizio accentuando quella candida percezione che sembra assumere a uno sguardo superficiale l’adolescenza. Inappuntabili le animazioni a cura dello studio Lay-duce, semplici ma adeguate ad ogni contesto presentato dalla serie, così come la regia, curata a quattro mani da Masahiro Ando e Takuro Tsukada, che confeziona un prodotto finale capace di reggere un cast numeroso e tante situazioni diverse risultando sempre coinvolgente e convincente. Stesso discorso dicasi per il comparto sonoro, non allo stesso livello di quello grafico magari, ma comunque apprezzabile senza problemi: dalle musiche di Moe Hyuga, che non resteranno memorabili forse ma riescono a valorizzare bene le scene più rilevanti che accompagnano, al doppiaggio originale, valido e adatto ad ogni personaggio e alle protagoniste principali in particolare, tutto contribuisce al buon risultato definitivo; discorso questo applicabile anche alle due sigle, l’opening (“Otome-domo yo” cantata da CHiCO con gli Honeyworks) che è una ballata semplice che comincia in modo lento e gentile ma che ha un bel crescendo nella seconda parte con un video che trasmette grande energia e vitalità, e l’ending (“Yume Cinderella” di Momo Asakura) che è una canzone pop dal tono spigliato accompagnata da un video che è quasi tutta una sequenza di fermo immagine delle protagoniste, una scelta non proprio originale ma che, tutto sommato, ben si adatta a chiudere una serie simile.

In definitiva, insomma, non posso che ritenere ‘Araburu kisetsu no otome-domo yo’ una serie originale, coraggiosa e decisamente valida e, in quanto tale, è stata ovviamente ignorata nel nostro Paese risultando ufficialmente inedita in Italia come recente, e triste, tradizione mi porta purtroppo a notare e ripetere. Ma fortunatamente l’interesse altrui non rientra negli elementi da giudicare sulla bontà di un anime come ‘Araoto’ che, nonostante si insinui in un campo già battuto tante altre volte, riesce a ritagliarsi una sua importanza regalando anche una spruzzata di realtà, facendo salvo qualche caratterizzazione portata volutamente all’eccesso, a un genere spesso eccessivamente bloccato nella rappresentazione delle giovani giapponesi come persone idealiste, ingenue e quasi prive di pulsioni sessuali. Non è così e, fatto salvo quei casi in cui quest’aspetto non inficia comunque la creazione di opere pregevoli e interessanti, vederlo in atto in questa serie è stato comunque un piacere ben ripagato.