Tadashi Sudo, giornalista esperto dell’industria dell’animazione e analista, ha scritto un articolo pubblicato da ITMedia, nel quale discute dei problemi che potenzialmente dovrà affrontare l’industria dell’animazione giapponese come conseguenza della globalizzazione. L’articolo si pone questa domanda: l’animazione giapponese soffre della Sindrome delle Galápagos?

Questo è un termine giapponese che si riferisce all'isolamento dal mercato mondiale, che potrebbe rendere difficile esportare i propri prodotti fuori dai propri confini. Sudo sottolinea come, grazie al suo stile visuale così unico, l’animazione giapponese sia sempre stata molto popolare all'estero fin dagli anni ’60 con titoli come Astroboy o negli anni ’90 grazie a titoli come Akira (arrivato in USA il 25 dicembre del 1989) e Ghost in the Shell per un successo che sta continuando tutt'ora.

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Quindi qual è il problema? Più il tempo passa più gli altri paesi stanno producendo un tipo di animazione che incontra perfettamente i gusti del pubblico globale, mentre il mondo dell’animazione giapponese sembra essere in un periodo stagnante. Al contrario di Hollywood e della Disney, che in passato hanno definito gli standard per i prodotti d’animazione dominando un mercato globale, l’animazione giapponese è ferma ai propri confini, facendo quindi soffrire all'industria la già citata Sindrome delle Galápagos.

Sudo afferma che a livello visuale l’animazione giapponese non deve cambiare nulla, come in realtà non dovrebbe nemmeno variare particolarmente i contenuti per venire incontro al pubblico straniero; quello che manca realmente è una maggiore diversità, l’andare di più incontro alle culture straniere, essendo un mondo quello giapponese che mostra di non comprendere il modo di pensare degli altri paesi e la loro prospettiva sul mondo. Viene portato come esempio il caso dell’OAV de ‘Le Bizzarre Avventure di JoJo del 2008, quando la Shueisha dovette scusarsi pubblicamente per la scena dove Dio legge il Corano.

Il giornalista continua: “È importante comprendere che il numero degli spettatori di anime è aumentato in modo impensabile rispetto al passato e questi spettatori vengono da culture e mondi diversi. Ci sono alcuni argomenti taboo che non avevamo mai considerato, non dovremmo mai fare certi errori”.
 
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Specifica che comunque non si tratta di fare prodotti “politicamente corretti”, perché il problema che vuole portare alla luce riguarda prima di tutto la società giapponese. Si dovrebbero evitare espressioni violente nelle opere pensate per i bambini, dovrebbe esserci maggior equità di generi tra i personaggi, si dovrebbero togliere tutte le discriminazioni di genere, età e razza. Secondo Sudo non è solo questione di essere al passo col resto del mondo ma anche con questa epoca: “Ci sono molte cose che una volta erano permesse e che ora non potrebbero esserlo mai, ma questo è un argomento diverso da quello della Sindrome delle Galápagos”.

Sudo continua asserendo come ciò che prima rendeva così unica l’animazione giapponese sta diventando sempre più comune: viene portato l’esempio di Netflix, nel quale possiamo vedere nella categoria “Anime” opere che non sono state fatte in Giappone ma chiaramente ispirate all'animazione giapponese. È il caso anche di alcuni elementi stilistici iconici, come ad esempio “gli occhioni”, un tempo simbolo dei personaggi degli anime e ormai diventati sempre più utilizzati in tutto il mondo.

“Il Giappone difficilmente cambia ma il mondo, invece, sta cambiando drasticamente. Ciò che rende unica l’animazione giapponese, soggetta alla Sindrome delle Galápagos, è ormai alla portata tutti. La diffusione dello stile giapponese può essere vista come un segno di successo per la cultura giapponese ma il futuro non si presenta roseo; un tempo si pensava che questo stile potesse appartenere solo al Giappone, invece ora sappiamo che può essere creato anche all'estero, il che compromette la posizione del Giappone e incrementa la competizione”. Sudo non crede che l’animazione giapponese perderà ciò che la rende unica ma, nel peggiore dei casi, potrebbe perdere contro i competitors esteri e alla fine verrà apprezzata solo per il lato visuale. Questo è un pericolo venutosi a creare a causa dei successi passati".
 
astroboy

Quindi, qual è il futuro per l’animazione giapponese? Considerando come lo stile giapponese abbia da sempre trasceso le barriere culturali, Sudo suggerisce che il processo creativo e di produzione non dovrebbe far altro che trascendere i confini nazionali, ovvero creare anime insieme a delle persone che amano lo stile giapponese ma senza stare a pensare alla nazionalità di origine.

“Quando si accettano talenti e culture straniere il luogo dove il tutto viene creato non deve essere il Giappone. Ci sono molte co-produzioni internazionali che si sono rivelate un fallimento ma in una comunità nella quale si condivide una visione univoca su come deve essere l’animazione, è possibile creare un lavoro globale uniti come una squadra. Il successo dei film di Hollywood è dovuto alla diffusione della cultura americana, tante persone di talento sognano di lavorare ad Hollywood, persone di tutto il mondo assorbono quelle tradizioni e le ricreano secondo il loro modo di vedere. Il mondo dell’animazione giapponese può diventare così forte e unire tantissime persone da tutto il mondo”.

Fonte Consultata:
Anime News Network