Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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No, non ci siamo proprio. Nessuna traccia di imperizia, tuttavia non basta una sequenza d'apertura ripresa in multipiano per farmi abbandonare a lodi sperticate. I fondali, per quanto belli siano e seppur realizzati da gente in gamba come Kazuo Oga e Yoji Takeshige (ovvero il top, l'élite, la crème della crème), non mi fanno raggiungere lo stato di beatitudine e le stesse vibrazioni che mi davano quelli abbozzati da tutti sappiamo chi.

Aggiunge poco di nuovo al genere delle streghette terrestri e sento di poter enunciarvi che a me ha trasmesso poco o nulla, se vogliamo ancora meno del bistrattato "Quando c'era Marnie" (che vantava diversi colpi di scena). Non è un'avversione per l'infanzia, perché di anime, film e telefilm con protagonisti bambini ne ho visti a bizzeffe. Primo, i villain non sono individui odiosi e arroganti con manie dittatoriali come lo sono stati il Conte di Cagliostro o Lepka. Secondo, vi sono poche testimonianze di quel pizzico di autoironia e del proverbiale spirito sorgivo nipponico presenti in ogni titolo dei due registi co-fondatori di Ghibli, i quali hanno comunque dato il loro beneplacito (tanto da comparire nei ringraziamenti nei titoli di coda). Insomma, Takahata era un grande poeta e Miyazaki un eccelso prosatore. Al momento Yonebayashi non è né una né l'altra cosa, e il suo ultimo lavoro non sa né di carne né di pesce.

La partenza di Studio Ponoc non è stata proprio sfolgorante e i produttori dovranno rimboccarsi le maniche per raggiungere i fasti dei grandi classici come "Il mio vicino Totoro" o "Kiki - Consegne a domicilio". Le distanze sono siderali e, secondo me, la mente del buon Hiromasa è ancora priva di un'ideologia radicata, forse succube della sceneggiatrice Riko Sakaguchi e complice del fatto di vivere in un'epoca dove la spensieratezza è talmente passata di moda da risultare offensiva. Una sorta di Medioevo moderno al limite del delirio paranoide. Bisogna però limare alcuni magheggi eccessivi e cercare di evitare personaggi e situazioni già visti in passato, andando a solleticare un po' di sana curiosità nello spettatore annoiato. Ripeto, non posso proprio dargli una sufficienza, poiché non mi sono piaciuti nemmeno fotografia e montaggio. La colonna sonora fa il verso alle melodie di Jo Hisaishi, ma non l'ho trovata così avvolgente. Posso aggiungere che pure la scelta dei colori mi ha entusiasmato poco, anche se la fase di harmony treatment è stata gestita ottimamente da Noriko Takaya (forse l'unica che ha partecipato a tutti i film dello Studio Ghibli, "Nausicaä" compreso). Per dipingere le caratteristiche nuvole, gli artisti hanno fatto tesoro delle precedenti esperienze e, conoscendo la pignoleria di Miyazaki, in passato avranno dovuto - come minimo - studiarsi a memoria l'Atlante Internazionale delle Nubi. Insomma, i richiami all'universo ghibliano sono davvero tanti. Forse troppi, tanto da sfociare in un convulsivo copia e incolla. È pur vero che il chara design di Yasuji Mori non si può cancellare con un colpo di spugna. Un cammeo ci sarebbe calzato a pennello, e in definitiva non sto dicendo di fare una damnatio memoriae, ma almeno di provare a mettere qualche idea personale in più. Infine, non mi ha dato l'idea di essere un film d'animazione concepito per un pubblico dai zero ai novantanove anni, ma di un prodotto transmediale dedicato a un target in fase di prepubertà. In pratica, ho avuto l'impressione di assistere a un film Disney/Pixar realizzato in 2D. Anche il finale, ahimè, non è di quelli che ti fanno venire i lucciconi agli occhi e quella sensazione di groppo alla gola.

È arrivato il momento di reinventare l'animazione giapponese, anche a costo di modificarne le fondamenta. Non si può pensare di tenere in piedi la baracca basandosi sulla weltanshaung dell'esimio Miya-san, schietta e pungente, pregna di valori patriarcali, non allineata al conformismo progressista dilagante di cui invece la piccola Mary "pel di carota" Smith si erge portabandiera.

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Trama? Interessante. Ambientazione? Interessante. Basta e avanza per farsi una bella maratona di episodi (grazie Netflix, ti vogliamo tutti tanto bene) di un anime che, se dovessi scegliere una sola parola per descriverlo, definirei "curioso". Una serie dal finale apertissimo che come poche viaggia a ritmi fortemente altalenanti e dalla qualità intrinseca molto opinabile, sempre ricordando che manca una stagione successiva.

Trama: Chakuro è un ragazzo marchiato di quattordici anni, archivista e amante della scrittura, che vive sulla Balena di Fango, nave che solca un oceano di sabbia apparentemente infinito. Su di essa vivono circa cinquecento persone, come fosse un'isola piuttosto che una nave, e si dividono in marchiati, dotati di un particolare potere magico chiamato Saima, che conferisce la manipolazione di oggetti inanimati a discapito della durata della vita, e in non marchiati, esseri umani normali. Un giorno su un'isola simile alla sua, Chakuro, durante una ricognizione, trova una ragazza, Lykos, la cui scoperta cambierà il corso degli eventi.

Sicuramente l'universo in cui si viene catapultati gode di una grande originalità e di una gestione che a tratti si potrebbe definire magistrale. Il ruolo del protagonista, quello dell'archivista, appare fondamentale nella sopravvivenza e nel progresso della sua striminzita popolazione, ruolo che peraltro lo stesso Chakuro veste con grande devozione, mettendo più volte l'accento sull'importanza delle memorie tramandate alle generazioni future. Usi e costumi di questa popolazione sono fortemente legati alle caratteristiche che, nel bene e nel male, la definiscono; non hanno mai avuto modo di incontrare qualcuno fuori dalla Balena, non conoscono quasi nulla del proprio passato, non godono di una vita longeva causa il marchio del Saima, di cui sono dotati nove abitanti su dieci. Tutto fa parte dell'orchestra e non stona assolutamente, andando a creare un mondo che, se non lo si sapesse per certo, potrebbe tranquillamente essere reale.

Nella grafica e nel sonoro, "Children of the Whales" ha due dei suoi cavalli vincenti. Il chara design è semplice, bello e accattivante (preso singolarmente, voto 10); le ambientazioni sono parzialmente sperimentali e di conseguenza estremamente soggettive (personalmente, 10 anche a loro). Opening ed ending, anch'esse molto soggettive, le definirei sublimi (10 pure qui); le colonne sonore sono semplici ed evocative, e ho trovato perfette anche loro (10, di nuovo). Non serve aggiungere altro, suppongo.

Il messaggio che "Children of the Whales" porta con sé è incentrato sul concetto di emozione. Nel corso della storia si viene più volte messi di fronte a una domanda: "E' giusto o sbagliato che le persone, così deboli e fragili, siano guidate nelle loro scelte da qualcosa di così mutevole come le emozioni?" Sicuramente questo elemento non gode della stessa originalità del mondo fantasy creato, ma risulta comunque attuale, perché dare una risposta alla precedente domanda non è affatto semplice. Sulla Balena di Fango sicuramente la risposta la sanno (e io sono d'accordo con loro) e quello che colpisce è il forte legame che hanno, nel bene e nel male, con le loro lacrime, con il dolore, per essere più precisi, perché, come ci viene detto dallo stesso Chakuro, "questo dolore è una testimonianza". Potrebbe sembrare scontato dire che senza emozioni non saremmo nemmeno classificabili come esseri umani, eppure si percepisce ben volentieri, perché tutto sommato esserne privi avrebbe i suoi vantaggi, e ricordarlo non fa mai male.

Quello che fa male invece è vedere questo messaggio portato da questi personaggi, che personalmente definirei senz'anima. Si denota facilmente come le azioni dei protagonisti, e dei personaggi secondari, siano dettate da un copione piuttosto banale e controverso. Si passa dallo stereotipo, che di per sé non è necessariamente un male, ma in questo caso lo è, all'estremizzazione, anch'essa non un male di per sé, ma in "Children of the Whales" sì. Gli stereotipi muovono scelte opinabili e controverse, come se le emozioni non le avessero, quando invece dovrebbero agire proprio in funzione di esse; le estremizzazioni sono invece totalmente prive di contestualizzazione, atte ad avvolgere veli attorno a un presunto mistero che si scopre ben presto non esistere affatto. Il tutto appare come una grossa e comune forzatura che non risparmia nessuno dei personaggi, a favore di una trama che, nonostante questo callo, si regge in piedi piuttosto bene.

Concludendo, bisogna tenere a mente che manca almeno un'altra stagione, ma questi primi dodici episodi avrebbero senza fatica rasentato la perfezione, se non fosse stato appunto per il punto debole avuto nelle caratterizzazioni, se così si possono chiamare, dei personaggi, protagonisti o no che fossero.

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Sporadicamente nascono delle personalità con delle caratteristiche e un talento innato così fuori dall'immaginario, da permettere singolarmente cambiamenti e trasformazioni mai viste prima di allora all'interno del dominio nel quale eccellono. In effetti, grazie alla storia è possibile estrapolare un gran numero di esempi: Michael Schumacher nella Formula 1, Aristotele nella Filosofia, Albert Einstein nella Fisica, Leonhard Eulero nella Matematica oppure Diego Armando Maradona nel mondo della disciplina calcistica. Si tratta di individui che hanno lasciato delle tracce indelebili nell'epoca in cui hanno vissuto, e allo stesso tempo gettato le basi per un sviluppo incredibilmente innovativo e futuristico nei rispettivi domini di competenza. Nel mondo di "Magi" una delle principali figure prodigiose e centrali è proprio quella dello straordinario Sinbad!

Attraverso "Bouken no Sinbad", prequel della serie principale, lo spettatore ha avuto la possibilità di denotare quali siano state le pietre miliari che hanno permesso al Conquistatore di Dungeon di divenire uno dei personaggi più importanti e conosciuti di tutti. Come prevedibile, la sua personalità inizia a forgiarsi saldamente durante il corso dell'infanzia, vivendo all'interno di una famiglia molto legata alla sua figura e ai suoi bisogni che, però, non può garantirgli un futuro roseo e pieno di aspettative, anche a causa della posizione controversa del padre all'interno della società espressamente guerriera di Partevia. Osservando come gli uomini siano legati inesorabilmente a strumenti come il denaro o la guerra per imporre le proprie ideologie e soprattutto il proprio dominio, nel giovane Sinbad nasce una forte necessità di modellare questo mondo marcio e troppo legato ai beni materiali; tuttavia, se non si dispone del potere e delle conoscenze giuste, da soli è difficile cambiare il mondo. È proprio partendo da tale necessità che Sinbad comprende di doversi oramai distaccare dall'ambiente familiare, sebbene la madre verta in condizioni di salute non particolarmente felici, per ottenere le competenze necessarie a portare a termine il suo obbiettivo piuttosto utopico. In effetti il sogno di Sinbad è qualcosa che difficilmente si potrebbe realizzare nella realtà nella quale vive, è complicato pensare a una società governata da un unico sovrano e che pone come suo ideale principale la libertà e la pace; si tratta di un mondo e di un ideale utopico a causa della natura umana stessa: ciò che rende speciali gli esseri umani è proprio la loro diversità nel pensiero, nell'agire e nell'adattarsi all'ambiente, dunque è difficile realizzare una società unificata, partendo dal presupposto che tutte le società posseggono ideologie e sistemi socio-culturali completamente differenti fra loro. Nonostante questo immenso ostacolo da superare, Sinbad è fermamente convinto nella riuscita della propria missione, riuscendo grazie al suo carisma e alla sua impressionante determinazione a coinvolgere tantissimi individui nella sua causa. Quello che contraddistingue Sinbad, rispetto ai semplici esseri umani, è la capacità empatica di penetrare negli animi delle persone e di percepire gli aspetti psicologici principali, riuscendo a definire in maniera istantanea quali sono i punti di forza e le debolezze di un individuo. È comunque un'arma a doppio taglio, in quanto, se da una parte può essere utile a migliorare globalmente una persona, può essere allo stesso tempo fonte di sfruttamento delle debolezze altrui, per poter soddisfare egoisticamente le proprie priorità. Ciò ci consente di capire come sia difficile imporre le proprie idee agli altri e come si debba, in alcuni casi, ricorrere a dei mezzi non proprio raffinati per tirare acqua al proprio mulino: in altre parole, anche Sinbad non è così immacolato come sembra, infatti la sua figura nasconde comunque profondi e oscuri tentativi di manipolazione e soprattutto di imposizione del proprio volere ai più deboli.

Per quanto riguarda gli altri personaggi, naturalmente, essendo una serie incentrata su un unico carattere, Sinbad, è lecito aspettarsi delle caratterizzazioni minime e poco dettagliate, tuttavia posso affermare che non è stato affatto così! I compagni di avventure più stretti del Conquistatore di Dungeon sono stati caratterizzati in maniera adeguata sia a livello narrativo che psicologico, in modo tale da poterci ricollegare anche direttamente all'opera principale, cominciando a posizionare i pezzi che completano il puzzle.

Il comparto grafico è sicuramente migliorato rispetto alle due stagioni di "Magi", con delle fisionomie dei personaggi più complete e dettagliate, e i combattimenti, pur non essendo a livelli alti, non hanno deluso; un elemento strano che ho riscontrato è il colore dei capelli di Sinbad, viola acceso in "Bouken no Sinbad", mentre viola scuro nella serie "Magi". Ho trovato piacevoli le OST e in particolare il doppiatore di Sinbad, il quale è riuscito a trasmettere tutta la sua voglia e determinazione nel cambiare il mondo.

Globalmente si tratta di un prequel realizzato bene, il quale ci ha permesso non solo di focalizzare l'attenzione su un personaggio fondamentale della serie "Magi", ma anche di carpire come si sia formata l'Alleanza dei Sette Mari e di come Sinbad abbia acquisito la sua immensa fama. Dunque consiglio di guardarlo per avere delle informazioni in più sulle due stagioni di "Magi", e anche di continuare a leggere il manga, se si è interessati alla figura di Sinbad, dato che difficilmente realizzeranno una seconda serie...
Il mio voto finale è 7.