La prima volta che ho sentito parlare di Dejima è stato leggendo "L'ultimo volo della farfalla": la storia infatti si svolge a Nagasaki e appunto a Dejima. Ho avuto modo di scoprire così una pagina forse poco conosciuta della Storia nipponica che però ho trovato molto interessante.
Durante il periodo Edo infatti il Giappone si chiuse completamente al mondo esterno e Nagasaki fu per anni l'unico contatto con gli stranieri. Verso la metà del 1500, arrivarono i portoghesi con al seguito alcuni missionari gesuiti; ma quando il cristianesimo iniziò a preoccupare le autorità giapponesi, i religiosi vennero espulsi e furono accolti gli olandesi, protestanti e quindi considerati più propensi al commercio che alla religione. A seguito della rivolta di Shimabara (di stampo contadino ma considerata all'epoca cristiana) avvenuta nel 1637/38, fu proibito ogni contatto con gli stranieri e fu vietato ai giapponesi di uscire dal paese.
 

Unico spiraglio aperto rimase l'enclave olandese posta sull'isola artificiale di Dejima, vicino a Nagasaki: attraverso questa porta filtravano scienza e cultura occidentali e ciò rese negli anni la città un importante polo scientifico e artistico. Ma non solo: gli olandesi erano autorizzati ad avere contatti solo con i commercianti e le prostitute, professioni che accumularono vere e proprie fortune.
Grazie al suo status, Dejima adottò elementi della cultura occidentale e ancora oggi si può ammirare un eclettico mix di architettura giapponese e occidentale.
 


Dejima ora è vicino al centro di Nagasaki e si affaccia proprio sulla baia. Originariamente era però un'isola artificiale come abbiamo detto, famosa per la sua forma a ventaglio. Costruita così nel 1634 per ospitare commercianti portoghesi e separarli dalla società giapponese, dal 1641 ospitò gli olandesi e durante la maggior parte del periodo Edo l'isola fu l'unico luogo di scambi tra il Giappone e il mondo esterno. Dejima fu abolita dopo il Trattato di Kanagawa nel 1854 e l'isola fu successivamente integrata nella città di Nagasaki andando a riempire il tratto di mare che la separava dalla terraferma. Nel 1922 la "Dejima Dutch Trading Post" fu designata come sito storico nazionale giapponese .
 


La nascita di Dejima fu stabilita dallo shogun Tokugawa Iemitsu, che voleva in questo modo guadagnare da vari commerci redditizi e allo stesso tempo controllare la diffusione della cultura e della religione europea in tutto il Giappone. La costruzione dell'isola fu completata nel 1636 e ai mercanti portoghesi e ad altri funzionari fu permesso di aprire negozi sull'isola, ma era loro vietato andare al di fuori di Dejima. Allo stesso modo, ai giapponesi non era permesso entrare nell'isola a meno che non avessero da svolgere compiti o affari specifici.
 

L'isola era anche chiamata "Tsukishima", che significa "isola eretta", visto che era artificiale e realizzata con terra bonificata, presa dal porto. Gli scambi internazionali fiorirono su Dejima così come la diffusione della conoscenza occidentale, quali la medicina, la chimica, la navigazione e le armi. Diversi giapponesi si recarono a Dejima in quel periodo per studiare nuove tecniche e apprendere il più possibile dagli stranieri lì residenti. Questi ultimi ovviamente introdussero molti elementi della loro cultura d'origine nelle loro abitazioni per sentirsi più a casa. Ciò produsse un mix eclettico e affascinante, con l'architettura e l'arredamento d'interni europei che si fondevano elegantemente con il design tradizionale giapponese.
 


Tuttavia, preoccupato per la diffusione del cristianesimo, lo shogunato Tokugawa decise di regolamentare l'afflusso di stranieri. Iniziò così il periodo isolazionista in Giappone, noto anche come "sakoku": cinque furono gli editti che dal 1633 al 1639 portarono di fatto il paese a chiudersi al mondo esterno.
Editto 1: i viaggi all'estero erano vietati a meno che non si trattasse di una nave mercantile autorizzata dallo shogunato Tokugawa (1633)
Editto 2: ai giapponesi era vietato viaggiare all'estero (1635)
Editto 3: ai giapponesi era vietato viaggiare all'estero, i cittadini giapponesi che vivevano all'estero non potevano tornare in Giappone e la costruzione di grandi navi fu vietata (1635)
Editto 4: I portoghesi erano ammessi solo a Dejima (1636)
Editto 5: I portoghesi non erano più autorizzati a viaggiare in Giappone (1639)
 


Con quest'ultimo, Tokugawa Iemitsu espulse di fatto i portoghesi dal Giappone, assegnando agli olandesi il monopolio sul commercio e quindi su Dejima.
Il periodo isolazionista rimase in vigore per 218 anni fino al 1853, quando il commodoro Matthew Perry arrivò in Giappone con le sue famigerate navi nere e riaprì con la forza il paese al resto del mondo.

Nel 1904, quasi cinquant'anni dopo la fine del periodo sakoku, Dejima perse la sua iconica forma a ventaglio a seguito di un progetto di bonifica e fu così attaccata alla terraferma di Nagasaki. Anche la compagnia commerciale olandese delle Indie orientali fu dismessa e molti degli edifici furono riconvertiti. Alcuni sono ancora in piedi come l'ex seminario protestante di Dejima che fu costruito nel 1878 e l'edificio dell'ex club internazionale di Nagasaki che fu costruito nel 1903. Nel 1922 l'intera Dejima diventò sito storico nazionale e dal 1951 è iniziato un progetto di restauro pubblico, che continua ancora oggi.
 


Pur non essendo più un'isola, la sensazione che si prova passeggiando in questo piccolo tratto di terra rievoca bene i tempi in cui era l'unico luogo in cui giapponesi e stranieri potevano mescolarsi. Sebbene si trovi nel centro della vivace città di Nagasaki, conserva la sua atmosfera tranquilla e regale. Un grande cancello chiamato "Sea Gate", segna l'ingresso a Dejima ed è posto esattamente dove si trovava la porta di accesso all'isola. Diversi sono gli edifici storicamente e architettonicamente significativi: uno di questi è la famosa residenza olandese di Chief Factor o la "Kapitan Room", che è l'edificio più grande di Dejima in cui poter ammirare splendidi mobili europei.
 


La maggior parte di queste strutture sono costruite con legno scuro che crea un efficace contrasto con le tradizionali pareti bianche giapponesi; un'aggiunta però peculiare di questo luogo è il colore blu-verde che decora molti degli esterni. Questa vernice infatti è stata importata dagli olandesi ed è uno dei principali esempi del mix di culture olandese e giapponese, poiché spesso era usata anche dai carpentieri giapponesi. Secondo poi il piano di restauro a lungo termine, si vorrebbe addirittura ripristinare la forma a ventaglio originale dell'ex isola.

Fonte consultata:
TsunaguJapan