Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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"Lost Canvas" è un prequel di nome, ma quasi un reboot di fatto della famosa serie "Saint Seiya". La serie non è ufficiale e non è stata messa in continuity dall'autore Kurumada, che ha invece successivamente scritto il prequel davvero canonico: "Next Dimension".
Parlo di reboot di fatto per la scelta dell'autrice Shiori Teshirogi di riutilizzare gran parte delle storie personali dei santi d'oro già visti nella serie classica e rielaborarle in maniera più gradevole e interessante. Anche gli stessi santi e spectre già visti nell'opera originale hanno le stesse identiche sembianze di quelli della serie classica, quasi a voler riscrivere appunto la storia di questi personaggi.

La serie "Lost Canvas" presenta due forti caratteristiche positive che brillano particolarmente, per il fatto che proprio queste due sono a detta di alcuni e anche del sottoscritto quelle che più latitano nella serie classica. Questo prequel va quindi a mettere due toppe al lavoro originale di Kurumada.
La prima è l'attenzione al worldbuilding, mentre la seconda è la bellezza del disegno e dell'animazione.

Finalmente il worldbuilding di "Saint Seiya" ha un senso, almeno per quanto possa avere un senso questa sorta di sincretismo religioso fra buddismo e mitologia greca elaborata da Kurumada.
La Guerra Santa fra Atena e il suo esercito contro Hades e la sue armate sembra finalmente quello che dovrebbe essere: una guerra, ovvero una lotta combattuta collettivamente. Pur non mancando i classici scontri uno contro uno, grande spazio avranno infatti le pianificazioni strategiche, le imboscate, i diversivi e gli scontri fra più avversari. Se la serie originale brillava per i toni epici, questa trova il suo lato nobile nel cameratismo e nei rapporti maestro/allievi. Diverso anche il ruolo delle donne presenti, da un lato dipinte molto più sexy, e dall'altro molto più guerriere e disposte a scendere in battaglia; anche Atena fra i suoi tanti titoli a disposizione si fregerà di essere non la dea della Giustizia, bensì la dea della Guerra.

I disegni della Teshirogi erano già nel manga estremamente curati, anche se difettavano di dinamicità, ma è questo anime della Toei ad avere dettato davvero la differenza con gli altri lavori dell'universo di "Saint Seiya". La qualità di questa trasposizione è ineccepibile, tanto da essere stata pubblicata come OAV e non come serie animata, cosa che è stata purtroppo anche il suo tallone d'Achille: gli ascolti inferiori alle attese hanno costretto a cancellare la terza stagione, quindi l'anime rimane monco, con due stagioni da ventiquattro episodi; lo spettatore sarà quindi costretto a recuperare il manga, se vuole conoscere il finale della storia.

A livello di trama salta subito all'occhio la celebrazione dei santi d'oro, qui tutti grandi guerrieri d'élite capaci di impensierire non solo i più capaci fra gli spectre, ma anche degli dei minori. Purtroppo questo è anche uno dei difetti dell'opera, che nella ricerca dell'epica e nello sforzo di rimanere congruente alla serie classica, inserisce palesi deux ex machina per tracciare il destino dei personaggi. Un'altra caratteristica negativa è il ripetersi di certi pattern durante l'opera che possono risultare stancanti, anche se, per la brevità dell'anime, non saranno fastidiosi come lo sono stati nel manga.

Concludo decretando "Lost Canvas" la migliore trasposizione di un manga su "Saint Seiya", pur anche incompleta.

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Mettiamoci il cuore in pace. Lupin III e la sua ghenga non hanno età. Inutile stare ad arrovellarci in assurdi calcoli sulle loro ipotetiche date di nascita, quel che è certo è che sono stati concepiti dalla persona giusta, nel posto giusto, al momento giusto. Questo è il benefico e longevo effetto di far parte del mondo della fantasia. Il nipote di Arsenio Lupin non ha un volto, o meglio ne possiede un intero campionario, non ha connotati ben definiti, né mostra segni particolari. Zero avvisaglie di vecchiaia, nemmeno un capello bianco: è rimasto tale quale a quello del gagliardo esordio in TV in casacca verde avvenuto pressappoco cinquanta anni fa! Solo che ora sfoggia un elegante blu di tendenza e deve fare i conti - ancor di più che nella precedente "Avventura Italiana" - con le diavolerie elettroniche dell'era informatica. Le sue grandi imprese del passato, ora come ora, sono quasi fiabe, beninteso non favole moraliste, ma fiabe che mostrano gli archetipi del mondo intorno a noi. Non passerà molto tempo che qualche neo-nonno racconterà ai propri nipoti le gesta di questo atipico antieroe e di come egli rubò il cuore alla bella Clarisse, della rapina alla banca di Miami o di come s'impadronì dell'oro di Hexagon, anziché di come abbia fatto fuori i terroristi nell'istituto di Ami o di come assecondava i capricci di Rebecca. Perlomeno io la penso così.

Inizialmente, il tutto si dipana attorno a una fantomatica caccia all'uomo free-to-play, dove chiunque può immortalarlo e condividerne le immagini su internet per fare punti. La trama rientra nei binari della iper-narrazione, vale a dire plot di stampo poliziesco che vanno a formare diversi archi narrativi, intervallati da surreali episodi extra (non sempre esaltanti) che rimandano al furfantello gaudente e donnaiolo. Peccato che dopo un paio di puntate la storiella del giochino online cominci a stufare un pochettino. I colpi di scena e i capovolgimenti di fronte non mancano, ma non siamo ai livelli delle vorticose tavole di Monkey Punch o della iconica serie in giacca rossa, l'apice di Arsenico detto Lupin, dove in venti minuti si assisteva a un mix esplosivo di estro e inventiva. Nel 2018, misteri, enigmi, codici cifrati vengono risolti in tempo reale grazie alla solita ragazzina tecnologica di turno e al suo fido tablet, oppure per mezzo del monocolo cibernetico multiuso. Il vecchio trucco del fascio di luce accecante è ora generato da un comando vocale dello smartphone. I componenti del cast sembrano aver perso un po' di brio e lucidità col passare degli anni, impigriti anch'essi da un uso smodato e prolungato di computer palmari e affini, facendosi persino abbindolare in una o due occasioni. Anche per il guru degli scassinatori - nonché maestro assoluto nell'arte del travestimento - è difficile sfuggire alla geolocalizzazione! L'ombroso Jigen a volte appare svanito e stranamente ciarliero, non sempre va a segno con la sua fedele pistola e se ne viene fuori - spesso e sovente - con ragionamenti campati per aria. Al contrario, Goemon ha riacquistato senno e onore, e non è più lo zimbello di tutti. Zenigata, da par suo, continua a inanellare meschine figure anche all'estero. L'unico membro della combriccola che conserva intatto il suo smalto rimane la conturbante Fujiko: una ne pensa e cento ne fa per ottenere il maltolto senza faticare troppo. Aggiungo, e non per peccare di eccessivo bigottismo o essere etichettato come un provincialotto, che ho trovato alcune battute alquanto poco forbite, non adatte ai minori: "Se vuoi, puntami l'arma che hai nelle mutande!" o la reiterata "Non riesce proprio a tenerlo nei pantaloni!" sono frasi inusitate che non faranno felici i dirigenti di Mediaset e ancor meno i tipi del Moige (in special modo se s'intende trasmetterlo in fascia protetta). Sia nel manga che nella terza incarnazione televisiva ce ne sono a bizzeffe di allusioni al sesso, sebbene rappresentate sotto forma di gag visive o metaforiche, senza mai mostrare nulla di esplicito o scadere in certi dialoghi prosaici.

A livello estetico nulla da segnalare, ho notato, però, sparsi qua e là, alcuni, a mio avviso evitabili, inserti in CGI di bassa lega, per fortuna si tratta di una manciata di secondi a episodio (ad esempio gli scenari che scorrono sul parabrezza). Idem per le intercalazioni subappaltate a terze parti, le quali non reggono il confronto con quelle fatte in loco (e ultimamente la TMS non è nuova a cadute di stile di questo genere). A occhio attento, rivedendo al rallenty le scene incriminate, si ha la netta sensazione che gli autoveicoli non abbiano alcun attrito su asfalto e sterrato, mentre la Fiat 500 di Yasuo Otsuka restava saldamente incollata al manto stradale, arrivando addirittura a viaggiare inclinata su due ruote nelle curve a gomito. A dire il vero, c'è una terza cosa che non m'appaga del tutto: il sub-character design. Troppo il divario tra il graffiante tratto anni '70 usato per la banda di Lupin e quello blando e lineare dei nuovi co-protagonisti (vedi Albert e Ugo). Certo, fa sempre piacere rivedere nello staff veterani come Kazuhide Tomonaga e Nobuo Tomizawa, colonne portanti della Telecom Animation Film e attivi dai tempi di "Cagliostro no Shiro" (e infatti non sono poche le citazioni e i riferimenti al noto film di Miyazaki: in "Come rubare un regno" il trio si reca in un minuscolo Stato straniero, poco dopo subentrano Zazà e l'Interpol, c'è una donzella rinchiusa in una torre e... stop. Qui mi fermo per non 'spoilerare' troppo!). Apprezzatissimo l'intervento esterno di Jean-Marc Poiriault, convocato per dare un tocco di stile impressionista ai fondali parigini, che vanno a nozze con gli avvolgenti componimenti sonori a opera dell'inossidabile Yuji Ohno (sempre lui!).

Sicuramente un revival/sequel ammodernato al punto giusto, con una opening in flash a dir poco formidabile (la trovata migliore, senz'altro la più originale), che però non entrerà negli annali e che personalmente dimenticherò presto, anche e soprattutto per via del lessico colorito che non si addice all'etica e alla caratura del famoso ladro gentiluomo. C'è spazio altresì per un piccolo grande evento scioccante alle soglie dell'epilogo, ma i lettori attenti avranno già trovato il rispettivo riscontro sulle pagine del manga, dov'era passato inosservato. Lì per lì sono rimasto sbigottito pure io, tuttavia, per tirare avanti col florido franchise, a costo di ammorbare il pubblico e creare scontento tra i fan di vecchia data, i capoccia della NTV non esiteranno a spulciare ogni centimetro quadrato del fumetto e ad aggrapparsi a qualsiasi appiglio, ovviamente previo consenso dell'autore.

Ero partito da una valutazione che oscillava tra il buono e l'ottimo, ma l'entusiasmo si è mano a mano smorzato. A torta finita le cose che non m'hanno convinto appieno vanno di pari passo con quelle che reputo positive, e perciò il mio voto si ferma al discreto. Ho il vago presentimento che le sceneggiature siano state riadattate da storyboard pensati per un ciclo di special notturni, che sicuramente avrebbero avuto un maggiore senso logico, viste le componenti adulte e le dinamiche truculente (che talvolta rasentano il grottesco). Che volete che vi dica, a me mancano in modo particolare le spericolate cacce al tesoro in capo al mondo e i suoi colpi chirurgici all'interno di caveau inespugnabili, che hanno contribuito a erigere la classicità di quel drappello di personaggi ormai considerati démodé. Tutti tranne uno, il mito del ladruncolo dalla faccia di scimmia non tramonterà mai!

9.0/10
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Yusuke Urameshi è un quattordicenne scapestrato. Bigia a scuola, è sempre in mezzo alle risse, ha una potenza fisica spropositata, ha un’amica d’infanzia dalla forza erculea (da cui lui spesso prende sberle da guinness) e l’unica che gli tenga davvero testa, una madre single in rapporti con la yakuza, è vittima di una estrema emarginazione promossa dagli stessi insegnanti ed è al centro di leggende metropolitane sempre più deliranti. Insomma, il classico protagonista di un anime, nulla di strano... sennonché, come ci dice da subito il narratore, appena iniziato il primo episodio è già morto!
Sì, perché in una delle sue solite fughe da scuola il giovane finisce sotto un’auto per salvare un bambino, morendo sul colpo. Tuttavia, la traghettatrice del fiume Sanzo, Botan, gli comunica che la sua dipartita non era affatto prevista nell’aldilà, pertanto al giovane viene offerta la possibilità di resuscitare. Da quel momento in poi, tuttavia, verrà reclutato coattamente come detective del mondo degli spiriti, per cui dovrà svolgere numerose, quasi letali, folli e avvincenti missioni armato del suo fido, e ormai celeberrimo, reigan. Al suo fianco troviamo Kuwabara, altro ragazzo manesco ma sensibile, autonominatosi “suo rivale”, Kurama, demone volpe reincarnato in corpo umano con poteri vegetali, Hiei, demone del fuoco e possessore del terzo occhio, Botan, oltre ovviamente a una sterminata serie di nemici/amici e upgrade costanti.

I personaggi sono caratterizzati meravigliosamente, la comicità sia buffonesca, che caricaturale, che cameratesca non manca mai (anzi, forse a volte è fin eccessiva). I rapporti e le relazioni sono profondi e mai davvero melensi. Le storie personali sono ben integrate ai momenti di riso e di serietà, con analisi sociali delle diverse culture in gioco sottili ma presenti.

I disegni sono molto tondeggianti e fanciulleschi per alcuni personaggi, secchi e spigolosi per altri, dando un bell’effetto generale sia nella resa di ruoli e caratteri, sia in quella delle specie e delle età approssimative.
Ogni personaggio ha una sua storia, anche i secondari. Le personalità per alcuni di loro sono forse troppo stereotipate, ma in effetti 112 episodi non offrivano forse tutte le libertà prese.
I contesti sono molto ben descritti, anche se, come ho già detto, forse si punta troppo in alto in certi momenti.
Yusuke è indiscusso protagonista, ma non monopolizza mai del tutto la scena, permettendoci di assistere alla crescita, ai problemi, ai dubbi e agli eroismi anche del resto del gruppo.
Se proprio dovessi attribuire un neo ai personaggi, potrei lamentare la scarsa presenza femminile, compensata comunque dal carisma di alcune esponenti presenti, Genkai soprattutto.

L’autore ha più volte affermato nelle interviste che trova più facile inventare di sana pianta piuttosto che studiare e reinventare il già detto, e possiamo dire che, sebbene fosse umanamente impossibile riuscirci, lui ci sia andato abbastanza vicino. Del resto la sua dovrebbe essere una casa dove creatività e comprensione per il talento abbondano. Egli è infatti consorte di nientepopodimeno che l’autrice di “Sailor Moon”. Insomma, una casa che ha saputo far sognare delle generazioni per anni, chi prima, chi dopo.