Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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La menzogna è estranea all’infanzia. O ha comunque le gambe corte dei bambini che vogliono nascondere qualche innocua marachella a un genitore, a chi gli è più prossimo, a chi se ne prende cura e a chi li educa. La menzogna è estranea all’infanzia perché a questa età l’emozione si libera sempre senza l’ingombro della ragione, raggiungendo in un lampo l’apogeo del sentimento. Le bugie nell’adolescenza hanno le gambe in crescita, intrappolate nel limbo del dovrei essere e del cosa sarò, consce che il sentimento pronto a esplodere può ferire, toccare l’altro irrimediabilmente ma anche inondarlo di una luce potentissima che in nessun’altra età ha così tanti colori. I colori di “Bugie d’aprile” - il cui titolo originale, decisamente più calzante pur se apparentemente simile, è “La tua menzogna nel mese d’aprile” - originano dalle vibranti note del piano e di un anarchico violino che i due protagonisti della vicenda regalano per l’intensa e canonica durata delle ventidue puntate di cui si compone questo toccante anime. Toccante e scopertamente malinconico, ancorché non manchino intermezzi divertenti classici ad ogni shonen che si rispetti. Tutto muove dalla bugia che il titolo originale ci suggerisce senza timore di fraintendimenti, nonostante ce la sveli solo nell’ultimo episodio. Forse intuibile, ancorché celata fino all’epilogo, la menzogna da cui origina questa storia di quattordicenni alle prese con le emozioni e i sentimenti tipici dell’età, amplificati dal potere della musica, dell’arte di restituire empatia attraverso le note, è talmente priva di sovrastrutture e secondi fini da trasformarla nella semplice e pura verità che noi tutti conosciamo o abbiamo conosciuto, in particolar modo quando eravamo ragazzi: l’amore smuove le montagne, ci invita a cambiare, a vincere la solitudine, il dolore, a rinascere, a scoprire chi veramente siamo e vorremmo essere. E soprattutto, ci svela che questo sentimento è tale solo nella gioia del volerlo - a tutti i costi - restituire.

Kousei Arima è un quattordicenne che, da bambino, è stato un vero e proprio prodigio del pianoforte. In conseguenza della morte della madre, un’ex pianista oramai malata terminale che aveva riposto nel successo del figlio, sovente con modi duri e dispotici, ogni sua ragione di vita, all’età di undici anni diventa improvvisamente incapace di suonare. Non sente più le note, nonostante non abbia alcun problema d’udito, e la sua paura e la conseguente solitudine che ne derivano, amplificate dall’evidenza di un padre assente, lo portano a chiudersi sempre più in un mondo di grigiore, incertezza e diffusa incomunicabilità. Da questa sua triste condizione fanno in parte eccezione i due amici d’infanzia, Tsubaki e Watari. Tsubaki, che si distingue per la sua abilità nel softball, si è sempre presa cura di lui e dice di considerarlo una sorta di fratellino. Watari, capitano della squadra di calcio della scuola e molto popolare tra le ragazze, nonostante l’apparenza frivola e spensierata cerca di essergli sempre e comunque di supporto. Un giorno d’aprile, però, la stanca monotonia di Kousei è improvvisamente spezzata da un incontro inaspettato. Tsubaki lo ha convinto ad accompagnarla, per non essere la terza incomodo, al primo appuntamento tra Kaori, una sua compagna di classe, e Watari, sempre disponibile a conoscere nuove ragazze. Kaori è una violinista dallo spirito libero e dai modi travolgenti, che sembra donare colore ad ogni nota. Colore che restituisce d’impatto al mondo di Kousei, li quale se ne innamora quasi all’istante, cancellando progressivamente i grigiori della sua esistenza e ritrovando, inaspettatamente, quelle note che credeva di aver perduto per sempre.

Oltre non vado nel raccontarvi una storia che, come immaginerete, avrà i suoi naturali sviluppi sentimentali e che, inevitabilmente, metterà Kousei davanti alle dure prove della riappropriazione di sé e della sua musica. Quello che posso dirvi, e che non è improbabile abbiate già individuato dalla breve introduzione, è che “Bugie d’aprile” va oltre le classiche dinamiche dello slice of life, lasciando intuire da alcuni dettagli già presenti dopo sei-sette episodi, che l’epilogo sarà malinconico, doloroso, inevitabilmente commovente. Al di là della storia e dei suoi snodi, della scelta - non universalmente apprezzata, come palesato da parte degli spettatori - di non concludere con un ecumenico happy end, ciò che è veramente coinvolgente in questa serie animata è come i sentimenti in ballo si legano alla musica, e come la stessa musica sia assoluta protagonista nel dar voce e sfogo completo alle emozioni restituite dai personaggi. “Bugie d’aprile” è in effetti un incessante gioco di restituzioni a cui la musica di Mozart, Chopin e Beethoven regala un caleidoscopio di colori vivi e vibranti filtrati dallo sguardo, dai pensieri e dai sentimenti dei suoi giovani protagonisti. È un anime basato su pochi dialoghi e moltissime riflessioni sulle note. I pensieri di tutti coloro che in questa storia si trovano ad avere in mano uno strumento - non solo Kousei e Kaori, ma anche gli antagonisti del ragazzo nei concorsi musicali, i giovanissimi suoi emuli, chiunque avesse tratto ispirazione dalla sua musica - volano alti in un cielo stellato che è spesso rappresentazione dell’anima e dell’interiorità profonda di personaggi che vivono la musica principalmente come un prezioso inestimabile da donare a chi li ascolta. “Sono un musicista, e questo ciò che so (devo) fare”, si trovano spesso a confidare a sé stessi i protagonisti di questa storia. Kyohei Ishiguro, ispirato fedelmente dal manga di riferimento di Naoshi Arakawa, ha la possibilità di usufruire di ciò che il pur bravo mangaka non poteva evidentemente utilizzare, e lo fa con estrema sensibilità e delicatezza. Le arie di Mozart, Beethoven e Chopin intervengono a fortificare quell’emozione che il fumetto ci poteva solo far percepire, lasciando dunque alle note del piano (e del violino) il compito di raccontare, attraverso il talento dei suoi protagonisti animati, la vasta gamma di sentimenti che la vicenda mette in gioco. Il tutto senza tralasciare la cura per le animazioni, gradevoli e complessivamente ben riuscite; senza perdere di vista i suoi personaggi, ben caratterizzati, credibili, a loro modo e in misura al ruolo profondi e sognanti come ogni adolescente dovrebbe essere, nonostante le difficoltà e il dolore che ad ogni momento della vita, ahi noi, possono sopraggiungere. È un’adolescenza che fugge, che si lancia nel vuoto e che cade senza mai precipitare, nonostante le incertezze e le incomprensioni, i buchi neri e le voragini, le difficoltà del crescere, la fragilità dei corpi, ma con la consapevolezza della potenza dello spirito, dell’esempio, del ricordo, della memoria di ciò che significano anche i gesti apparentemente banali.

Ed ecco Aprile, tempo d’attesa dell’estate, laddove l’infanzia idealmente raggiunge l’adolescenza, periodo in cui il confine tra verità e menzogna è così sottile e indeterminabile da allontanare ogni possibile retro pensiero. Il doloroso epilogo, che svela in una lettera la bugia da cui si sviluppa il racconto, è un concentrato di emozioni e sentimenti che sovrappongono i pensieri, le riflessioni, le confessioni e le prese d’atto e di coscienza rivolte a un futuro che, per sua stessa natura, non può aver niente di certo e definitivo, alla musica del piano di Kousei che interpreta le note di Chopin. E mentre il futuro si apre alle aspettative e ai dubbi che la storia lascia sul campo, si ritorna improvvisamente ad essere bambini. Ad una foto che ritrae un ragazzino con gli occhiali e una ragazzina che lo segue a breve distanza. C’è una bimba bionda che li guarda, e sorride. Come dicevo all’inizio, la menzogna è estranea all’infanzia. E nella luce degli occhi della ragazzina bionda ci sono infiniti colori, una nuova consapevolezza, una meravigliosa epifania.

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Nel 1986 va in onda “Maison Ikkoku”, anime di novantasei episodi prodotto dallo studio Deen e diretto da Kazuo Yamazaki, Takashi Annō e Naoyuki Yoshinaga. La serie è tratta dall’omonimo manga scritto e illustrato da Rumiko Takahashi ed è stata portata in Italia da Yamato Video col titolo “Cara dolce Kyoko”.

La trama vede come protagonista Godai Yusaku, un giovane squattrinato che non ha superato l’esame per accedere all’università e sta ora cercando di rimediare al suo fallimento. Il ragazzo alloggia presso la Maison Ikkoku, una pensione fatiscente abitata da inquilini fracassoni che spesso e volentieri intralciano i tentativi di studio del povero Godai con festini chiassosi e ricchi di alcool. Il ragazzo, ormai esasperato dal loro comportamento, decide di abbandonare una volta per tutte il condominio, ma ci ripenserà dopo aver conosciuto la nuova amministratrice della pensione: una giovane e bellissima donna di nome Kyoko.

Ammetto che la prima impressione lasciatami da “Maison Ikkoku” non è stata delle migliori: ricordo che il primo episodio, col suo strano umorismo e gli sviluppi poco coinvolgenti, non mi aveva convinto moltissimo e mi aveva portato a pensare “Ma cos’avrà di tanto speciale questa serie? Devo davvero guardare novantasei puntate tutte così?”. Col proseguire della visione, purtroppo alcune opinioni sono rimaste immutate: con mio grande rammarico, ho dovuto constatare che l’umorismo tipico di quest’anime non rientra assolutamente nelle mie corde, dato che davvero poche volte mi ha fatto sorridere come si deve. Anche nel corposo numero di episodi ho trovato un ostacolo quasi insormontabile, vista la grande quantità di puntate a stampo comico che non mi divertivano affatto e che vertevano quasi sempre sui disastrosi effetti che l’alcool produce sui personaggi di quest’opera.

Tuttavia, “quel qualcosa di tanto speciale” che ha reso la serie una delle più amate di sempre per fortuna sono riuscita a comprenderlo. “Maison Ikkoku” fa infatti della semplicità, della quotidianità, della verosimiglianza i suoi punti di forza: è una storia che potrebbe riprodursi tranquillamente nella realtà, e che quindi affascina per le situazioni di tutti i giorni in cui ogni spettatore si potrebbe rivedere. È una storia fatta di equivoci problematici e talvolta imbarazzanti, di incontri casuali che segnano la vita di una persona per sempre, di eventi sfortunati che mettono a dura prova la resistenza dei più, di lotte per il proprio futuro e per il proprio amore, di rallegramenti per i nostri successi e di quelli degli altri, di costernazioni per i fallimenti delle persone che amiamo. È una storia, quindi, che scorre inesorabilmente tra i mesi e gli anni, che ci mostra da vicino quella vita che inevitabilmente attraversa stagioni e stagioni, anche quando un tragico evento sembra aver fermato il tempo senza rimedio.

Ad essere protagonisti di questo racconto sono due personaggi delineati in maniera sorprendentemente realistica: da un lato abbiamo Godai, universitario sempre al verde e perennemente sfortunato che affronta le quotidiane sfide della vita (esami da superare, soldi da risparmiare, impieghi da trovare) con una resistenza tale, che è impossibile non fare il tifo per lui; dall’altro Kyoko, giovane donna determinata e indipendente che tuttavia rimane ancorata ai ricordi del suo triste passato. I due saranno al centro di una storia d’amore tanto magnifica quanto tormentata, una relazione che impiegherà diverse stagioni per sbocciare, e che per questo sarà ancora più dolce, una volta coronata.
Oltre ai personaggi principali l’anime presenta alcuni comprimari ottimamente caratterizzati, tra i quali ricordiamo il ricco e arrogante Mitaka o l’ingenua e spontanea Kozue. Un peccato, però, che altre figure abbiano continuamente suscitato il mio odio: un esempio è costituito dall’infantile Yagami, protagonista di puntate fin troppo ripetitive, o anche dai tre inquilini ubriaconi, che a parte qualche episodio isolato si sono sempre rivelati degli scrocconi che pesano sulle tasche già vuote del povero Godai.

Per quanto riguarda il comparto tecnico, ci troviamo dinanzi a qualcosa che sprizza anni ’80 da tutti i pori: il character design di Yuji Moriyama e Akemi Takada (che ho apprezzato in linea di massima, anche se non mi sono piaciute le capigliature quasi tutte uguali) riprende e ammorbidisce quello originale della Takahashi; gli sfondi ricalcano in maniera molto realistica abitazioni, scuole, strade e locali, e contribuiscono ad ampliare l’effetto “nostalgia” soprattutto nelle ambientazioni notturne illuminate dai lampioni e dai fari delle auto; la gamma di colori utilizzati è vasta e spazia dai toni pastello dei vestiti di Kyoko a quelli più sobri degli abiti di Godai; le musiche composte da un ispirato Kenji Kawai ricreano atmosfere ora ilari e spensierate, ora melanconiche e riflessive. Anche le numerose sigle proposte suscitano emozioni differenti: quelle che ho più apprezzato sono l’opening “Suki sa”, struggente e sentimentale, e l’ending “Cinema”, dalle affascinanti sonorità vintage.

Tirando le somme, “Maison Ikkoku” è un anime che riesce a catturare per la grande poesia con cui racconta di situazioni e personaggi semplici e genuini. La sua più grande pecca, a mio avviso, è rappresentata dal numero di puntate troppo dispersivo, il quale rende la visione meno fluida a causa di una ventina di episodi che si sarebbero potuti tranquillamente evitare. Consiglio comunque di fare uno sforzo e terminare la serie, poiché la parte finale è di una bellezza unica. Voto: 8 e mezzo.

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"Aruito - Moving Forward" è un'opera in 11 volumi di Nagamu Nanaji, autrice già nota per "Perfect Tic" e "Koibana". Le premesse per comprendere questa storia sono due: procurarsi tutti i volumi leggendoli senza lunghe pause tra un volume e l'altro; discostarsi dalle aspettative create dagli shoujo scolastici e triangoli sentimentali ai quali l'autrice ha abituato i lettori nelle opere precedenti.

"Aruito-Moving Forward" è la storia di Kuko e del suo legame con le strade del quartiere che l'ha vista crescere. Kuko è una ragazza energica, orfana di mamma, e sin da bambina educata dal padre a sorridere alla vita anche quando la vita non è generosa. Grazie a questa attitudine positiva crea numerosi legami nel quartiere, è benvoluta e ha degli ammiratori non indifferenti al suo fascino. Kuko però non può ricambiare totalmente queste attenzioni perché è innamorata di un apprendista pittore dalla personalità enigmatica e diametralmente opposta alla sua... oppure no? Il vero sipario della storia si apre quando Kuko inizia a interrogarsi sul suo modo di relazionarsi verso l'esterno: e se questa sua attitudine sempre positiva le impedisse di esplorare con più profondità dei rapporti? E se, mostrando quelle ombre che la spaventano, scoprisse che gli altri le sono più vicini di quello che pensa?

"Aruito-Moving Forward" è la storia di un percorso di risveglio, di esplorazione e di consapevolezza.
Aruito è anche una storia d'amore, ma quella più importante è quella di Kuko con sé stessa. Kuko è l'unica e indiscussa protagonista di questa vicenda e i personaggi sono degli specchi che la aiuteranno a conoscersi da più punti di vista.
Il manga offre degli spazi a Ibu, migliore amica della protagonista e appassionata lettrice di fumetti, che segue come un simpatico occhio esterno (quello dell'autrice?) le vicende di Kuko. Non solo l'amica Ibu è una persona singolare, lo sono anche gli altri personaggi (pittori, musicisti, lettori).Personaggi che forse esistono solo per contribuire a sciogliere la maschera della nostra protagonista, o arricchirla.

Il contorno delle vicende di Kuko è reale ed è narrato in una città non casuale: Kobe che ha vissuto il dramma di un terremoto e la spinta verso la ricostruzione. L'autrice a più riprese offre al lettore attento una bellissima chiave di lettura dal quale emergono dei parallelismi tra il personaggio di Kuko e l'anima della città, entrambe in marcia "Sempre Avanti" [Moving Forward"] verso un futuro di speranza.

Un'opera così introspettiva, matura, potente e delicata potrebbe disorientare il lettore medio collezionista di "shoujo". A mio avviso non è infatti questo il target. Ho apprezzato che Nagamu Nanaji si sia messa in discussione con un progetto di questo tipo. Credo che qui l'autrice sia stata coraggiosa e abbia offerto il meglio di sé.