Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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9.0/10
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Quando sei minuti scarsi polverizzano la maggior parte dei lavori animati degli ultimi anni.

A1-Pictures, in collaborazione con Crunchyroll, pone le proprie accorate, evocative e intense animazioni nelle sapienti mani di Porter Robinson e Madeon, capaci di comporre un motivo musicale che, senza mezzi termini, merita di finir dritto nel gotha delle colonne sonore di tutti i tempi.
Questo splendido cortometraggio si rivela immediato ed esplosivo, un vibrante capolavoro che sfonda ogni titubanza iniziale per perforare le difese emotive dello spettatore, senza remora alcuna.
Le inaspettate note dei due compositori spaziano da una non precisata disco-beat d’avanguardia a una electro-synthwave così incisiva da penetrare nel cervello con dolce prepotenza e non uscirne più, colpendo in pieno lo spettatore, che, frastornato, sorpreso ed emozionato, si vedrà letteralmente gettato in una sequenza di immagini, ricordi e visioni capaci di comporre un arco narrativo che di breve ha solo il minutaggio, poiché la sua estensione emotiva produrrà uno strascico interminabile e potentissimo, mettendo a dura prova gli animi più fragili ed emotivi.

Ed è su questo ritmo ripetuto, reiterato e pieno di speranza, che attraverso uno spettro di colori sia freddo che caldo, sia notturno che soleggiato, cominciano a farsi strada gioia e dolore: due fra i sentimenti più difficili da gestire per ognuno di noi, capaci di viaggiare su binari differenti e paralleli, vicini seppur lontani, rischiando spesso di sfiorarsi, ma raramente di incrociarsi. E quando questo accade, la magica animazione dello studio A1 produce scintille, fiamme e gocce d’acqua, vento e solida terra: emozioni che plasmano immagini di una grande e nostalgica città, o una rustica altalena pendente da un albero antico e possente, o cieli interminabili e azzurri, un tempo tersi, poi oscuri e nuvolosi, e infine colmi di minacce e tetri presagi.
È così. Gioia e dolore sono le due facce della medaglia del nostro cuore, antipodi che in questo video musicale escono dallo schermo sfiorandoci in modo più che personale, poiché, tramite l’accenno di una metafora fantascientifica e apocalittica, gli autori sondano il nostro animo a profondità inaspettate. L’uso della cromatica è eccezionale: colori caldi, freddi, cupi e baluginanti accentuano la comunicazione emotiva, tanto da rendere tangibile e realistico un astrattismo che sa di fragrante nostalgia. Bastano poche dinamiche inquadrature per sfiorare i recessi della nostra memoria, dove, seppur sbiaditi, giacciono i nostri ricordi d’infanzia che, disarmandoci, ci toccheranno nel profondo, senza distinzioni: immagini preziose di quando eravamo bambini, ciò che ci rimane delle persone a noi care, che magari oggi non ci sono più, o sono distanti, così distanti che per qualche motivo non riusciamo più a raggiungerle.
Quando questo genere di memorie torna a galla, è come sfogliare un vecchio album di fotografie, e non emozionarsi spontaneamente diventa impossibile. Il ponte relazionale che viene ad erigersi fra protagonista della storia e spettatore è puro e sincero; ci si immedesima, involontariamente, quasi inconsciamente. Si fantastica, si immagina, si compiono considerazioni; lo struggersi a causa di timori, speranze e teneri ricordi è qualcosa che non possiamo negarci.

Shelter, ovvero “rifugio”.
Una lettura della genesi di questo piccolo capolavoro può essere intrapresa a più livelli: una ragazza di quasi diciassette anni, giorno dopo giorno, per sopravvivere alla crescente e dolorosa solitudine da cui non può fuggire, si rifugia (appunto) in variegati mondi virtuali che strizzano l’occhio alla visionarietà di “Inception”, tramite un tablet avanzatissimo che le permette di controllare ogni cosa. Ma perché accade tutto questo? E da dove arrivano quei ricordi che le scaldano il cuore, ma, al tempo stesso, la fanno soffrire?
Eccolo, il rifugio: luogo dove nascondersi e sentirsi protetti, che sia virtuale o reale poco importa. Rifugio come fra le braccia di chi ci ha cresciuto e amato, un nido sicuro e confortevole sin dalla prima infanzia che presto o tardi dovremo abbandonare, magari con l’impulso, un giorno, di poter ricreare un’atmosfera simile, un focolare che protegga, accudisca e abbracci qualcun altro come fu per noi.
E infine, “rifugio” come ancora mentale ed emotiva per chi le persone care oggi non le ha più, un luogo nel cuore dove ritrovarsi, trasformando il dolore e la malinconia generate dal senso d’assenza in benzina da bruciare per carburare nuovamente, una spinta positiva che serva a proiettarci nel futuro con ottimismo e speranza.
Così, giorno dopo giorno, immersa in luoghi inesistenti che tuttavia le ricordano qualcosa di lontano e prezioso, la giovane ragazza protagonista del corto aggiungerà tasselli al grande mosaico mentale che non può ancora padroneggiare, scoprendo la drammatica, asettica e tecnologica verità che le verrà infine posta davanti agli occhi, senza filtri.

“Shelter” compie un giro di sei sofisticati minuti fra sogni, tecnica sopraffina, metafore apocalittiche e tuffi al cuore, per ricordarci come le persone a noi care che oggi non ci sono più rimarranno al nostro fianco e non ci abbandoneranno mai, fino a che le terremo custodite con amore e gelosia all’interno dello scrigno che risiede nel profondo del nostro animo, celebrandole e rispettandole, mettendo in pratica i giusti insegnamenti che ci hanno tramandato con amore, pazienza e generosità.
Nonostante i contrasti. Al di là dei litigi. Oltre ogni diverbio, che diviene futile, quando ogni cosa termina, ed è ciò che dovremmo tenere sempre a mente.
È come un’eredità spontanea, che tutti, presto o tardi, bene o male, scopriremo di desiderare: il completamento di una catarsi che questo gigantesco ma breve esercizio artistico riesce a elargire.
Le lacrime finali della giovane adolescente dai capelli color cuore acceso sono invero le nostre, poiché, in tutta onestà, questo “rifugio” non è forse l’abbraccio di chi amiamo, che costantemente desideriamo o ricerchiamo, nonché il luogo più anelato e rassicurante al mondo?

“Shelter” mi è stato consigliato da una persona sensibile e straordinariamente empatica, che ne aveva compreso non solo il potenziale, ma anche apprezzato il valore emotivo, e per questo la ringrazio sentitamente.
Ora, io lo consiglio a voi con la medesima accortezza: a prescindere dai vostri generi preferiti, cercatevi il video e assaporate ogni secondo, perché ne vale davvero la pena.
Un capolavoro sotto tutti i punti di vista, una gemma preziosa da non perdere assolutamente.

7.5/10
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Una persona seduta a un tavolo, con la testa mollemente - svogliatamente? In meditazione? Sonnacchiosamente? - appoggiata sul braccio destro, prende con la mano sinistra una tazza semipiena di tè o caffè, beve con calma un sorso, e la riposa. Il tutto, in otto secondi. E negli altri cinque minuti? La continua ripetizione di questo gesto, inizialmente in maniera identica ma, ben presto, con variazioni.

Inizialmente saranno variazioni piccole: la persona che beve, di sesso incerto - potrebbe essere un giovane come una donna coi capelli corti - è tratteggiata sommariamente a matita su uno sfondo avorio e le animazioni sono piuttosto “sporche”. I contorni vengono come pasticciati dalla matita mentre il soggetto si muove con un sottofondo sonoro molto tranquillo, quasi inesistente.
Ma, ben presto, la musica comincia a incalzare e la tazza si deforma, ogni volta sempre di più, per poi generare sagome fantastiche, anche colorate. Forme sempre più audaci appaiono e si agitano ad ogni ciclo, mentre la musica muta e si fa sempre più insistente e stridente.

Si ha l’impressione che la mente del/della protagonista vaghi, bevendo quel sorso di liquido. O forse che, al di fuori di quel gesto ripetuto, esista un mondo fantasmagorico, magari nella testa di chi beve. E ci si domanda se si tratti di un gesto ripetuto ogni giorno, e ogni giorno in modo leggermente diverso, o se non si tratti invece di una unica azione in molteplici universi paralleli.

Non è una visione facile, nel senso che seguire le animazioni mette a dura prova gli occhi dello spettatore. O, almeno, i miei. È anche un video decisamente particolare, ben lontano dalla comune concezione di anime o di cartone animato.

La musica di Miki Sakurai l’ho trovata molto aderente, anzi, esplicativa della parte visiva.

Resta il difficile compito di riassumere il tutto in chiave numerica. È un dato di fatto che, quando l’opera è breve, che sia di difficile comprensione o visione diventa secondario: in fondo, pochi minuti si investono volentieri e con buona disposizione. È anche la durata ideale per proporre qualcosa di non convenzionale. Mi è piaciuto, senza farmi gridare al miracolo. Tutto considerato, 7,5 mi sembra corretto.

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C'era una volta uno studio di animazione chiamato WIT che incantò il mondo con lavori di altissima qualità, pieni di animazioni mozzafiato e tanta, tantissima classe.
C'era una volta un autore, Nagabe, che dopo una gavetta fatta di dōjinshi boys love decise di cimentarsi in un'opera radicalmente diversa, se non inusuale, per quello che era il suo curriculum artistico.

Tanto tempo fa, ma non così tanto lontano, Nagabe e WIT Studio decisero di dare vita ad un cortometraggio di appena diece minuti ispirato a quella storia così inusuale quanto affascinante.

Fu così che vide la luce "Girl from the Other Side".

Sarò sincero, alla notizia della realizzazione di questo OVA la mia reazione non fu delle migliori, consideravo l'opera di Nagabe troppo particolare da essere facilmente animata e gli ultimi lavori di WIT non mi avevano entusiasmato.
Mi sbagliavo, eccome se mi sbagliavo.

Realizzato nel 2019, "Girl from the Other Side" è quello che si può definire un "perfect game", capace di racchiudere in soli dieci minuti tutte le atmosfere surreali e fiabesche del manga, esaltandone alcuni lati e arricchendone altri con nuove sfumature e dettagli.

Ciò che colpisce da subito lo spettatore è la totale assenza di dialoghi, scelta apparentemente azzardata, ma che si rivelerà vincente e suggestiva. Il non poter ascoltare le voci dei protagonisti mette in primo piano il comparto visivo che, con prepotente classe, si appropria della scena, regalando alcune finezze che forse non tutti riusciranno a cogliere.

Potremmo partire dalla scelta di colorare a mano ogni singolo frame con acquerelli, rendendo il tutto squisitamente "artistico" al pari di certi corti animati russi di metà '900? Magari possiamo sottolineare la sapiente direzione artistica in grado di dosare nel migliore dei modi le preponderanti chine nere del manga senza rendere il tutto una chiazza di colore monocromatica? Oppure notare le costanti citazioni ad un certo cinema espressionista muto di scuola tedesca fra cui la splendida corsa nel corridoio a fine OVA che richiama prepotentemente le scenografie asimmetriche de "Il gabinetto del Dr. Caligari"? Di sicuro non citare la splendida colonna sonora ad opera di Schroeder-Headz, al secolo Shunsuke Watanabe, sarebbe un ingiustizia, così delicata e allo stesso tempo capace di dare voce ai personaggi senza voce di questo OVA, come Vince Guaraldi fece quasi sessant'anni fa con i Peanuts di Charles M. Schulz.

Che dire di più, se non che ci troviamo dinanzi ad una perla da scoprire e rivedere più e più volte nel tentativo di scoprire le infinite citazioni e tributi nascosti in questi appena dieci minuti di animazione allo stato d'arte più puro?