Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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Non semplicemente una conclusione, ma una complicazione che arricchisce il senso profondo di ciò che abbiamo visto nella serie, arrivando ad autocelebrarsi quasi eccessivamente.

È importante partire con una premessa doverosa che funga da punto fermo: questo terzo lungometraggio animato sarebbe a tutti gli effetti il “seguito” ufficiale e coerente dell’ormai celeberrima serie di dodici episodi “Puella Magi Madoka Magica.” Dopo aver decostruito, scomposto e riassemblato il genere Majokko, datogli nuova entità e rivisitatolo in chiave psico-drammatico/sovrannaturale, "Puella Magi Madoka Magica" aveva lasciato un vago spiraglio continuativo, un finale che definire aperto sarebbe eccessivo, ma che lasciava intravedere un qualcosa in più non ancora mostrato, inquietantemente oscuro, in linea con le apocalittiche sensazioni di un epilogo a tratti sconcertante. Così, questo lungometraggio ha infine cercato di sublimare l’immensa mole di informazioni che la saga serializzata ci aveva propinato, concludendo definitivamente l’arco narrativo in un modo più scoppiettante, simbolico e quasi iconografico, scegliendo tuttavia un sentiero complicato e a tratti incomprensibile.

Graficamente superbo rispetto alla serie, possiamo tranquillamente dire di essere di fronte ad un capolavoro visivo del genere. Luci, colori, brillantezza, frame delle animazioni, dettagli cromatici e sonori, fluidità dell’immagine, ogni particolare artistico risulta ineccepibile. La colonna sonora si dimostra ancora una volta un pilone portante su cui puntare ad occhi chiusi (ma non così eccezionale come lo fu nella serie TV), dove la Kajura spicca nuovamente in maniera eccelsa. Il sapiente uso di musica classica, incalzante, ritmata e a tratti volutamente confusionaria, dona un tocco speciale allo svolgersi della trama.
Dal punto di vista delle animazioni si riesce finalmente ad approfondire l’aspetto puramente bellico, mostrando più a lungo e più nel dettaglio le abilità combattive delle Puellae Magi, un concentrato di dinamismo cupo e scintillante, chiaro e scuro, un dinamico ossimoro perennemente circondato da tetri scenari e grotteschi decoupage.
Anche l’atto della trasformazione da ragazza di tutti i giorni a maghetta viene espresso nella sua forma migliore, una voluta citazione alle “antenate” vintage, con tanto di momento dedicato e mutazione fisica e di indumenti. Commemorazione storico-classica? Forse, più che dovuta.

Dopo una prima metà in cui si tenta un rinnovato inganno ai piacevoli danni dello spettatore, la seconda parte del lungometraggio ci introduce lentamente in quella rinnovata, utopistica struttura universale istituita dalla stessa Madoka, che si rivela, rispetto agli orrori nascosti della serie appena conclusasi, un palcoscenico altrettanto grottesco e confuso. Le scene sono ricche di immagini simboliche e rimandi astratti, una continua esposizione iconografica che genera dapprima un piacere visivo notevole, ma comincia a confondere man mano che la vicenda s’addentra nei suoi perché; verso l’ultimo terzo animato i disegni tendono ad astrarsi, i concetti a farsi ancora più complicati e i dialoghi stessi veri e propri quesiti criptici. Risposte poco chiare, insinuazioni e collegamenti occultati da espressioni volutamente incomprensibili. Il senso del tutto deve essere evinto da quest’insieme confuso ed enigmatico, trasformando un prodotto già selettivo in un qualcosa di nicchia che non tutti potranno apprezzare appieno.
L’algoritmo delle maghette moderne risulta quindi di difficile comprensione, con momenti di eccessiva masturbazione mnemonica ove lo spettatore si trova costretto a collegare gli eventi della serie precedente a commenti e constatazioni in continua evoluzione, pur di riuscire a raccapezzarsi in un agglomerato onirico e metafisico, che in tutta onestà non era necessario complicare fino a questo livello: in certi frangenti il film risulta così complesso che si fa realmente fatica a seguire il filo logico e l’evoluzione delle situazioni.

Rimane invece ancor più asettico e spaventoso lo sguardo distaccato, disumano e fastidioso dell’Incubatore, probabilmente il miglior personaggio di tutto "Madoka Magica". Le gelide, insensibili, piccole pupille sbarrate di Kyubey ricordano palesemente la fredda alienazione priva di sentimenti del celebre Hal 9000 in “2001 Odissea nello spazio”. Il mostro dall’aspetto innocente capace di esaudire i desideri delle giovani speranzose è ancor più distante e spaventoso che in precedenza, ora preso di mira senza mezzi termini verso quello che sarà un finale non così sorprendente, ma plausibile e accettabile.

L’epilogo, appunto.
In questa assurda vanificazione della logica in onore di un eccessivo cripticismo, il finale è vago; s’intuisce di come l’amore possa issarsi ad araldo di salvezza e tramutarsi in faro per guidare un cuore contaminato da un demoniaco egoismo; morale altissima, per carità, ma fin troppo scontata. Ciò che abbiamo appreso nel finale della serie TV non si smarrisce completamente, riemerge infatti riequilibrando ciò che pareva tragicamente compromesso. Gli insondabili intenti alieni, espressi oramai a livello stellare vengono definitivamente emarginati da questo universo nuovamente, ineccepibilmente riscritto.
Alla fine della giostra, Madoka e Homura, luce e ombra, speranza e disperazione; si dimostrano due facce della stessa medaglia, unite da un sentimento più forte delle forze del cosmo, capace di incorniciare un finale astratto tuttavia lieto.

In definitiva, “La storia della ribellione”, risulta troppo complicato per ciò che voleva esprimere.
Se l’idea era quella di ricalcare un finale prolungato e incredibilmente intrecciato come fu “The end of Evangelion” post-serie, allora ci sono riusciti, dando luogo però ad eccessi che non tutti potrebbero apprezzare o comprendere.
Se la saga fosse terminata col finale che tutti conosciamo e questo film non fosse mai esistito, non ci saremmo certo strappati i capelli.
Bello, coinvolgente, difficile.
Apprezzabile, visivamente eccelso.
Ma non necessario.

7.0/10
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Giudicare adesso una serie di sedici anni fa, ormai diventata iconica, non è facile. Primo, perché la nostalgia può giocare brutti scherzi, sia a chi scrive sia a chi legge. Secondo, perché si potrebbe compiere l’errore abbastanza comune di prendere ogni elemento di quella serie e valutarlo in base ai parametri attuali. Lo stile di narrazione, le animazioni, la concezione delle lotte... tutto può sembrare brutto se visto con un'ottica contemporanea, per cui ho analizzato l'anime cercando di essere il più oggettiva possibile.

Il primo punto che sicuramente salta all'occhio è la trama. Se confrontata con quelle degli anime attuali, ne uscirebbe decisamente sconfitta per via della scarsità di eventi e colpi di scena che la caratterizzano, ma per l'epoca era certamente originale, o quasi. Due ragazze, l'una l'opposto dell'altra, si ritrovano a combattere insieme a due mascotte (poi tre) una serie di malvagi che non desiderano nient'altro che portare l'oscurità in ogni parte dell'universo. Niente di più e niente di meno, la trama non esce mai dai propri binari e per questo motivo la serie può risultare abbastanza noiosa da vedere. In più il contesto in cui si muovono i personaggi è fortemente slice of life, e a parte alcune eccezioni quasi tutti gli episodi sono incentrati sulla vita quotidiana delle protagoniste, spesso affiancate dalle loro amiche. Altra caratteristica importante di questa primissima stagione è la sua struttura: nonostante il nome sia sempre lo stesso, sono praticamente due stagioni in una, la seconda quasi la copia sputata della prima. Cambia ciò che devono ottenere le Cure (prima devono recuperare cinque pietre e poi salvare un personaggio), ma in fondo è come se fosse la stessa cosa, o perlomeno è l'atteggiamento delle ragazze a non cambiare, quindi la sensazione che dà è che sia tutto molto ripetitivo e che non valga la pena proseguire oltre l’episodio 26. In realtà non è esattamente così, perché dopo un inizio lento la serie prende il via con svariati episodi più profondi dei precedenti, dunque mollare prima della fine è un grosso errore.

I personaggi principali che si muovono in questo ambiente, come già visto, sono due, ovvero la coppia di amiche Nagisa e Honoka. Essendoci un cast molto ristretto, uno dei pregi di questa serie è il riuscire ad approfondire molto bene la psicologia delle protagoniste, avendo queste un numero molto vasto di puntate a disposizione. Tuttavia bisogna anche far notare che, soprattutto a un certo punto, c'è un notevole sbilanciamento verso la figura di Nagisa, che appare più che mai come la leader sempre al centro dell'attenzione. Nonostante questo, il personaggio in sé non risulta mai irritante, ma è evidente che, a causa dei ruoli affidati ai membri del duo (da un lato l'eroina tosta e dall'altro quella più fragile che si ritrova più spesso in difficoltà), ci sia questo squilibrio, che a lungo andare genera qualche fastidio.

Per quanto riguarda i personaggi secondari, gruppo anch'esso poco folto, si crea allo stesso modo una certa gerarchia. Abbiamo quindi sia personaggi ricorrenti, che affiancano le protagoniste costantemente (ad esempio Shiho e Rina, che giocano a lacrosse insieme a Nagisa, ma anche Shogo e Ryota), sia delle vere e proprie comparse a cui ogni tanto viene dedicata una puntata e che mai più si rivedranno, se non per qualche brevissima apparizione. Interessante notare a questo proposito come nel complesso siano più i minuti dedicati a questa seconda categoria piuttosto che alla prima. Ricordo pochissimi episodi dedicati a Shogo, uno a Ryota, uno a Shiho e addirittura nessuno a Rina, cosa che non accade invece per altri soggetti molto meno importanti di loro, che spesso si ritrovano al centro dell'attenzione senza motivo. Come dimenticare, ad esempio, quella puntata dedicata a una compagna di classe mai vista prima, che compare solo nell'episodio 45 (di 49), spezzando il ritmo della narrazione in quanto la sua storia non aveva motivo di esistere in quel momento? Questo è di sicuro il caso più eclatante, ma non è assolutamente l'unico.

Sempre riguardo i personaggi, c'è da spendere qualche parolina anche sui nemici. Capitanati da Re Jaaku, un gigantesco mostro oscuro fatto in CGI, nel corso della serie vediamo due gruppi diversi di cattivi a seconda della parte che prendiamo in esame: nella prima sono in cinque, mentre nella seconda sono in tre. Non sono pochi, nove in tutto se si include anche il Re, ma soltanto uno di questi (Kiriya) viene approfondito, il che fa intendere abbastanza chiaramente quanta attenzione sia stata dedicata a personaggi del genere. Per quanto più o meno tutti siano inconsistenti, però, c'è da dire anche che i primi cinque nemici avevano qualche piccola peculiarità. Sarà perché c'era Kiriya in mezzo a loro, sarà per una mera casualità, ma c'era sempre qualche loro caratteristica in grado di incuriosire lo spettatore e di fargli desiderare un ulteriore approfondimento (che non c'è stato, quindi questo è un difetto, ma intanto gli spunti c'erano). Tanto per fare un esempio, Pisard, che era il più debole di loro, ben presto scopre di essere preso in giro dai suoi colleghi, che lo reputano tutto fumo e niente arrosto, e si sente a disagio; o ancora Gekidrago, che è stupido e scimmiesco, mostra un briciolo di umanità quando vede Mepple ammalato e lo restituisce alla sua padrona. È poco, certamente, ma è qualcosa che purtroppo i loro successori non hanno. L'unica caratteristica vagamente interessante del trio è un dettaglio sulla loro origine che avrà delle conseguenze minime soltanto nelle ultimissime puntate, quando ormai siamo agli sgoccioli. Per il resto, sono assolutamente dimenticabili e non riescono in nessun modo a surclassare coloro che li hanno preceduti, ad eccezione dei rari momenti in cui collaborano per sconfiggere le avversarie in combattimento (cosa che Pisard e soci non facevano).

A proposito di questo, i combattimenti sono forse l’unico elemento ad accomunare tutti i cattivi di questa prima serie di “Pretty Cure”, che ho voluto riguardare per la terza volta per un semplice motivo: tutti parlavano bene degli scontri, che qui sarebbero stati quasi crudi e senza troppi fronzoli, e io stessa ricordavo un elemento simile, dunque ho guardato fiduciosa questi quarantanove episodi perché dovevo riprendermi dopo certi scempi (anche a livello tecnico) delle stagioni più recenti. Il problema è che questi combattimenti validi, in teoria fatti di calci e pugni a non finire, non sono mai arrivati se non in sporadiche occasioni. In linea di massima si può dire che la parte migliore in questo senso sia la seconda, e se da un lato è normale in quanto all’inizio le Cure erano inesperte e non potevano di certo fare chissà cosa, dall’altro è decisamente deludente, perché, se gli scontri migliori arrivano soltanto nell’ultima decina di episodi, allora vuol dire che prima non è stato fatto un buon lavoro. Tra animazioni disastrose (che magari all’epoca potevano anche essere accettabili, visto che in pochi si sono lamentati di questo), attacchi monotoni e disegnati male usati per concludere fin da subito lotte che non sono mai iniziate, a volte viene proprio da chiedersi perché siano state inserite delle parti più d’azione se poi il risultato doveva essere questo.

A compensare quella che secondo me è la parte peggiore di questa serie, per fortuna arrivano le varie tematiche che vengono introdotte, non eccessivamente variegate ma comunque gestite come si deve. La più importante è di sicuro l’amicizia, legata in maniera indissolubile al concetto di diversità: le due protagoniste hanno di simile soltanto l’età e il fatto che vadano nella stessa classe, per il resto non hanno nulla che potrebbe far pensare che possano essere compatibili. Eppure, grazie alla missione che devono compiere, riescono ad avvicinarsi e, seppur con qualche difficoltà, a stringere un rapporto molto stretto, che si evolverà durante tutto il corso della serie. Un altro pregio di questa amicizia è la sua concezione non elitaria: Nagisa e Honoka sono sì le protagoniste assolute, eroine di una profezia che soltanto loro possono conoscere, ma non vivono mai tutte le loro esperienze isolatamente; al contrario, sono spesso circondate da amici e parenti, che interagiscono con loro senza problemi. Anzi, sono proprio questi rapporti "minori" a dare vita a quelle puntate che sono allo stesso tempo le più inutili e le più intense della stagione: inutili perché incentrate sulle paturnie di personaggi secondari, ma intense perché le storie rappresentate sono comunque belle. Un esempio è la puntata 38, dedicata a Ryota e al suo primo giro in città da solo. Tutto sommato allo spettatore non è che interessi più di tanto vedere un ragazzino delle elementari che vaga per Tokyo sbagliando strada ogni tre per due, ma dietro questa vicenda c'è comunque un messaggio non di poco conto riguardo la fratellanza.

Altri due temi affrontati, strettamente collegati fra loro, sono il destino e la libertà. Visto il target non propriamente maturo della serie, ci si aspetterebbe quasi di vedere questi argomenti soltanto accennati, o comunque gestiti in maniera infantile, ma non è così. In più a stupire è il fatto che le riflessioni a riguardo partano non dalle Cure, bensì dai nemici, per poi coinvolgere entrambi. Il problema non affligge un solo gruppo di persone, ma tutti: da un lato le protagoniste si sentono a disagio e, per quanto vorrebbero tornare a vivere da normali adolescenti, non ne hanno la possibilità; allo stesso modo i cattivi, da “bravi” esseri oscuri quali loro sono, non possono fare altro che soccombere alla loro stessa oscurità, trascinando ogni altro essere vivente, luogo e oggetto nell’oblio a cui tutti sono destinati. Interessante è anche il modo in cui i due schieramenti, se così si possono chiamare, decidono di affrontare il fato (i cattivi con egoismo, i buoni evitando di ferire persone innocenti), arrivando più volte a scontrarsi per questa ragione.

Passando a degli elementi più tecnici, non posso non citare in primo luogo i costumi e gli attacchi. Per quanto riguarda i primi, non sono nulla di eclatante, almeno nello standard delle “Pretty Cure”, ma è proprio questo il loro pregio. Non sono pacchiani e nella loro semplicità risultano piuttosto apprezzabili. Viceversa per gli attacchi non ho un'opinione altrettanto lusinghiera. Passi il fatto che siano pochi (tre, che ora sarebbe impensabile, ma all’epoca sicuramente andava bene), però in realtà è come se fosse uno soltanto, dal momento che ognuno è uguale al precedente ma con qualche elemento colorato in maniera diversa (e pessima fra l'altro, perché gli arcobaleni tanto ricorrenti sono più un'accozzaglia informe di colori che dire inguardabile è dire poco).

Non si salvano nemmeno le animazioni e i disegni, a tratti decenti ma nella maggior parte dei casi piuttosto approssimativi. Se alcune volte sono godibili, come contrappasso abbiamo spesso interi episodi con personaggi umani così mostruosi, da far rivalutare allo spettatore l’aspetto fisico dei nemici. Le puntate peggiori in questo senso sono proprio quelle che dovrebbero essere più dinamiche, ossia quelle dedicate al lacrosse e quelle ambientate a Dotsuku (ad eccezione delle ultimissime, dove invece assistiamo a un netto miglioramento). La CGI invece si mantiene sempre sullo stesso livello, ossia pessimo. Oltre ad alcuni oggetti, come il cellulare durante le trasformazioni o le Pietre quando fluttuano in aria, anche due personaggi vengono realizzati con questa tecnica: Re Jaaku e la Regina del Giardino della Luce. Sono entrambi fatti male e su questo non c’è alcun dubbio, ma se per Re Jaaku la scelta è comprensibile in quanto animare un gigante del genere non sarebbe stato facile a prescindere, per la Regina è l’esatto opposto. Il personaggio non si muove mai, letteralmente, e anche quando dovrebbe succedere non lo fa, perché la sua figura rimane sempre immobile e a muoversi sono soltanto gli sfondi, per cui dov’è il risparmio?

Molto buona invece la musica. Riguardo l'opening, ormai si può dire che è diventata iconica, e sfido chiunque a non averla mai canticchiata in tutti questi anni, mentre l'ending è comunque carina, ma ho avuto la sensazione che il pubblico non l'abbia trovata particolarmente memorabile, complice anche la versione italiana, ricca di inesattezze e di errori di pronuncia. Menzione d'onore anche ai vari brani della colonna sonora, per la maggior parte strumentali, in tre occasioni presentano anche una parte cantata, dal testo sempre molto emozionante. In ogni caso, a parte due battaglie, tutte le varie scene della serie hanno sempre avuto un sottofondo appropriato al contesto, capace di far provare allo spettatore le stesse sensazioni delle Cure.

In generale, quindi, la serie non presenta elementi degni di nota a livello tecnico; al contrario rappresenta una pietra miliare del genere mahou shojo per via del modo in cui vengono sfruttati i personaggi principali e in cui questi combattono. Pur presentando dei difetti non da poco, ci sono altrettanti pregi in grado di compensare ogni bruttura che ci viene presentata, dunque trovo che il voto più adeguato sia un 7 pieno, che non è né troppo alto né troppo basso.

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«Magical Girl Raising Project» (originalmente "Mahou Shoujo Ikusei Keikaku") è un anime a cura dello studio di animazione Lerche, che ben mescola scene di vita quotidiana a scene di azione, talvolta con risvolti crudi.

Esiste un'applicazione per cellulare destinata a un pubblico femminile che permette alla giocatrice (o giocatore) di diventare una reale maga. L'entità che sembra governare il gioco, le cui motivazioni di scelta non sono chiare, decide chi potrà proteggere la città in cui la prescelta vive, non sembrano esservi controindicazioni, si devono soltanto compiere buone azioni. Ad ogni buona azione compiuta corrispondono dei punti, e vi è anche una classifica, ma dietro a tutto vi è un mistero.

Maghette, ragazzine con poteri magici. Da sempre nell'immaginario dei ragazzi come un qualcosa di tranquillo, di semplice, e per molte ragazzine un sogno poterle emulare, avere dei poteri magici. Le storie cambiano, nel corso degli anni si è voluto ricordare che avere dei poteri magici non è sempre soltanto un qualcosa di positivo, di buono. Dopo il 2010 qualcosa è cambiato ancora, il genere ha assunto tinte più oscure. Un tempo era solo "Mahou Shoujo Madoka Magica", la serie culto del 2011 che ha saputo creare molti cloni nell'immediato - ma poche di esse hanno saputo distinguersi, creare qualcosa di diverso e credibile; questa, la cui serie di light novel è iniziata nel 2012, è una di esse.

La malvagità è umana, ricorda la serie, la magia può far del bene ma anche essere considerata un'arma, il suo uso fa la differenza.

I personaggi sono molti e con una personalità molto differente, durante le loro missioni assumono le sembianze del personaggio che utilizzano durante il gioco, e fra loro si fanno chiamare sempre con il nome del personaggio. Alcune delle maghe più interessanti sono Vess Winterprison, la misteriosa Hardgore Alice, l'autoritaria Ruler e Ripple. A tutte le protagoniste verrà dato il giusto spazio con una scelta di piccoli flashback dove verranno spiegati la loro storia e il loro carattere, anche se tali ricordi non sempre saranno mostrati nel momento più opportuno. La protagonista è una ragazza normale, quasi anonima. Lei sbaglia, piange, si dispera, è umana. La sua semplicità potrà infastidire lo spettatore, che vorrebbe vederla più attiva, ma sarà costretta a crescere. Vi saranno interessanti intrecci che quasi obbligano lo spettatore a prestare attenzione anche nei momenti che sembrano più tranquilli, nulla sembra accadere per caso.

La forza del legame. Si creano forti legami fra i vari personaggi, alcuni scelgono di formare alleanze, pochi sono quelli che preferiscono la solitudine. Una buona squadra sa affrontare anche avversari che sembrano invincibili, spesso verrà preferito l'utilizzo di strategie nei vari confronti, regalando momenti di agghiacciante realtà.

I disegni sono di ottima fattura, chiari, le animazioni a cura dello studio Lerche (fra le serie su cui ha lavorato si ricordano "Danganronpa: The Animation", "Radiant" e "Kino's Journey" del 2017) sono fluide, dando il meglio nelle varie scene di azione. Per quanto riguarda le musiche, buona l'ending "Dreamcatcher" di Nano. Si segnala la presenza di scene emotivamente molto forti, e in alcune abbondanza di sangue.

Consigliato a chi predilige una storia di azione, dove non mancheranno scene molto crude.