Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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L'idea di tagliare molto del materiale (per me) in eccesso del manga era ottima, ma il risultato è stato emozionante quanto il riassunto di un poema epico fatto da uno studente disinteressato all'interrogazione di latino.

Quando ho saputo che la seconda stagione stringeva di molto i tempi, la cosa mi aveva intrigato in positivo, perché non ho assolutamente amato la piega che ha preso il manga dopo l'arco narrativo di "Grace Field House" (coperto dalla prima, bellissima stagione dell'anime, e l'unico che sia davvero un gran capolavoro). Ma purtroppo, anziché migliorare la situazione, sono riusciti a peggiorarla, e anche di molto.

Sono contento dell'eliminazione dell'intero arco narrativo della riserva di caccia, assolutamente inutile e noioso, così come mi fa piacere l'eliminazione di molti personaggi, totalmente superflui e privi di qualunque spessore. Il manga di "The Promised Neverland" era partito con le premesse di un ottimo seinen, per poi sfociare nelle dinamiche più trite dei peggiori shonen, e questo, sarà che non ho più quindici anni bensì venti in più, mi aveva fatto perdere interesse per la storia, che ho comunque, sia pure un po' a fatica, portato a termine.

Ottima l'idea di dare una sfoltita, quindi, ma non mi è assolutamente piaciuto il modo in cui il materiale narrativo rimasto dall'opera di taglio è stato gestito. Ciò che sto per dire l'hanno già notato in molti: la prima metà della serie è fin troppo lenta, indugiando su dettagli che potevano essere affrontati in modo molto più scorrevole o anche omessi. Ad esempio, perché non saltare a piè pari la vicenda del rifugio? Dati i tagli operati, non ha avuto alcuna utilità per la trama, riuscendo solo ad annoiare e rubare spazio a momenti ben più salienti. Momenti salienti a cui si è giunti in scarsità di tempo e affrettando il tutto in modo estremamente goffo.

Questa serie non si prende il tempo di creare il pathos necessario, affinché lo spettatore si senta coinvolto nei momenti risolutivi. Viola tutte le regole non scritte (e anche quelle scritte) della narrativa, quelle conosciute fin dal dramma classico di oltre tremila anni fa. È come se qualcuno mi avesse raccontato a grandi linee cosa succede in una determinata storia, senza farmela però vivere.

L'opera di taglio, in ogni caso, l'ho apprezzata in linea di principio, ma è stata esagerata fino allo stravolgimento totale. Omettere va bene, quando dei dettagli non sono essenziali, ma qui sono stati davvero cambiati i connotati della trama, e alcune omissioni non potevano essere fatte senza privare la storia, come di fatto è successo, dei suoi pilastri narrativi. E il mondo dei demoni è appena accennato, sfiorato, troppo poco approfondito.

L'apoteosi è nel finale dell'ultima puntata, costituita da un montaggio di scene statiche rappresentanti lo svolgimento di alcuni fatti essenziali narrati nel manga e omessi nell'anime, il cui ordine cronologico è stato invertito senza apparente ragione, e che sono assolutamente incomprensibili per chiunque non abbia letto il manga (e assolutamente inutili per chiunque lo abbia letto). Un abominio.

Sì, un abominio. Non c'è molto altro da aggiungere. Purtroppo questa storia è riuscita a lasciarmi l'amaro in bocca tanto in versione cartacea quanto in versione animata. Eppure, quanto avevo amato la prima stagione dell'anime...

P.S. Voto 1 perché 0 non esiste, ma anche perché sono molto belle le BGM. E sottolineo le BGM, ovvero le musiche di sottofondo, perché le sigle sono insipide quanto l'adattamento della storia e impallidiscono dinanzi ai due capolavori che erano le sigle della prima stagione.

9.0/10
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"Made in Abyss" rappresenta uno dei picchi di qualità massimi per quanto concerne la fedeltà ad un'opera concepita con precisione maniacale. Il rispetto riservato per trasferire ogni singolo dettaglio della versione cartacea è uno dei pregi che spicca immediatamente durante la visione. Per chi, invece, si trova al primo approccio, non mancherà di essere inondato di percezioni, sensazioni e stimoli difficili da trovare altrove con questa intensità. "Made in Abyss" si propone, almeno inizialmente, come una visione dalle tinte quantomeno ironiche. Paesaggi sprizzanti di colori nitidi, che rispecchiano la cristallina intensità e vivacità della protagonista, Riko, accompagnano con delicatezza i primi passi di un futuro dedito alla ricerca dell'ignoto.

Ma la narrazione non inganna lo spettatore, anzi, dimostra a sprazzi la forte consapevolezza della giovane esploratrice. L'Abisso, punto focale e scenario della maggior parte della serie, è un luogo dove l'avvedutezza del più esperto avventuriero può non bastare per sopravvivere. In questo scenario risiede un nucleo concettuale che risuona episodio dopo episodio. La ricerca del futuro, il fascino dell'ignoto, la risposta al destino, per quanto grigio possa apparire, sono gli elementi che spingono Riko a inoltrarsi sempre più in luoghi dove l'innocenza che la contraddistingue verrà messa a dura prova.

L'innocenza, appunto, è ricorrente e inonda la visione di altri personaggi: manifesta in Reg, gentile e delicata in Marulk, celata all'apparenza da Nanachi o Lyza e completamente persa da altri. Ed è proprio quando questa viene a mancare che lo scenario si fa sempre più oscuro e terrificante. Lo scomparire della purezza comporta la caduta morale, lo sprofondare in un altro buco nero che è forse più profondo dell'Abisso stesso: l'approdo alla follia rimuove ogni possibilità di redenzione.

Non ne abbiamo un elogio di erasmiana memoria, tutt'altro. Le manifestazioni della pazzia sono qui paradossalmente lucide e vissute come scelte. Questi aspetti vengono poi estesi nel terzo film (il primo in realtà, escludendo i due riassuntivi) e saranno punto focale di eventuali e successivi adattamenti. Tuttavia ne abbiamo già le prime avvisaglie in questi tredici episodi. I pericoli che i protagonisti si troveranno di fronte metteranno a dura prova la saldezza mentale e fisica.

Dolore, perdita, accettazione, sacrificio si materializzeranno nelle creature dell'Abisso e porteranno ad un climax che, personalmente, trovo che esploda in una delle scene dal più alto impatto emotivo degli ultimi anni. Sopravvivere non sarebbe possibile se non tramite la coesione degli ultimi stralci di umanità, ed è proprio qui che la serie trova l'antidoto alle problematiche che si pone. Affidarsi agli altri, aggrapparsi a quelle poche certezze rimaste e costruirne di nuove grazie al fascino dell'effimera bellezza riscontrabile anche in luoghi dove fiorisce soprattutto crudeltà.

Dal punto di vista estetico l'anime tocca livelli altissimi, con uno stile fanciullesco adottato per i personaggi, ad aumentarne il contrasto con i pericoli di un mondo cesellato con maestria. La minuziosa descrizione di ogni specie animale o vegetale proferita dall'intelligentissima Riko è accompagnata da una resa grafica che dà vita a un mondo affascinante e variopinto. Nulla è lasciato al caso e sono pochissimi i momenti in cui i fondali saranno spogli o poco curati.

Ma a dare un respiro ancora più ampio a un mondo già vibrante così com'è, viene in ausilio la magistrale colonna sonora di Kevin Penkin, che si inventa soluzioni di tutti i tipi per farci immergere ancora di più nell'atmosfera. Passa dalla suggestiva "Hanezeve Caradhina", che con una lingua inventata attribuisce un etereo alone di delicatezza al mistero, per arrivare a "Tomorrow". Quest'ultima riesce in pochi minuti a riassumere magistralmente le sensazioni di oltre cinque ore di visione, accorpando le speranze di Riko, i timori e le premure di Reg e i lasciti di tutti i loro incontri in una scena semplicemente indimenticabile.

Assolutamente consigliato.

8.0/10
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Prologo veloce, volutamente incomprensibile come alla fine potrebbe risultare il tutto, poiché quasi fuori dalle concezioni materiali, "Death Parade" ci getta direttamente dentro l’assurdo, lo spirituale e al tempo stesso il fisico ed il carnale.
Ma nemmeno il tempo di realizzare cosa si sta visualizzando che giunge lesta l’opening, una delle più belle e divertenti mai fatte, e che induce ad aspettarsi qualcosa di frivolo, una sorta d’intrattenimento allegro, una storia d’amore, un racconto breve su qualche ballerino o un bartender bizzarro ma spensierato.
Niente di più falso: "Death Parade" è riflessione, è vita, è morte, è dolore, è sofferenza. …Già, vita: “Lottare e soffrire, questo vuol dire vivere”.
Soltanto dodici episodi per un concentrato sorprendente. Non esistono tempi morti, i disegni sono brillanti, le animazioni curate, mentre ciò che sono i veri protagonisti della storia, cominciano a delinearsi verso la metà del racconto. Breve ma intenso, fugace come un sogno che quasi ci dimentichiamo all’alba, ma che, in cuor nostro, sappiamo essere stato bellissimo e sofferto.

Decim è un autentico, talentuoso, elegante ed inespressivo bartender del “Quindecim”, un lounge bar arredato in modo moderno e classico al tempo stesso, frequentato da pochi, sparuti e singolari clienti, alcuni assidui, altri sempre diversi.
Tuttavia, questo luogo misterioso non è affatto ciò che sembra, esattamente come l’animo umano spesso non rivela mai la propria natura a meno che non sia messo in condizioni particolari o estreme: ebbene, quanto pare, dopo la morte vi è un giudizio “divino”, e se giudicato malvagio, all’essere umano spetta non l’inferno, ma il vuoto dove la propria anima vagherà obliata per l’eternità, oppure, se giudicato buono, un premio supremo in forma di reincarnazione. Questa è l’incredibile realtà che tutti i defunti possono apprendere al Quindecim, non un bar qualsiasi, bensì il luogo dove un giudice vestito da barman, freddo e distaccato, giudicherà la vostra anima in base a singolari prove di vario genere. Ad aiutarlo, v’è una bella ragazza dai capelli corvini e dal fisico aggraziato: chi sia, non viene subito spiegato, ma sarà un personaggio fondamentale per l’intera trama.
Giungono così avventori smarriti, che non ricordano niente delle loro ultime ore di vita, e comincia il “gioco”: sarà tramite questo (ed annessi stratagemmi architettati ad arte) che Decim giudicherà ogni coppia di persone appena trapassata.

"Death Parade" è molto più che la solita storia di shinigami, sentimenti e rammarichi: è una storia che insegna ad amare la vita proprio passando per il dolore della perdita, poiché, gli esseri umani, si rendono conto di quanto qualcosa possa valere soltanto quando questa viene meno.
In tal quadro dai colori marcati, dalle ombre cupe e dai sinistri risvolti, le anime dei morti vengono spinte ai limiti della pietà, spiriti legati momentaneamente a corpi fittizi che ricordano le loro sembianze in vita, ma che in realtà risultano essere bambole artificiali realizzate proprio da Decim, per degnarle di un aspetto ancora “umano”, prima del giudizio.
Ma cosa sono esattamente questi giudici della morte? Perché esiste questo “bar”? E perché Decim giudica i morti mettendoli di fronte a situazioni estreme e ai ricordi delle sofferenze in vita? Presto tutto sarà svelato, e qualcosa, forse, verrà messo in dubbio, tanto da cambiare i protagonisti della storia nel profondo. I manichini, le bambole, i fantocci, appaiono infine la metafora di sentimenti umani “visivi”, necessari, in un modo o nell’altro, per poter comprendere gioie e dolori di ogni vita vissuta, e ci ricordano vividamente di come sia difficile immedesimarsi negli altri per poter cercare di capire le sofferenze altrui, che spesso, purtroppo, vengono giudicate sommariamente, o ancor peggio erratamente, da chi non si sforza di comprendere davvero chi ha di fronte.

Il prodotto è animato in modo molto coinvolgente, sembra “girato” cinematograficamente con occhio attento, l’unica critica negativa che gli si può muovere è che sia troppo corto per i temi messi in ballo, da cui si traggono tanti buoni spunti, riflessioni profonde, e che appunto, potrebbero essere approfondite ancora di più, molto di più, ma non ve n’è il tempo: diverse cose rimangono esplorate soltanto superficialmente.
Il misticismo di come il giudizio finale viene decretato, l’ago della bilancia che pende da Male a Bene, i risvolti e le espressioni dei “corpi” dei defunti, cosa è davvero giusto e cosa è davvero sbagliato sia in vita sia in senso universale, sono tutti temi ardui da trattare, ma che "Death Parade" ci mette di fronte nel migliore dei modi: si può giudicare qualcuno se prima non proviamo le sue stesse emozioni, se non lo capiamo fino in fondo, se non proviamo empatia?
Anche l’ending si fa valere, come d’altronde tutta la colonna sonora, veramente eccezionale.
E ricordate: da qualche parte, ognuno di noi ha qualcuno che lo sta aspettando, che tiene a qualcun altro o che soffre per la mancanza di qualcuno, perchè ogni vita è importante e unica.

“Lottare e soffrire, questo vuol dire vivere”. Da vedere. Assolutamente.