«Io non sono il cattivo... sono la vittima!»

Sarà capitato a tutti di pensare di volersi vendicare per un torto subito, o ancora, ci sarà capitato di sentire delle storie lontane da noi ma per i cui protagonisti abbiamo pensato "Se lo lasciassero nelle mie mani, gli farei vedere io."; ma se davvero così fosse, all'atto pratico, saremmo in grado di perpetrare le nostra vendetta? Saremmo capaci di "farla pagare come merita" al colpevole in questione? Perdere la nostra umanità, diventare carnefici, macchiarci di un crimine per vendetta o giustizia, è davvero un passo così semplice da compiere?
 
 
Aito Eyama è un liceale giornalmente vittima di bullismo. Un giorno gli viene recapitata una strana lettera che lo invita a partecipare al "gioco della prigionia": potrà scegliere una persona da tenere in prigionia per un mese, e potrebbe anche vincere una grossa somma di denaro. La scelta di Aito ricade su Aya Kirishima, leader dei bulli. L'unica regola del gioco è di non uccidere la persona imprigionata, tutto il resto è concesso. Inizia così la vendetta del ragazzo.

Di storie sul bullismo e sulla vendetta ne è pieno il Giappone, diversi titoli a tema sono stati pubblicati anche in Italia (Revenge Classroom, Kasane, Misumisu ecc), e altrettante sono le storie che invitano i personaggi a partecipare a un "gioco", spesso poco ortodosso e pericoloso per se stessi e per gli altri.
Nel caso di Prison Experiment, il protagonista è Aito, un liceale che subisce del pesante bullismo da parte di alcuni compagni guidati dalla studentessa modello Aya Kirishima. Si tratta della classica situazione in cui la ragazza perfetta sfoga pressioni e stress su chi è debole e indifeso.
Quando riceve l'invito al gioco della prigionia, Aito esita ad accettare, ma la sua realtà è ormai fin troppo pregna della crudeltà subita giornalmente e neanche nel sonno riesce a trovare pace. Lasciatosi quindi coinvolgere il ragazzo si trova effettivamente Aya davanti agli occhi, imprigionata e chiusa in una cella buia. Se è vero che inizialmente è titubante, la sfrontatezza che la giovane conserva anche in una situazione simile, e l'incontro con altri partecipanti, spingono Aito a immergersi nel gioco in maniera sempre più profonda. Se la propria vita è ormai rovinata, perché non provare a rinascere? La rinascita per Aito passa attraverso la tortura e la vendetta verso Aya, ma non tutte le regole del gioco sono chiare e le cose potrebbero essere più complicate di quel che sembrano.
 

Nato dalla matita di Chiho Minase e dalla sceneggiatura di Kantetsu (La ragazza bruciata), il primo volume di Prison Experiment si sofferma sull'inevitabile parabola discendente di un ragazzo vittima di abusi, che trovando improvvisamente tra le sue mani il modo per vendicarsi, si lascia travolgere dal fascino di un male quasi privo di regole. Abbiamo conosciuto tre carcerieri, le loro vittime e i rispettivi "tutor", persone che assistono i carcerieri ma che del gioco sembrano sapere poco anch'esse. Nonostante infatti vengano inizialmente esplicate delle regole, altre si scoprono poco a poco, facendo capire che dietro un semplice gioco di torture potrebbe nascondersi molto altro. Ad esempio, perché la vittima del carceriere viene chiamata "Partner" e non semplicemente prigioniero? Insomma, il gioco potrebbe essere più complesso di come è stato presentato ai partecipanti, ed è questo a instillare la curiosità nel lettore.

Viene citato nel volume il famoso "Esperimento carcerario di Stanford", di cui avrete sentito parlare o avrete visto qualcuna delle sue incarnazioni cinematografiche: in poche parole si tratta di un esperimento condotto dal professor Philip Zimbardo dell'Università di Stanford, nel 1971. I volontari partecipanti vennero divisi in due gruppi, guardie e prigionieri, in un ambiente che riproduceva un vero e proprio carcere. L'idea nasce dalla teoria secondo la quale i membri di un gruppo tendono a rafforzare i propri ideali fino ad arrivare a mettere in atto comportamenti antisociali. Purtroppo, dopo solo qualche giorno si manifestarono i primi episodi di violenza con conseguenze drammatiche soprattutto sui prigionieri. L'esperimento venne interrotto dopo soli sei giorni. Zimbardo postulò quindi l'esistenza del cosiddetto "Effetto Lucifero", secondo il quale l'aggressività è influenzata dal contesto.

Il manga stesso comunque precisa che il gioco della prigionia non ha molto a che vedere con l'esperimento di Stanford ma che potrebbe essere qualcosa di molto più insensato e crudele. La sostanza però sembra essere simile: chi ha il potere lo usa, anzi, ne abusa, soprattutto se si sente in diritto di vendicare un torto o un'ingiustizia subita.
Per quanto il tema della vendetta e del gioco mortale non sia nulla di nuovo, il volume si rende interessante grazie alle caratteristiche dei partecipanti, tutti molto diversi tra loro per motivazioni, obiettivi e comportamenti. La lettura scorre bene ma si tratta comunque di un manga consigliato a chi è in grado di reggere scene di violenza molto esplicita
 
 
Il tratto morbido dell'autore, che sa farsi sporco e graffiante, ci accompagna lungo il primo volume di Prison Experiment, che si presenta in maniera interessante, mostrando un'umanità piuttosto variegata che agisce in modi molto diversi dinnanzi alla prigionia, ma anche e soprattutto davanti alla presa di consapevolezza di un potere senza limiti. Il titolo stesso parla di un esperimento, quindi sarà interessante scoprire che tipo di esperimento sia e chi ne sta a capo.
Concluso in patria con 10 volumi, Goen propone il manga, con sovraccoperta, in formato 15x21, il che fa lievitare il prezzo a un non economicissimo 7.50 €.
La storia potrebbe proseguire in maniera interessante così come scivolare nella banalità, ciò che spero di non vedere mai è l'instaurarsi di una storia d'amore tra vittima e carnefice, ma se avete voglia di un manga tosto, che metta alla prova il vostro stomaco, e che vi faccia scivolare nei meandri più perversi dell'animo umano, provare il primo volume di Prison Experiment potrebbe essere una buona scelta.