Tokyo Revengers è uno di quei classici titoli che fanno parlare di sé a prescindere, specie in questi ultimi tempi in cui lo shonen, in tutto lo splendore delle sue variabili e in barba a chi lo vorrebbe rinchiuso nella sempiterna parodia del battle, sta sfornando titoli mainstream di grande successo con assidua frequenza.

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Il manga, scritto e disegnato da Ken Wakui, è arrivato all’inizio di quest’anno con le premesse di essere il nuovo titolo di punta (pubblicato da noi per l’editore J-POP), ed era quindi piuttosto naturale che la sua trasposizione animata fosse messa tra gli assoluti “must see” dell’anno. Non lo nego, la fine di Jujutsu Kaisen mi aveva lasciato orfano di un titolo di mero intrattenimento e avevo riposto davvero molte speranze su questa nuova serie, arrivata in simulcast su Crunchyroll ad aprile per poi terminare a settembre.

Tokyo Revengers narra la storia di Takemichi, un disoccupato di 26 anni la cui unica ragazza, avuta alle scuole medie, è morta recentemente. In seguito ad un incidente, lo stesso Takemichi si ritrova all'improvviso ai tempi delle scuole medie; il ragazzo si ripromette così di cambiare il futuro e di salvare la giovane. Per fare ciò, punta ad arrivare in cima alla gang di delinquenti più brutale della regione del Kanto.

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A leggere la trama, pur nella sua essenzialità, c’era di che sfregarsi le mani. Temi sovrannaturali alla Erased uniti a turbolenti scontri tra gang. Se a tutto ciò uniamo il fatto che il lettore medio del manga continuava a dichiararsi soddisfatto, le aspettative erano davvero alte per una visione di grande soddisfazione. Detto questo, a quasi due mesi dalla fine della prima stagione, posso ritenermi davvero appagato da questa visione? Dovrei dire: purtroppo no, o almeno non del tutto.

A livello di adattamento nulla da dire, è profondamente ancorato alla trama della sua controparte cartacea: ho verificato tutte le scene e i momenti principali, pur non leggendo il manga. Fedeltà totale e nessuna “strada alternativa” che di questi tempi, come insegna la seconda stagione animata di The Promised Neverland, può trasformarsi in una bella palude ove affondare. A questo aggiungiamoci un comparto musicale degno di nota, con una ost capace di dettare i vari tempi della narrazione (fondamentale per un titolo del genere) grazie all’abile lavoro di Hiroaki Tsutsumi, che già mi aveva fatto vibrare di piacere i padiglioni auricolari con i suoi precedenti lavori (Children of the Whales, Dr. Stone e Jujutsu Kaisen). Le sigle poi sono un ulteriore valore aggiunto, molto belle e già hit nelle classifiche dei karaoke giapponesi.
Nonostante tutti questi aspetti positivi, la serie però, come dicevo, non mi ha convinto del tutto. Come mai?

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Fin da subito ci si rende conto di provare un leggero disturbo che aumenta pian piano, proseguendo con la visione del primo episodio e poi con quello seguente: il chara design è totalmente inadatto a un titolo fondamentalmente drammatico, con uno stile da commedia o comunque eccessivamente “alla Pokémon” rispetto allo stile realistico del manga. Non è solo questo però il peccato con cui mi sento di condannare Linden Film per questo adattamento: c’è infatti anche l'abbondanza di animazioni fisse nelle scene d'azione e nei primi piani, cosa che rende questo adattamento non all’altezza della risonanza con cui la serie è arrivata da noi.

Si parte ogni volta alla grande con canzoni come Crybaby, che rende perfettamente le emozioni del protagonista, la sua disperazione ma anche un senso di redenzione e determinazione grazie all'associazione batteria/chitarra e pianoforte sullo sfondo.
Poi però quanto di buono ci lascia la sigla, si disperde con la visione dell’aspetto “pupazzoso” del protagonista e con le scene statiche nei momenti clou che lasciano con l’amaro in bocca e la voglia di trasferirsi su cartaceo.

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Ciò che fa pendere l’ago della bilancia sul proseguire o meno la serie è, inutile a dirsi, la capacità di empatizzare ma anche e soprattutto di farsi piacere il personaggio principale. Mai come in questo anime, il protagonista ha assunto un'importanza fondamentale, dato che ogni risvolto della storia è visto attraverso gli occhi di Takemichi, che di suo incarna, molto più di Deku di My Hero Academia, il tipico antieroe. Da adulto non è nient'altro che il classico perdente pieno di rimpianti. Un ragazzo debole che piange per tutto, senza nulla di speciale. Tornando indietro nel tempo invece, lo vediamo cambiare la sua storia e anche leggermente migliorare con un'inaspettata forza di volontà che lo portano ad essere benvoluto anche all’interno di una gang fatta di veri duri come la Toman (a proposito, ma sono ragazzini delle medie questi?).
Ma sono convinto che il suo essere sempre mortalmente debole e piagnucolone non sarà piaciuto a tanti, a me sicuramente no.

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Peccato, perché vorrei tifare per lui, ma la storia d’amore, che lo spinge a fare di tutto, ed i suoi continui “facepalm” (a quel punto anche miei) che arrivano puntuali in ogni momento clou della serie... No. Non ce la posso fare...
A questo poi aggiungiamoci diverse forzature sui viaggi nel tempo che si vanno a sommare ad altre piuttosto classiche da shonen come la quasi invulnerabilità di alcuni personaggi: anche se a queste cose ci siamo abituati ormai da anni in moltissimi titoli, il senso di wonder generale va a disperdersi.
Cosa mi ha fatto continuare la visione? Il fatto che a parte il protagonista, ho trovato gli altri personaggi davvero interessanti e divertenti e il villain, anche se sgamatissimo, mi incuriosisce abbastanza da voler vedere come andrà a finire.
Questi difetti però non hanno inciso su quello che era il compito principale di questo anime. Le copie stampate sono passate da 8.5 milioni (fine marzo 2021) a 14.5 milioni (fine aprile 2021) grazie alla trasposizione animata, portando questo titolo ad essere uno dei più chiacchierati a livello non solo giapponese ma mondiale.

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Tokyo Revengers insomma ci mette di fronte ad un’opera che sicuramente non è un capolavoro, zeppa com'è di difetti, ma che, pur tra alti e bassi, riesce a farsi guardare. Va presa per quello che è, come è giusto a mio avviso quando ci si approccia a questi prodotti, una serie di mero intrattenimento. Non fatevi irretire da temi che sembrano adulti, siamo di fronte a uno shonen classico di questi anni, nella piena accezione del termine, e come tale va goduto. Come il suo protagonista!