Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

-

“Scrivendo, si riesce ad esprimere ciò che generalmente non si riesce a dire”.
Violet è tornata. Brilla di luce propria e risplende di luce riflessa grazie a nuovi personaggi costruiti ad arte, e il tutto luccica come un gioiello lucidato impeccabilmente.

Nonostante tutti i fan dell’affascinante, dolce biondina dal cuore di smeraldo liquido siano in trepidante e sofferente attesa (di sapere chi si celi al di là della porta aperta nell’ultimo episodio della serie regolare), ora è finalmente possibile accomodarsi e assaporare “Eternity and the Auto Memory Doll”, un prezioso lungometraggio di circa un’ora e mezza che ci catapulterà nuovamente nel realistico, sofferto, caleidoscopico mondo post-bellico dove la nostra amata Violet continua a lavorare nelle vesti merlettate e prebarocche di memory doll, esattamente come l’avevamo lasciata.
Tuttavia, questa volta le cose si complicheranno, e, inaspettatamente, si vedrà costretta ad un’eccezione. Le sarà assegnato un compito ben più complesso: dovrà recarsi in un particolare collegio esclusivamente femminile che ospita giovani altolocate in procinto di debuttare nell’alta società, con il compito di fare da tutrice e insegnante di galateo alla vera protagonista di questo film, una ragazza di nome Isabella, giovane dall’aspetto apparentemente sciatto, schiva e insofferente. Costei, erede di una rinomata casata nobiliare, quando giungerà il momento, dovrà farsi trovare preparata per la vita d’alta borghesia, nonostante non sopporti affatto quel genere di ambiente, e veda il collegio che la ospita come una sorta di prigione autoinflitta a causa di un previo accordo col padre. Sarà quindi l’arrivo di Violet a dipingere di toni accesi le sue grigie giornate, incatenata ad un passato difficile da dimenticare e affacciata ad una vita futura prossima, che, in realtà, non desidera principiare.

Dopo la terribile tragedia occorsa alla Kyoto Animation, poter ammirare nuovamente animazioni di un livello così sublime e prezioso è quantomeno toccante. Prodotti di una qualità simile si possono davvero contare sulle dita di una mano.
Nonostante alcuni degli artisti che hanno contribuito a plasmare l’universo di “Violet Evergarden” oggi non siano più fra noi, virtuosismi estetico-emozionali come questa side story sono il miglior lascito che avrebbero potuto donare ai posteri, e per questo, innanzi tutto, in quanto fan del loro operato, non posso che ringraziarli dal più profondo del cuore.

Sebbene nella sua totalità emani vibrazioni leggermente meno drammatiche e più tranquille della serie ad episodi, “Eternity and the Auto Memory Doll” ci permette di entrare nella vicenda con una sentita accuratezza, tratteggiando in punta di piedi i particolari che fanno da cornice all’incontro fra Isabella e Violet. Il ritmo è dapprima compassato, per poi aumentare d’intensità, aprire uno squarcio nel passato dei personaggi, andare a pescare importanti informazioni tramite significativi flashback, e capitolare l’arco narrativo con un finale intenso e davvero palpitante, assolutamente degno del titolo che il prodotto porta.
Tale ritmo volutamente altalenante permette di empatizzare coi personaggi, e nel contempo lasciarsi trasportare dagli avvenimenti in maniera fluida e spontanea. Il primo impatto che si assapora è amore artistico allo stato puro: la cura dei particolari è addirittura superiore alla serie precedente. Gli scorci anatomici, le prospettive, gli sguardi, le reazioni immediate, le inquadrature a campo largo, i fondali, ogni elemento è sconcertantemente bello e vale la visione, dall’inizio alla fine. Quando poi cominciano a sollevarsi le prime, famose note di una colonna sonora che in molti ormai abbiamo imparato a conoscere, diventa arduo non provare un tuffo al cuore, tanto da poter percepire definitivamente di aver ritrovato quel mondo da cui ci eravamo separati attraverso lacrime, sorrisi, sofferenza e speranze.
L’eccelsa qualità visiva non è comunque fine a sé stessa: un livello artistico così elevato contribuisce ad arricchire l’emotività del racconto, accompagnando e accentuando l’intensità delle scene chiave. Espressioni, movimenti, posture, gesti, ogni minimo dettaglio è curato in modo realistico e maniacale.
Se anatomicamente è principalmente un inno alla grazia del corpo femminile, dal punto di vista spirituale ed emozionale sicuramente non sfigura: in questa vicenda, Violet apprenderà un’altra sfaccettatura del significato della parola “amicizia”, assimilando questo insegnamento proprio dalla ragazza a cui dovrà badare. Isabella, giovane ribelle che detesta l’ipocrisia e il galateo che si confà a quelle del suo rango, grazie alla gentilezza e all’innata regalità di Violet, accetterà pian piano di imparare regole che ritiene assurde e insopportabili, ma a sua volta, spontaneamente, le donerà un altro tassello di preziosa umanità tramite un legame d’amicizia crescente, dolce e sincero. Attraverso tali situazioni scopriremo il passato della giovane rampolla, le sue speranze, i suoi rimpianti, e ciò che potrebbe relazionarla in modo più che sorprendente proprio all’azienda postale per cui lavora Violet.

Sullo sfondo di una vicenda tenera e malinconica, mai esageratamente drammatica, vedremo sorgere lentamente un’ipotetica rivoluzione industriale postbellica molto simile a quella del nostro fine Milleottocento, con il diramarsi dell’elettricità in ogni angolo delle regioni, l’improvviso sorgere di grandi torri radio per comunicare a distanza e altri particolari a cavallo fra un blando steampunk rivisitato ed elementi prettamente postmoderni, che strizzano l’occhio a un accennato dinamismo pre-novecentesco, nonostante l’ambientazione suggerisca un realismo di chiara matrice fantastica, sovente ricca di connotati surreali e anacronistici, se paragonati alla nostra storia.
L’idilliaca solidità degli ambienti, l’imperante realismo delle città e dei paesaggi illuminati dalle albe, bagnati dalle piogge e scossi dal vento, arricchiscono un affresco d’impareggiabile bellezza, il cui punto focale sarà un misterioso, inespresso e malcelato amore fra due sorelle, un vero e proprio spartiacque di emozioni che si faranno tangibili ed estremamente sentite soltanto nell’ultima parte, lasciando spazio ad una più tranquilla introspezione per i primi tre quarti del film.

L’intensità devastante della serie che ha reso Violet famosissima si può percepire allo stesso modo, tuttavia decisamente diluita, una sorta di metronomo emotivo che la centellina parsimoniosamente (forse troppo), seppur saggiamente.
La verità è che non ci si stancherebbe mai di racconti dotati d’un taglio simile. Si percepisce la netta sensazione che Violet e il suo mondo di emozioni liquide e roventi abbiano ancora tanto da raccontarci, attraverso un cuore desideroso di vivere appieno lo spettro dei sentimenti, in relazione alle persone che, durante i suoi viaggi, ella incontrerà e imparerà a conoscere.

“Scrivendo, si riesce ad esprimere ciò che generalmente non si riesce a dire”.
La ragazza più dolce e amabile che una matita possa disegnare è tornata, e in grande stile.
Se siete di lacrima facile, preparate di nuovo i fazzoletti.
In attesa, chiaramente, che ci venga svelata la persona dietro quella benedetta porta.

-

Parto col dire che non mi aspettavo nulla da questo film, e per i primissimi minuti non mi ha entusiasmato. Ho iniziato a rivalutarlo durante la prima scena drammatica, quando viene richiesto a Jeanne di sottostare allo jus primae noctis: la scena mi ha folgorato per le scelte stilistiche e grafiche, per il modo in cui coinvolge lo spettatore attraverso giochi di colore e movimenti rapidi.

Man mano che il film andava avanti, è stato un crescendo, di cui ho apprezzato particolarmente il comparto grafico, riconoscendo alcuni stili pittorici di cui poi ho voluto approfondire l'uso. L'immagine va dall'acquerello alla pittura a rullo, in uso in Giappone in tempi antichi, con continui riferimenti all'astrattismo basato sui cromatismi di colore che penso diano un clima suggestivo al film. Ho adorato la “sporcizia” di alcuni frame in cui era palese l'imperfezione dei disegni, cosa che metteva in risalto il passaggio da una tavola all'altra e, per un appassionato di animazione come me, è stato entusiasmante vedere questo difetto/dettaglio/pregio.

Dal punto di vista sonoro: sul doppiaggio c'è poco da dire, ha la sua età e le sue pecche, ma tutto sommato si attesta su buoni livelli e non disturba, anche il mixaggio sonoro è invecchiato male e sono presenti degli acuti improvvisi che, pur essendo ben accostati alle tavole messe in scena, possono risultare fastidiosi. Ciò che ho davvero apprezzato sono le musiche e il montaggio sonoro. La scena della marcia verso il rogo, i personaggi appena delineati su sfondo completamente bianco e il suono cadenzato dei passi mi ha colpito! Penso che il disegno ridotto al minimo indispensabile non avrebbe reso il dramma della scena senza un accompagnamento sonoro altrettanto essenziale ma incisivo, colpendo profondamente lo spettatore che viene trascinato nel pathos del momento. Il risultato è una colonna sonora che spazia da tonalità alte ad altre molto basse, che definirei ambiziosa e bizzarra.

Riguardo il tema del film: lo sfruttamento della figura femminile nel Medioevo è un argomento ancora oggi molto attuale. “Kanashimi no Belladonna” si propone come un'allegoria - ripresa dal romanzo originale - per cui l'eros è visto come tabù, ma al tempo stesso è un'affermazione di libertà e giustizia per la protagonista. L'oppressore è tanto Satana, quanto il conte che pretende di usarle violenza, il dolore che quest'ultimo le ha provocato anima la sua rivolta. Penso sia emblematica la scena dell'orgia diabolica, è goliardica, eccessiva, ma l'avrei evitata? Sinceramente no. Apprezzo il coraggio di inserirla, soprattutto se penso agli anni in cui il film è stato prodotto e poi distribuito. La scelta quindi diventa un azzardo negli anni '70, ritrovandosi di fronte alla probabilità di essere rifiutato dal pubblico generalista, ma apprezzato dalla nicchia eclettica che diede poi avvio alla ribellione sociale.

In conclusione, ciò che ho davvero adorato di questo film sono la colonna sonora e la grafica: appena finito, gli avrei dato 9 e mezzo, ma riconosco abbia delle pecche impossibili da non considerare. Purtroppo il film eccede: la narrazione non procede in maniera omogenea, passando dalla lentezza di alcune scene, all'eccessiva velocità ed eccentricità di altre. L'eros non è solo una figura allegorica, ma finisce quasi per svilire il messaggio che il film vorrebbe fornire, con esplosioni falliche e sesso-centriche a tratti ridicole e ripetitive. Nonostante l'intenzione di dedicare il film d'animazione ad un pubblico adulto, penso abbiano reso indigesta la visione anche allo spettatore meglio predisposto.
Veniamo alle battute finali: riconosco che stilisticamente il film contenga degli elementi di altissimo livello, ma che avrebbe dovuto evitare alcune pesantezze, per questo motivo il mio voto finale si assesta su 8 e mezzo.

-

Sarò franco fin dall’inizio, “Natsu e no Tobira” è un film dimenticabile nella riuscita, apprezzabile per le intenzioni, da vedere per l’aspetto pionieristico, visto che è l’adattamento di uno dei primi manga shoujo che introduceva, seppur timidamente, la tematica dell’amore omosessuale tra ragazzi; cionondimeno, questa tutto sommato lodevole caratteristica lo potrà differenziare dalla massa di opere di genere dell’epoca, ma non può nascondere il fatto che mi sia sembrato un melodramma forzato e farsesco dalla scarsa presa emotiva, per tutti i motivi che andrò poi ad elencare.

Nel frattempo, mi pare cosa buona e giusta dare un’idea di cosa sto parlando: “Natsu e no Tobira” (lett. “La porta verso l’estate”) è un anime ambientato nella Francia di fine ‘800 e, più precisamente, in un collegio di campagna dove si approssimano le vacanze estive; qui, tra la felicità degli studenti, spicca l’apatia dei quattro personaggi principali, amici a cui piace atteggiarsi a filosofi razionali apparentemente disinteressati alle vicende della vita quotidiana, capeggiati dal protagonista assoluto della storia, il bel Marion, ragazzo freddo e calcolatore che sembra rifuggire qualsiasi legame umano o appiglio emotivo che lo smuova dalla sua ideale posizione razionale e felice. Il caso però lo metterà in contatto con Sara Vieda, signora di classe pienamente consapevole del suo fascino e molto disinibita, che lo attirerà a sé, finendo per iniziarlo ai piaceri del sesso e dell’amore reciproco, causando un grande cambiamento psicologico ed emotivo nel ragazzo. Questo cambiamento purtroppo non influirà solo su di lui ma anche nelle dinamiche del suo gruppo, formato dagli amici Claude, Jack e Lind, cui si unirà la bella Ledania, ragazza innamorata di Marion ma contesa anche dal gruppo sopracitato.

Come si può intuire, gli ingredienti per un bel dramma romantico ci sarebbero tutti, dall’inquietudine adolescenziale alla scoperta di sé stessi, passando per tradimenti, sotterfugi, inganni, coincidenze e casualità, il prontuario completo; peccato che “Natsu e no Tobira” sciorini tutto questo ben di Dio in poco più di mezz’ora, caratterizzando i suoi personaggi con l’accetta e impedendo a chi guarda di empatizzare davvero con loro. L’esempio più eclatante di tutto questo probabilmente è la figura di Ledania, tanto centrale nelle vicende della storia quanto impalpabile come personaggio. Ledania infatti è semplicemente bella, stop, è una ragazza angelica, innamorata di Marion e che attira le attenzioni di, praticamente, ogni altro coetaneo maschile, ma non fa niente né per inseguire il suo sentimento né per scoraggiare quello degli altri, è semplice spettatrice degli eventi in preda alle sue frustrazioni e ai suoi dolori, che tali resteranno. Non sarà un caso che impallidisca nei confronti dell’altro personaggio femminile principale della storia, l’unico davvero riuscito per me, quella Sara che è una via di mezzo tra femme fatale, sogno erotico e donna dalla mentalità aperta, capace di districarsi in una società che deplora ogni sua azione, tanto in un rapporto con un giovane ragazzo quanto col suo signore, al quale non riserva altro che la verità, venendo ripagata da un’invidiabile fiducia e amore reciproco. Ed è sempre legata a lei la scena più coinvolgente, e in parte disturbante, della storia, quell’amplesso voluto fortemente, anche imposto in alcuni momenti all’altra parte, ma che di fatto rappresenta la svolta emotiva e la presa di coscienza sulla natura umana e sui piaceri che può dare, non solo dal punto di vista fisico, poter amare fortemente un’altra persona. Certo, parliamoci chiaro, la cosa poteva svilupparsi anche in modo diverso e decisamente negativo, ma il film prende una sua strada e io mi concentro su quella, senza considerare potenziali ‘what if’. Di fronte a cotanta dimostrazione di desiderio, attaccamento e voluttà, le misere beghe vissute dagli altri personaggi, dall’algida Ledania al tormentato Claude (lui segretamente innamorato di Marion), passando per il sincero Jack e il torbido Lind, non possono che passare nettamente in secondo piano, nonostante di fatto siano le tappe principali di questo dramma artefatto di cui alla fine si finisce per ricordare un’unica figura e un unico evento degno di nota.

Ma almeno dal punto di vista tecnico com’è questo “Natsu e no Tobira”? Beh, devo dire che da questo lato almeno ho un giudizio più lusinghiero; nei limiti della produzione e del tempo, in fondo questo è un film che ha già più di quarant’anni, “Natsu e no Tobira” è una produzione gradevole col suo fascino retrò, pur soffrendo alcuni difetti ‘sistemici’ derivanti dalla sua fonte di provenienza, e cioè lo shoujo manga classico coi suoi personaggi magri, molto longilinei e dagli occhi estremamente grandi, che personalmente non apprezzo in modo particolare. C’è da dire però che, rispetto al manga originale in un singolo volume del 1975 di Keiko Takemiya, il character designer Kazuo Tomizawa fa un ottimo lavoro di pulizia e arricchimento nel design dei personaggi che li rende, quantomeno, affascinanti il giusto da restare impressi in chi guarda. Molto apprezzabili le ambientazioni e l’opera del regista Masaki Mori, nonostante il film presenti poche animazioni e tante scene statiche, che con un bel lavoro di inquadrature e cambi di scena restituisce pienamente la sensazione di movimento. Il vero fiore all’occhiello della produzione, forse, è però la colonna sonora di Kentarō Haneda, con melodie dolenti che mi hanno restituito pienamente ambientazioni da soap opera degli anni ’80, mentre ho trovato passabile senza particolari guizzi il doppiaggio giapponese, unico visionabile in questo caso, visto che il film è ufficialmente ancora inedito in Italia e, con tutta probabilità, lo resterà pure.

Lo resterà perché fuori tempo massimo, certo, ma anche perché, al di fuori della cerchia di appassionati di genere, “Natsu e no Tobira” non è un film in grado di colpire il grande pubblico, soprattutto oggi che i suoi temi sono stati presi, usati e abusati in tante salse; come dicevo all’inizio, non ho solo opinioni negative su questo mediometraggio, e continuo a pensare che con tempi e modi diversi avrebbe potuto comunque fornire un’esperienza differente e più appagante allo spettatore, ma nei fatti ha scelto la strada opposta, e così farò io nel caso, in futuro, si riproponesse l’occasione di guardarlo ancora, senza rancori ma senza rimpianti, Sara Vieda esclusa; hic Mirokusama scripsit, XXII Februarius MMXXII.