Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
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Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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In quale misura, secondo noi essere umani, il passato è in grado di influenzare il presente e la persona che siamo? Ma, soprattutto, che peso ha su di noi un passato vissuto alla costante ombra dell’infelicità? La risposta a questa domanda ci viene fornita dalla visione di “3-Gatsu no Lion”, l’anime tratto dall’omonimo manga seinen, mandato in onda tra il 2016 e il 2017. L’opera, dall’impronta fortemente drammatica, si presenta a noi spettatori come la metafora di una lenta ma costante crescita personale, di cui si fa protagonista Kiriyama Rei, un adolescente diventato professionista di shogi già alle medie, e per questo considerando da tutti come la futura stella di questo sport. Rei è un ragazzo dal passato difficile; dopo aver perso i genitori e la sorellina in seguito a un incidente stradale in cui lui non fu coinvolto, venne adottato dalla famiglia di Masachika Koda, ex amico e rivale del padre. L’adattamento a un nuovo contesto è ovviamente difficile, ma grazie allo shogi Rei riesce a dare al nuovo padre grandi soddisfazioni, provocando però il disprezzo da parte dei due fratellastri, Kyoko, la sorella più grande, e Ayumu, suo coetaneo. Questa situazione porta inevitabilmente a numerosi scontri all’interno del focolare domestico, in particolar modo tra Kyoko e il padre; scontri di cui Rei si sente la causa principale. Per questo motivo, una volta entrato nel mondo dello shogi professionistico, che garantisce una certa sicurezza economica, il ragazzo va a vivere da solo nel Rione Giugno. Ed è da questi assunti di partenza che inizia la storia e il cammino di miglioramento del nostro protagonista.

Il passato così turbolento e triste di Rei lo ha portato a diventare un ragazzo apatico, a tratti depresso e chiuso nel suo guscio, in cui si sente al sicuro e da cui non vuole uscire. Difatti passa le giornate segregato in casa a studiare nuove strategie e ad allenarsi per le prossime partite di shogi. Eppure, il destino, che ha sempre qualcosa in serbo per noi, non lo ha ancora abbandonato e gli lancia quella che probabilmente è la sua ultima ancora di salvezza, ovvero l’incontro con le sorelle Kawamoto. Le ragazze vivono nel Rione Marzo insieme al nonno, e conducono una vita apparentemente semplice e felice, eppure sono afflitte da spettri che le tormentano, dettati da un passato triste, segnato dalla morte della madre e dall’abbandono del padre. La sorella maggiore, Akari, è chiamata a svolgere il ruolo di madre, al quale adempie con grande dedizione nonostante la ancora giovane età; Hina, che va ancora alle medie, è una ragazza solare ma insicura e che forse più delle altre due risente della mancanza di una figura materna vera e propria; e infine Momo, la più piccola delle tre che va ancora all’asilo e che, proprio per questo, non si preoccupa di come va il mondo e racchiude in sé tutta l’allegria e la solarità tipiche delle bambine della sua età. Sarà proprio l’incontro con questa famigliola allegra a cambiare la vita di Rei. Le tre ragazze diventano per lui il suo nuovo porto sicuro, dove rifugiarsi nei momenti critici. Un porto sicuro in cui Rei non si sente né giudicato né a disagio e dove riscopre il concetto di ‘bene’. Saranno proprio le tre sorelle, insieme all’amico-rivale Nikaidou Harunobu, i colleghi shogisti Kai Shimada e Tatsuyuki Misumi e l’insegnante di scuola Takashi Hayashida, ad accompagnarlo nel suo lungo e tortuoso cammino alla cui fine c’è una luce accecante. Però, almeno questa volta sarà in buona compagnia.

Trattando il tema della crescita interiore, l’opera risulta essere lenta, ma non per questo noiosa, accompagnata da scene talvolta molto drammatiche e ricche di pathos in grado di lasciare lo spettatore incollato allo schermo, che si alternano a momenti, seppur poco numerosi, di pura gioia, quando sono presenti le tre sorelle. Altrettanto lente, e in questo caso anche di difficile comprensione, possono risultare le scene in cui ci si dedica allo shogi, questo sport tipicamente giapponese, che presenta somiglianze al gioco degli scacchi occidentale. Nonostante ciò, anche le partite, dall’esito sempre incerto, si lasciano seguire con grande attenzione e curiosità da chi di questo sport ne sa veramente poco come me.

Nel complesso, “3-Gatsu no Lion” risulta essere un’opera pregevole, che meglio di tante altre riesce ad affrontare certe tematiche, senza però mai annoiare. A fare da grande punto di forza c’è sicuramente il comparto musicale eccellente, con le opening e le ending che riescono a rimanere impresse nella mente, così come le scene che le accompagnano. Personalmente, la mia preferenza va alla seconda opening “Fighter”, che mostra in sequenza tutti i personaggi che nell’opera hanno una certa rilevanza. Infine, ho molto apprezzato il character design alquanto particolare e inusuale di Nobuhiro Sugiyama, che riesce nettamente a distinguersi rispetto a tutti quelli che si trovano in giro.

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Giudicare l’opera di un autore che si conosce, e si apprezza, è sempre un’operazione delicata, soprattutto quando la produzione di quest’ultimo aumenta col tempo: è giusto sperare che riproponga temi a lui cari, nei quali si rispecchiano probabilmente meglio le sue caratteristiche, o è preferibile apprezzare che rischi, affrontando territori sconosciuti il cui esito finale è incerto? Grosso modo io tendo a preferire la seconda opzione: mi piace un autore, sia esso un regista, uno scrittore, un mangaka, che sa andare oltre la sua zona di comfort e provare a offrire qualcosa di inatteso al suo pubblico, provando anche, perché no, ad attirarne altro; la caratteristica che ho amato di più della buonanima di Satoshi Kon, per esempio, di cui quest’anno ricorrerà il decimo anniversario della mai troppo rimpianta scomparsa, è aver diretto quattro lungometraggi splendidi tutti diversi uno dall’altro, centrando sempre l’obiettivo che si prefiggeva. Non so se Masaaki Yuasa stia provando a seguire un percorso simile, ma questo film, “Ride Your Wave”, mi trasmette questa sensazione soprattutto guardando la sua più recente, e frenetica, produzione, che negli ultimi due anni l’ha visto alle prese con la regia di tre film diversi tra loro per temi, personaggi e situazioni trattate, partendo dal magnifico e visionario "Yoru wa Mijikashi Arukeyo Otome", forse l’emblema più puro del suo lavoro, passando per il più semplice "Lu e la città delle Sirene", fino ad arrivare a quest’ultima fatica, "Ride Your Wave" appunto, probabilmente il film più 'normale' e vicino al grande pubblico da lui diretto sinora.

"Ride Your Wave ", titolo internazionale dell’originale "Kimi to, Nami ni Noretara" (lett. “Se cavalchi le onde”), è la storia di Hinako e Minato e della loro sfortunata relazione; Hinako Mukaimizu è una studentessa universitaria che si è appena trasferita nella città costiera in cui abitava da bambina, per frequentare l’università e dedicarsi al surf, sua passione principale, mentre Minato Hinageshi è un giovane vigile del fuoco al lavoro nella stessa città. I destini dei due si incrociano quando Hinako resta bloccata, a causa di un incendio, sul tetto del suo appartamento e viene salvata quindi proprio da Minato, occasione questa che rappresenta il pretesto per conoscersi e, in seguito, innamorarsi. Ma la storia d’amore che ne nasce tra i due purtroppo è destinata a interrompersi presto, quando Minato, nel tentativo di salvare una persona che rischiava di annegare, resta vittima a sua volta della situazione, morendo improvvisamente. Nella disperazione che ne segue, però, Hinako scopre casualmente che, cantando la canzone che entrambi amavano e che li ha aiutati a rompere il ghiaccio nelle prime fasi del loro rapporto, Minato ricompare misteriosamente nell’acqua, dandole l’illusione così di poter continuare quella relazione che tanto l’aveva coinvolta...

Già nel suo incipit si può intuire che questo voglia essere un film abbastanza impegnativo, ma, nel momento in cui lo si guarda, si capisce anche come non voglia soffermarsi su un unico genere o su un argomento particolare, ma abbracciarne diversi. Il tema principale è sicuramente l’elaborazione del lutto, gran parte della pellicola si snoda dal momento successivo alla tragedia che ha travolto inaspettatamente Hinako nel periodo più felice della sua giovane esistenza ed è incentrata sui tentativi di lei di tenere viva una relazione diventata impossibile, grazie al misterioso fenomeno che le permette di comunicare nuovamente col suo Minato; comunicare con una persona e poterla frequentare effettivamente però sono due concetti diversi, e Hinako lo imparerà a sue spese grazie a quella che diventerà, dalla benedizione che sembrava, una fonte di sofferenza per i due ragazzi, entrambi incapaci di andare oltre quella felicità che la reciproca frequentazione portava nelle loro vite, nonostante la situazione attuale lo richieda inevitabilmente. Il tono del film però è complessivamente più leggero di quanto questa descrizione possa far intendere: "Ride Your Wave " è un’opera che attraversa fasi diverse, comincia come un racconto romantico da manuale, finanche troppo sdolcinato in alcune fasi, e non sfocia mai in un dramma esagerato, anche se la situazione potrebbe far pensare il contrario; sono diversi i tocchi comici disseminati nel suo sentiero che smorzano quest’atmosfera da tragedia imminente che si vive il più delle volte, e alcuni espedienti, come Minato fatto rivivere come spirito nell’acqua che riempie un pallone gonfiabile, risultano sinceramente divertenti e capaci di regalare allo spettatore l’apparenza che questa storia d’amore improbabile possa tuttavia continuare a durare. In quest’ottica l’apporto degli ottimi personaggi secondari, riconducibili praticamente ai soli Yoko Hinageshi, sorella minore del protagonista mai entrata troppo in confidenza con la nuova fidanzata del fratello, e a Wasabi Kamamura, collega vigile del fuoco di Minato inizialmente innamorato anche lui di Hinako, risulta molto riuscito sia nella componente comica data dai caratteri opposti dei due, scontrosa e orgogliosa lei, timido e imbranato lui, sia nella componente drammatica evidenziata dai tentativi dei due di portare alla ragione Hinako, nel farle accettare definitivamente quello che le è successo e nel farle capire che è possibile trovare una nuova felicità, sicuramente diversa ma non per questo meno importante, continuando a vivere degnamente. C’è da dire però che questo florilegio di contingenze ed emozioni diverse non è per forza assimilabile a un pregio per il film; pur avendo personalmente apprezzato quest’ultimo, infatti, ho avuto la sensazione che una concentrazione maggiore verso un unico tema, fosse stato anche quello più fastidioso da gestire della pura tragedia, avrebbe potuto elevare ulteriormente la pellicola a uno status di qualità maggiore di quello raggiunto da questa buona, ma comoda e un po’ conveniente, via di mezzo. Sensazione che però scompare nella più forte ed emblematica scena finale, che non posso descrivere ovviamente, ma che, posso assicurarlo, arriva completamente inattesa come una fitta al cuore fortissima nella sua dolorosa dolcezza.

Dove c’è poco spazio per filosofeggiare è invece sul comparto tecnico, degno del buon nome del giovane, ma collaudato, studio Science Saru, nonostante anche questo abbia subito un deciso ‘smussamento’ nei toni rispetto alle opere classiche di Yuasa. Anche qui infatti ritroviamo il tratto leggero, semplice e poco definito che caratterizza i personaggi, colori molto leggeri, animazioni fluide e scorrevoli buone in ogni occasione e capaci di esaltare al meglio i momenti più concitati del film, ma non si raggiungono mai gli eccessi, chiaramente voluti, del passato, restando in un limbo capace di rendere quest’opera riconoscibile a prima vista da chi è abituato a questa cifra stilistica e, allo stesso tempo, in grado di non ‘traumatizzare’ troppo lo spettatore neofita più abituato a un’omogeneità grafica dell’animazione giapponese che qui comunque è difficile vedere. Lodi meritate quindi al buon lavoro di Takashi Kojima, che in questo lungometraggio cura sia il character design dei personaggi che la direzione delle animazioni, alla direzione artistica di Fumihisa Akai per la bellezza visiva riscontrabile in ogni aspetto del film, dalle ambientazioni, siano esse urbane o marine, ai fondali, e ovviamente alla regia di Masaaki Yuasa, capace di esaltarsi soprattutto nella spettacolare sequenza finale, che è la più coinvolgente del film dal punto di vista dell’azione pura e semplice. La colonna sonora di Michiru Oshima merita altrettanti elogi, ma, purtroppo, per certi versi è nettamente sovrastata dalla theme song del film, 'Brand New Story' dei GENERATIONS from EXILE TRIBE, una canzone pop piacevole da sentire al momento ma senza tante pretese che, a causa della notevole importanza che riveste nella trama del film (è infatti la canzone che Hinako canta per far apparire Minato dopo la sua scomparsa), viene ripetuta diverse volte lungo l’arco della pellicola, facendo anche un po’ scemare quell’effetto piacevole che se ne ricavava a un primo ascolto e rischiando di diventare perfino, in alcuni momenti, quasi fastidiosa. Dove ho qualche riserva nel giudizio di questo film è invece nel doppiaggio giapponese, soprattutto dei due protagonisti, che non mi è sembrato convincente come al solito: Ryota Katayose (Minato), qui al suo esordio come doppiatore, e Rina Kawaei (Hinako), forniscono un’interpretazione discreta ma non uniforme come qualità nella sua durata, anche se ho apprezzato particolarmente la sequenza iniziale in cui canticchiano 'Brand new story' mentre scorrono le immagini dei loro appuntamenti, un’esecuzione condita da stonature, pause e risate che mi ha trasmesso effettivamente la sensazione di una coppia che si diverte a cantare insieme al karaoke; meglio invece è andata con Honoka Matsumoto (Yoko) e Kentaro Ito (Wasabi), che hanno dato vita a due personaggi particolari, con caratterizzazioni semplici ma che vivono esperienze diverse e sono capaci di ritagliarsi una certa importanza in alcuni momenti, nonostante una presenza sullo schermo naturalmente inferiore.

Insomma, nel tirare le somme su “Ride Your Wave”, devo dire che mi ritengo generalmente soddisfatto dalla visione; già dai trailer avevo subodorato che Yuasa avrebbe esplorato territori diversi rispetto a quelli che ci si aspetterebbe da lui, ma che, allo stesso tempo, sembravano dover incontrare i miei gusti, e questo connubio inatteso si è rivelato alla fine complessivamente piacevole, nonostante non sia privo di difetti. Fortunatamente, con circa un anno di differenza dalla trasmissione originale, questo film sarà disponibile anche in Italia nel 2020 grazie al lavoro di Dynit che ne ha acquisito i diritti e lo distribuirà al cinema in collaborazione con Nexo Digital in quelle che saranno poche date, da segnare assolutamente sul calendario a questo punto, per rivivere, o scoprire, l'opera di una delle personalità più vivaci dell’animazione giapponese odierna e, magari, aprire così una nuova porta di questo universo tanto particolare e affascinante.

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'Primavera Maledetta' è un breve josei, edito da Goen, che l'autrice Asuka Konishi sviluppa ottimamente nell'arco di due volumi.
Mi ha piacevolmente sorpreso come la mangaka riesca a dipanare una storia interessante, insolita e intensa, profonda e coinvolgente, partendo da premesse che paiono tristi e angoscianti, ma che si sviluppano in una narrazione ben gestita in ogni elemento, che a tratti diventa ironica e leggera.
I due protagonisti sono finemente tratteggiati attraverso il loro vissuto privato, i sentimenti, le pressioni sociali e familiari che li coinvolgono.

Natsumi e Togo, personaggi dalle personalità quasi opposte e complementari, sono la sorella maggiore e il fidanzato della defunta Haru, morta di cancro.
Il dramma della morte, la separazione, l'elaborazione del lutto, temi importanti dell'opera, vengono affrontati dai due ragazzi in maniera sorprendentemente insolita e frizzante, ma mai banale o superficiale: tra curiosità reciproche e una sottile attrazione, oltre al bisogno di lenire il dolore della perdita, decidono di frequentarsi e uscire insieme all'insaputa delle rispettive famiglie, che in modi differenti esercitano forti pressioni e impongono aspettative altissime sui due giovani.

Togo, rampollo di una famiglia importante, da sempre abituato ad assecondare i desideri di genitori anaffettivi, senza proprie apparenti ambizioni, aveva accettato un fidanzamento combinato con la giovane Haru, solo per rispettare le invadenti, nefaste volontà materne.

Ragazzo in apparenza freddo, composto, quasi apatico, per evitare i conflitti e il peso delle scelte personali, è pronto a seguire una strada già tracciata per lui da altri, che si tratti di lavoro o relazioni affettive.
Sarà Natsumi, che lo affascina sin dal primo incontro, a sconvolgere tutte le sue certezze; la frequentazione di questa donna così diversa dalla fidanzata, lo obbligherà con dolore e passione crescente, a mettere in discussione tutta la sua vita presente e futura.
Natsumi, ragazza con un passato familiare delicato, si rivela sensibile e sofferente, matura e comprensiva, bizzarra e intelligente, capace naturalmente di essere se stessa, di mostrarsi addolorata o felice, profondamente legata e affezionata alla sorella defunta, al punto quasi da volerla seguire.

Si avverte il dramma psicologico dei personaggi, ma è stemperato dalla commedia umana, da certe espressioni buffe dei protagonisti, rese attraverso il tratto spigoloso, forse un po' rigido ma affascinante del disegno, mentre le tavole solo limpide e chiare.

L'autrice, attraverso la strana storia d'amore che si sviluppa tra Natsumi e Togo, condita con l'inevitabile senso di colpa, intreccia il passato di Haru, la sua malattia e la sua sofferenza; ci mostra il suo confronto con Natsumi, i suoi sentimenti perfino meschini verso la sorella e verso il fidanzato, ci svela i pensieri e le parole di una ragazza di diciannove anni che avverte la fine della vita, e non avrà il tempo di diventare una persona migliore.

Le sole figure secondarie sono quelle genitoriali, tratteggiate benissimo in poche tavole, hanno peso e influenza nella vita dei loro figli; in particolare, impressiona la madre di Togo, donna dura e insensibile, superficiale e interessata solo allo status sociale, incapace di vedere davvero chi ha di fronte, basa i suoi giudizi falsi su osservazioni distratte.

Il percorso di questi due giovani si snoda attraverso i due volumi, in un crescendo di sentimenti che li porterà alla consapevolezza di ciò che sentono e vogliono davvero dalla loro vita, finalmente liberi da influenze esterne e capaci di scegliere da soli.
Una serie che mi è piaciuta molto e che ha superato le mie aspettative; l'autrice sa come mettere su carta le sue idee e sa come farle funzionare al meglio, una mangaka da tenere d'occhio.

Buona l'edizione Goen, stampata su carta bianca, con sovracopertina e prime pagine a colori.
Voto 8