Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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7.0/10
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Ricordo ancora il giorno in cui mi fu consigliato, proprio su questo sito, l’anime di “Planetes”. Ero reduce da due giorni di forcing matto, durante i quali mi ero visto, tutte d’un fiato, le ventiquattro puntate di “Darling in the FRANXX”, di cui conservo un ricordo bellissimo, eccetto per il finale. Il giovane me rimase piuttosto traumatizzato dal modo in cui si concludeva la storia, bello, ma assolutamente drammatico. Probabilmente meno di quanti molti di voi si aspetterebbero, ma, se si toccano le note giuste, mi ci vuole poco a diventare una fontana ambulante. Fatto sta, che cercai conforto proprio qui sul sito e in molti mi consigliarono di iniziare subito un nuovo anime, stando al detto che, morto un papa, se ne fa un altro. I consigli che mi arrivarono non furono pochi e, tra questi, c’era proprio “Planetes”, che, a detta di molti, sarebbe riuscito ad emozionarmi quanto e più di “Darling in the FRANXX”. Acconsentii, dunque, a metterlo in lista e da quel giorno è passato quasi un anno e mezzo. Non so spiegarmi come, ma tra pigrizia mia personale e una lista di cose da vedere sempre in aumento, in concomitanza al fatto che ormai ventiquattro ore in una giornata non mi bastano più, queste sono state le tempistiche. A dire il vero, anche la trama non mi stuzzicava molto, ma alla fine ho deciso di vedere “Planetes” e a chi me lo ha consigliato voglio dire grazie, per quanto poi, per i motivi elencati di seguito, non lo rivedrei una seconda volta.

La storia è ambientata nel lontano 2075, quando per l'umanità i viaggi nello spazio non sono più un sogno, ma una realtà di tutti i giorni. I progressi tecnologici e scientifici hanno portato alla colonizzazione della Luna e alla formazione di grandi corporazioni spaziali. Ai Tanabe, una ragazza dal carattere solare e ottimista, interessata a tutto ciò che riguarda il cosmo, si unisce alla Technora Corporation come membro della Sezione Detriti, un reparto dedicato alla rimozione dei pericolosi rifiuti spaziali vaganti tra le orbite terrestri e lunari. Tuttavia, scoprirà presto che il suo lavoro è sottovalutato, e che la Sezione Detriti, scarsamente equipaggiata, e mal finanziata, è vista come lo zimbello della Technora, tanto da essere stata ribattezzata “Mezza Sezione”. Nonostante ciò, Ai non si lascia scoraggiare e prosegue sulla sua strada, facendo la conoscenza dei suoi eccentrici colleghi di lavoro: il maldestro ma bonario direttore Philippe Myers, il cabarettista Arvind Laviela, l’autoritaria tenente Fee Carmichael, il taciturno Yuri Mihailokov, la misteriosa e riservata Edelgard Rivera, ma soprattutto Hachirota Hoshino, una testa calda che ambisce a possedere una navicella spaziale che porti il suo nome. Iniziano così le avventure di Ai nello spazio, alla scoperta di questo nuovo mondo, in cui l’essere umano ha imposto, come altrove, le sue leggi.

L’anime, che si compone di ventisei puntate, parte molto lentamente, assumendo sin da subito la conformazione di uno slice of life, formato da episodi autoconclusivi. Scorci di vita quotidiana nello spazio, tra questioni burocratiche e la raccolta giornaliera dei detriti, si accompagnano a maggiori approfondimenti sui protagonisti e i vari comprimari, ognuno con una storia degna di essere raccontata. I primissimi episodi puntano molto sul lato comico e quale sia il filo rosso della storia non lo si comprende di certo in questo frangente. La pazienza è la virtù dei forti e, infatti, se non la si possiede, è quasi impossibile superare indenni questa fase introduttiva della serie, che ho trovato fin troppo caciarona. Superato questo scoglio, si comincia a viaggiare sui binari giusti, le puntate assumono finalmente dei toni più seri, e le prime, profonde e filosofiche disquisizioni sulla vita e la morte danno nuova linfa vitale alla serie. Inoltre, ci si concentra molto sul tema dell’amore, grande leitmotiv della serie, in particolar modo, su quello che unisce Ai e Hachi e di come questo arrivi a cambiare le loro vite. Personalmente amo molto gli slice of life, viaggiare senza meta non mi dispiace affatto e proprio questa sarà la sensazione per i primi sedici episodi della serie, quello di un viaggio senza destinazione, ma che, nonostante questo, rimane piacevole. Giunti a poco più di metà viaggio, finalmente, qualcosa inizia a intravedersi all’orizzonte e la serie si trasforma, a poco a poco, in un thriller politico. D’altronde, per quanto l’ambientazione possa essere molto più che futuristica, trovandosi i nostri protagonisti nello spazio, gli artefici della storia sono pur sempre gli umani, in grado di imporre le proprie leggi discriminatorie anche nell’angolo più sperduto nel globo. Come sulla Terra, anche sulla Luna vale la legge del più forte, le nuove risorse scoperte restano appannaggio dei Paesi più ricchi e potenti, e ovunque l’uomo stabilisce dei confini e porta la guerra. È in questo frangente, che la serie giunge alle sue riflessioni più profonde e, per quanto risalenti a vent’anni fa, ancora attuali. Tutto molto interessante e coinvolgente, se non fosse per delle pesanti note negative, che minano la buona riuscita del prodotto. Innanzitutto, i protagonisti si snaturano completamente, primo su tutto Hachi. L'ambizione messa al primo posto e un cambiamento repentino, in peggio, nella sua personalità, lo rendono un personaggio quasi odioso. Per quanto la sua ambizione possa essere giusta e giustificata, trovo altrettanto giusto non condividere il suo punto di vista, come il sottoscritto. Segue un brusco cambiamento, da thriller politico a sparatutto nella puntata 23, che mi ha ricordato i bei giorni andati di “Call of Duty”, di certo non un bene per una serie con ben altre ambizioni. Infine, il paradosso, l’incredibile contraddizione che arriva a colpire tanto i personaggi, quanto ciò che fanno e dicono. Tutto viene messo in discussione, anche quei valori morali considerati intoccabili dal primo episodio. Ad un certo punto, a mio avviso, vengono meno le fondamenta stesse su cui, fino a quel momento, si era poggiata la serie, destinata purtroppo al collasso. E non ci sono riflessioni filosofiche che tengano, quando l’anime si contraddice da solo. Di una serie si ricorda soprattutto il finale e sbagliare proprio quello rappresenta una quasi condanna a morte. Proprio in quello che doveva essere il suo climax, la serie ha smesso di piacermi ed emozionarmi, portandomi a vedere le ultime puntate con estremo disinteresse.

Per essere un anime del 2003, è graficamente buono, ma sempre nella norma, senza picchi da registrare. Ottimo il doppiaggio italiano, di cui ho riconosciuto diverse voci che avevano già lavorato all’anime di “Slam Dunk”. Sensazionale il comparto musicale, che deve molto a Mikio Sikai, di cui ricorderò per sempre “Wonderful Life” e “Thanks My Friend”, e Hitomi, che con la sua voce delicata, quasi eterea, ha regalato a questa serie una colonna sonora perfetta, degno accompagnamento delle sue scene più significative.

Se proprio devo essere sincero con voi, per quanto mi possa dispiacere, vi sconsiglio la visione di “Planetes”. Gli episodi sono tanti e il rischio è quello di sprecare il vostro tempo. Potrei anche dirvi di iniziarlo e poi decidere, ma, per quanto mi riguarda, i problemi della serie sono tutti nel finale. Quindi, come sempre, a voi la scelta.

7.5/10
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Antesignano, ispirato e ispiratore, “Siamo in 11!” si rivela un ottimo lungometraggio dal tipico gusto che oggi potremmo definire “vintage” (o di stampo “eighties”, che dir si voglia).
Nella sua ingenua e oramai preistorica fantascienza che permette di calarci in un’atmosfera cyber-quasi-punk da metà anni ottanta, l’incipit dell’opera fa quasi sorridere per quanto scientificamente approssimativo e fantasioso, tuttavia capace di gettare semplici e chiare basi sulle quali verrà costruita l’intera vicenda: l’umanità - fra svariati secoli - scoprirà il viaggio interstellare a spostamento warp, permettendosi così di coprire distanze siderali in tempi surreali per la scienza odierna. Tale conquista darà la possibilità di colonizzare lontanissimi pianeti umanamente abitabili, entrando in conflitto con alcune razze aliene (Sava e Seguru), e, nel contempo, colonizzare luoghi dalle più disparate caratteristiche geologiche. Non mancheranno inevitabili e sanguinose guerre per la conquista dei territori, alle quali succederanno periodi di pace e prosperità: in uno di questi, e in seguito a chiare necessità politiche, verrà fondata una rinomata e prestigiosa accademia dove i frequentanti riceveranno un’istruzione di altissimo livello, in modo da poter aspirare ad essere i capi del futuro, auspicando un panorama prossimo di pace, collaborazione e saggezza. L’obbiettivo dell’accademia, appunto, sarà quello di forgiare nuove menti che si dovranno occupare dei delicati equilibri fra razze, popoli dei vari pianeti e relative associazioni/corporazioni.
Insomma, come appena descritto, non una vera e propria “intro” sci-fi, ma qualcosa di piuttosto simile, artisticamente molto curato e dettagliato per l’epoca, un livello artistico invidiabile, rievocante lavori come il celebre lungometraggio dedicato ai “Transformers” che concludeva la leggendaria “G1”, o altri pregevoli tecnicismi come gli scorci meccanici e futuristici dei vari “Patlabor” e “Gundam” nei loro periodi d’oro.

Ebbene, tutto inizia in questa fantomatica e agognata accademia: sono ammessi non solo terrestri, ma anche saviani, segurunensi (?) e ogni genere di individuo proveniente da qualsivoglia pianeta, non ci sono distinzioni.
L’esame finale si tiene fra i settecento invitati, che gli esaminatori dividono in gruppi eterogenei da dieci individui ciascuno. La trama segue le vicende di Tada, orfano proveniente da molto lontano, intento a guadagnarsi un posto di rilievo nell’accademia. Il suo gruppo di dieci candidati dovrà perciò sostenere un particolare esame finale all’interno di una stazione spaziale lontana da tutto, ormai abbandonata nello spazio siderale: con lui ci saranno altri nove elementi provenienti da ogni angolo della galassia, e già qui, come impostazione, il sentore dei celebri “Dieci piccoli indiani” comincia a farsi sentire in modo tutt’altro che vago. L’imprevisto - chiaro, ovvio - è che, una volta giunti sulla stazione spaziale in rovina, i candidati scopriranno di essere inspiegabilmente in undici, invece che, come da programma, in dieci!
Chi è l’intruso? Perché sono in undici? Come è possibile che nessuno se ne sia accorto? Prima di togliersi i caschi e di dismettere le tute spaziali (tutte identiche), nessuno poteva distinguere nessun altro e, com’è ovvio che fosse, nessuno di loro conosceva gli altri candidati in gioco. Quindi?

Se le prime vibrazioni suggeriscono un qualcosa d’ispirato ad Agatha Christie, ben presto ci si accorge che l’opera divaga su ben altri e più spinosi temi che il semplice mystery-thriller. Il gruppo è variegato oltre ogni dire: oltre a Tada troviamo il re di un lontano pianeta, alto, bello, algido e pragmatico; fra i rimanenti non possono mancare l’energumeno dal cuore apparentemente docile e gentile, il calvo nerboruto dalle braccia possenti proveniente da un pianeta satellite, e, chi fra tutti più incuriosisce, colui che appare come un ragazzo dagli evidenti tratti femminei e delicati, lunghi capelli biondi e la voce bianca da fanciulla adolescente. Eppure sono solo maschi, su questa stazione sperduta.
Cosa accade davvero?
Beh, non c’è tempo da perdere; leste, giungono le istruzioni da parte dell’esaminatore: questa è la prova finale. Se uno soltanto di loro si ritirerà o per qualsiasi ragione si troverà impossibilitato a terminare la prova, allora quest’ultima fallirà per tutti e dieci (undici) i partecipanti, bocciandoli in massa. Un vero e proprio disastro che potrà essere evitato solo dandosi man forte a vicenda!
Da subito si crea un clima di misteriosa tensione che tiene lo spettatore incollato allo schermo, complice anche una colonna sonora che rimarca le ben più classiche atmosfere in perfetto stile anni ottanta, note fra il malinconico e l’onirico - un delicato ma insistente pianoforte, una variegata orchestra e note di sax imperiture forti del proprio decennio d’oro; ergo, una soundtrack che plasma lo scorrere del film attraverso una metodica attendista, gelida e carica di pathos, donando grande fascino e spessore.

Con tali premesse ci si aspetterebbe un vero e proprio giallo futuristico-spaziale, ed è qui che gli autori spiazzano tutti: ben presto la trama andrà a virare verso un intreccio dai temi più profondi e inaspettati, focalizzando l’attenzione su una vicenda sia d’accettazione che d’amore vero e proprio, capace di farci riflettere sull’importanza dell’esistenza di ogni essere vivente che popola la galassia, un viaggio interiore atto ad affrontare e magari abbattere le barriere mentali che non ci permettono di comprendere appieno il prossimo, soprattutto se si rivela troppo diverso da noi.
Fra enigmi da risolvere, bombe pronte ad esplodere all’improvviso, serate passate con una chitarra sotto la luce delle stelle e affascinanti racconti da realtà completamente differenti, gli undici sconosciuti impereranno a conoscersi, proveranno a capirsi e tenteranno di collaborare in nome di una vittoria comune... ma non mancheranno accuse, una caccia all’undicesimo intruso sempre più esasperata e colpi di scena inaspettati. Ogni elemento è posto sul palcoscenico sapientemente, fino ad un epilogo dove l’intruso sarà svelato - scoperta che passerà in secondo piano, di fronte ai temi sopracitati ben più importanti e riflessivi.
L’idea di mescolare due filoni davvero eterogenei e portarli avanti parallelamente sembra essere riuscita abbastanza egregiamente, e, sebbene alcuni passaggi risultino poco chiari, frettolosi e mal collegati, nel computo totale il lungometraggio risulta solido e di piacevole visione, con un finale forse prevedibile ma dolcissimo.

Correva l’anno 1986, abbattere pregiudizi e stereotipi di genere non era certo missione facile - anzi! -, ma il coraggio, il messaggio e il desiderio di chi ha animato quest’opera sono giunti fin qui intatti.
“Siamo in 11!” è un modo emozionante, avventuroso e spericolato - aggiungerei sperimentale - di veicolare un messaggio sano e positivo: anche nelle grandi difficoltà della vita o nei momenti più bui, con il giusto spirito possiamo trovare del bello e di conseguenza trovare anche la felicità grazie a ciò che si ha; felicità forse fugace, forse momentanea, ma sempre e comunque gioia rimane. Sarà banale, forse fin troppo fiabesco ma innegabile: l’amore, quello vero, l’amore potente così come lo immaginiamo nei nostri sogni e così come davvero si manifesta quando è totalmente puro e sincero, si rivela più forte di ogni difficoltà e ostacolo, creando fra due persone un legame coeso alla ricerca, appunto, della felicità.
Un anime dalla visione forse utopistica e dal finale un po' troppo frettoloso, ma decisamente avanti nel tempo, avvincente e pieno di suspense, che mi sento di consigliare sia agli amanti del genere futuristico sia a chi è in cerca di una storia d’amore anticonvenzionale.
Ma, in fondo, quale storia d’amore non lo è? Ogni esperienza è unica e differente da tutte le altre, con sorprese, scoperte, gioie e dolori. E vale la pena di essere vissuta, che sia nello spazio siderale o sulla nostra Madre Terra.

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“Sentouin Hakenshimasu!” (letteralmente “I combattenti saranno dispiegati”) è la trasposizione anime di parte dell’omonima light novel scritta da Natsume Akatsuki, autore del più celebre “KonoSuba!” È evidente che i produttori abbiano preso un nuovo soggetto da un autore che ha già azzeccato il colpo, sperando così di replicare il successo. Bisogna però anche tener conto del fatto che le ciambelle non riescono sempre col buco...

Al centro, almeno all’inizio, della vicenda sta l’organizzazione malvagia Kisaragi, che, dopo aver lavorato per conquistare la Terra, vuole espandersi anche nello spazio. Per fare ciò spedisce (letteralmente) il suo agente N°6 (Rokugo) su un pianeta sconosciuto. Il suddetto tanghero, accompagnato dall’efficiente androide Alice, si trova catapultato in un mondo desertico in cui ci sono vari regni in lotta contro il solito esercito demoniaco. Non passa molto tempo che il Rokugo si troverà a comandare una sorta di armata Brancaleone insieme ad altre compagne abbastanza sopra le righe: la comandante Snow, bella ma anche avida e arrivista; l’ingenua e famelica chimera Rose; la pazza e foriera di macumbe sacerdotessa del male Grimm.

Dopo aver fatto quasi una satira dell’isekai fantasy in “KonoSuba!”, l’autore Akatsuki con questo “Sentouin Hakenshimasu!” passa a ironizzare sulla fantascienza. Le due opere hanno infatti molto in comune per quanto riguarda lo stile. Anche il protagonista Rokugo è, se vogliamo, un Kazuma in peggio molto più incline alle azioni riprovevoli (del resto è facente parte di una organizzazione malvagia), anche se alla fine non è un vero e proprio cattivo, semmai un antieroe abbastanza fetente, ma comunque non abbastanza carismatico. La Snow, invece, pare una strana fusione tra Aqua e Darkness, da un lato come outfit e colori, e come fisico e comportamenti deviati dall’altro, tuttavia non riesce ad essere altrettanto divertente. Probabilmente il personaggio meglio riuscito è l’androide Alice, dalle fattezze di una bionda bimba saccente, che è quasi una voce fuoricampo critica e un po’ caustica verso quanto succede. Grimm e Rose invece sono personaggi di contorno destinati al compito ingrato di rendere la vita difficile a Rokugo con situazioni improbabili (cringe, si direbbe oggi).
La così formata armata (Brancaleone) è varia e variopinta, ma sembra funzionare fino a un certo punto. Un po’ perché la comicità stavolta ha uno stampo più greve, e oserei dire sciocco, un po’ perché l’intreccio si svolge in modo abbastanza episodico, che non favorisce uno sviluppo in crescendo. Tra l’altro anche qui a tre quarti della serie c’è un episodio che spezza il ritmo, senza che ce ne fosse il bisogno di farlo. Oltretutto, tal episodio, che riguarda le avvenenti leader dell’organizzazione con una delle due che ha una cotta per Rokugo, risulta noioso, eccessivamente parlato e degno di promozione solo per il fanservice ecchi.
Il lato tecnico è rapidamente classificabile con un “senza infamia e senza lode” sia dal lato visivo che dal lato musicale. Non giova all’insieme l’avere un’ambientazione monotematicamente desertica, che poca ispirazione sembra avere offerto ai grafici.

Secondo me, “Sentouin Hakenshimasu” rimane troppo a metà strada su tutti i fronti, non riuscendo del tutto né come serie di fantascienza né come avventuroso né come tranquilla parodia a episodi, prendendo sia qualcosa di buono che qualcosa di negativo da tutte le sue fonti di ispirazione. Il ritmo narrativo non troppo sostenuto e anche un po’ scostante, personaggi anche troppo sopra le righe (qualcuno è anche un po’ sgradevole) e una comicità un po’ rozza non giovano di certo all’insieme.
Forse si è cercato di campare di rendita, scommettendo sull’autore e sulla sua opera precedente. Non è detto che chi ha gradito prima apprezzerà anche dopo.