«Nostalgia canaglia, che ti prende proprio quando non vuoi…» cantavano Al Bano e Romina Power in un celebre brano del 1986. Ed è proprio quella stessa nostalgia che, fin dal primo giorno, non smette mai di bussare alla porta di noi videogiocatori. Si insinua tra le nostre aspettative, ci prende per mano e ci promette di farci rivivere emozioni che credevamo ormai sepolte sotto strati di polvere e ricordi. Ma poi, quando la musica si spegne e le luci si abbassano, ci ritroviamo spesso con un retrogusto amaro: forse lo ricordavamo migliore. O forse eravamo semplicemente diversi noi, con altri occhi, altri desideri, un coinvolgimento che oggi fatichiamo a ritrovare.
 
Ruffy and the Riverside

Ruffy and the Riverside di Zockrates Laboratories  fa leva proprio su questa nostalgia condivisa, soprattutto dai membri stessi del team di sviluppo. Il gioco si muove come in una danza vorticosa di rimandi e suggestioni, evocando quel particolare modo di intendere i videogiochi che appartiene al passato o forse soltanto alla nostra memoria. Quando il gioco venne annunciato, una piccola scintilla di felicità si accese nei miei occhi. L’idea di un orso disegnato in 2D che si muove all’interno di un mondo completamente tridimensionale, intento a risolvere enigmi, raccogliere monete e scoprire segreti nascosti, mi sembrava semplicemente perfetta. Ogni elemento era al suo posto: non mancava nulla per candidarsi a essere il mio platform dell’anno.
Ma è davvero andata così?
 
Iniziamo analizzando l’intreccio narrativo che sorregge l’intera struttura ludica. Nel tranquillo villaggio di Riverside, immerso in una natura rigogliosa e abitato da creature amichevoli, la vita scorre serena. Ruffy, un tenero orsetto, vive felice insieme ai suoi amici, in un mondo vibrante fatto di colori, musica e piccole grandi avventure quotidiane. Tuttavia, questa armonia viene improvvisamente infranta da una misteriosa forza oscura che comincia a contaminare l’ambiente e a corrompere gli abitanti del villaggio, trasformandoli in versioni distorte e ostili di loro stessi. Per riportare la pace, Ruffy intraprende un viaggio ricco di sfide, durante il quale incontrerà vari personaggi disposti ad aiutarlo, ma solo dopo aver superato piccole missioni o prove di abilità. Per fortuna, non è solo: al suo fianco c’è Pip, una vivace e un po’ sfrontata ape, che lo accompagna con entusiasmo in ogni fase dell’avventura, offrendo sia supporto pratico che un tocco di leggerezza e ironia. È chiaro fin da subito che l’adozione di uno schema narrativo classico non è affatto casuale, ma una scelta ben ponderata. Il gioco richiama alla mente le avventure platform più iconiche degli anni ’90, ispirandosi direttamente a titoli come Banjo-Kazooie, arricchendosi con elementi di world building tipici dei classici Zelda, e aggiungendo quel tocco di avventura surreale e ironica che farà la gioia degli amanti di Paper Mario.
 
Ruffy and the Riverside


La struttura portante del gameplay segue quella classica dei collectathon: un mondo di gioco apparentemente aperto e subito accessibile, pensato per essere esplorato in libertà fin dai primi minuti.

L’obiettivo principale è raccogliere quanti più oggetti possibili (tra monete, collezionabili e pietre magiche) ognuno utile per sbloccare nuove aree e proseguire nell’avventura. Alcuni di questi elementi, in particolare le pietre magiche, hanno il potere di trasformare radicalmente l’aspetto del mondo di gioco, rendendo l’esplorazione ancora più dinamica e sorprendente.

Tuttavia, questo mix di elementi,per quanto ben costruito, rischierebbe di non bastare a emergere nel vasto panorama delle produzioni simili. È proprio per questo che gli sviluppatori hanno deciso di introdurre una meccanica di gameplay originale e centrale: lo SWAP, un’abilità particolare che diventa il cuore pulsante di tutte le idee di gioco proposte. In sostanza, al giocatore viene data la possibilità di "swappare", ovvero scambiare, le texture e le proprietà fisiche degli elementi presenti nel mondo di gioco. Questo significa, ad esempio, che una cascata impetuosa può trasformarsi all’istante in una parete di foglie su cui arrampicarsi per sfuggire da una situazione pericolosa. Allo stesso modo, una piattaforma inizialmente immobile può cominciare a muoversi nello spazio se le viene applicata la capacità di movimento, precedentemente "estratta" da un altro oggetto ,come una roccia particolare, contrassegnata da una freccia verso l’alto (o verso il basso), che funge da serbatoio di proprietà trasferibili. Si tratta di un’idea tanto semplice quanto brillante, che dona al gioco un’identità unica e trasforma ogni elemento su schermo in un potenziale enigma ambientale da osservare, manipolare e risolvere. 

Le diverse sfide che il gioco propone vengono introdotte attraverso missioni secondarie, attivabili parlando con i personaggi non giocanti sparsi nel mondo di gioco. Alcune di queste quest sono ben strutturate e riescono a sfruttare appieno il potenziale creativo dello Swap, offrendo situazioni originali e stimolanti. Altre, invece, si limitano a incarichi piuttosto semplici e ripetitivi, che finiscono per risultare tediosi e poco coinvolgenti.


Uno dei meriti principali del team di sviluppo è stato quello di proporre soluzioni mai banali o scontate. Capita spesso, infatti, di trovarsi a osservare a lungo l’ambiente circostante, cercando con attenzione quell’elemento specifico da "swappare" per sbloccare una situazione apparentemente senza uscita. La risoluzione degli enigmi è sempre univoca, ma il percorso per arrivarci è, nella maggior parte dei casi, sorprendentemente creativo e piacevolmente ingegnoso. Il gioco ci invita più volte a pensare outside the box, spingendoci a sperimentare liberamente con gli elementi di gioco, alla ricerca della combinazione giusta. E sebbene il titolo sia pensato principalmente per un pubblico giovane o giovanissimo, non sempre le soluzioni si rivelano immediate o lineari, offrendo un livello di sfida che può stimolare anche i giocatori più esperti. Con il progredire dell’avventura, però, la freschezza e l’inventiva dei puzzle tendono a diminuire. Dopo alcune ore di gioco, ci si accorge che molte delle azioni richieste iniziano a ripetersi, portando a una certa sensazione di déjà vu. Quella spinta iniziale a ragionare in modo creativo e a mettere alla prova la propria intuizione si affievolisce gradualmente, lasciando spazio a una routine meno stimolante, che rischia di appiattire l’esperienza nelle fasi più avanzate del gioco.

Una nota particolarmente dolente, anche se non compromette in modo significativo la godibilità complessiva del gioco, riguarda l’assenza quasi totale di sfide vere e proprie legate ai nemici e ai boss di fine livello. È chiaro che questo non fosse l’obiettivo principale degli sviluppatori, ma gli incontri con i nemici risultano spesso superflui e realizzati in modo piuttosto approssimativo. Peccato, perché un livello di difficoltà maggiore avrebbe potuto conferire al titolo quel carattere distintivo tipico dei platform più tradizionali, ma evidentemente questa non è stata una priorità per il team di sviluppo.
 
Ruffy and the Riverside

Ulteriore aspetto che mi ha lasciato perplesso è la quantità eccessiva di dialoghi tra i personaggi. Attenzione: la caratterizzazione dei personaggi è, da sempre, un elemento fondamentale nei platform ben costruiti, poiché contribuisce a dare colore, profondità e personalità al mondo di gioco. Quando sono ben scritti, hanno una voce riconoscibile e portano con sé idee originali, questo arricchisce l’esperienza complessiva e ne aumenta la qualità. Il problema, in questo caso, è duplice. Da un lato, molti dialoghi risultano poco brillanti, spesso ripetitivi o privi di reale incisività, finendo per appiattire la vivacità del mondo narrativo. Dall’altro, la quantità di testo è davvero eccessiva, rallentando il ritmo dell’avventura e rischiando di scoraggiare il giocatore. A complicare ulteriormente le cose, manca completamente una localizzazione in italiano: un’assenza che rende l’esperienza faticosa, se non addirittura frustrante, per chi non ha una buona familiarità con l’inglese o altre lingue straniere.
 
Sul piano tecnico, i ragazzi di Zockrates Laboratories hanno svolto un lavoro davvero apprezzabile. L’amore e la passione per il genere platform traspaiono chiaramente da ogni elemento presente a schermo. I personaggi sono realizzati con un elegante stile 2D disegnato a mano, che richiama alla mente alcuni titoli iconici dell’epoca PlayStation, mentre gli ambienti tridimensionali sono costruiti con poligoni dai colori vivaci e saturi, capaci di rendere ogni scenario visivamente coinvolgente e piacevole da esplorare. A colpire però sono soprattutto i dettagli: piccoli tocchi di classe, omaggi e citazioni disseminati ovunque, che faranno la gioia degli appassionati più attenti. Senza entrare nel territorio degli spoiler, possiamo dire con certezza che chi ha un occhio allenato a cogliere la semantica del videogioco classico si divertirà moltissimo a scovare i numerosi riferimenti a un passato glorioso, da cui il team ha attinto con grande rispetto e sincera devozione.

Sul fronte audio, il lavoro svolto dal team è complessivamente discreto. Gli effetti sonori richiamano in modo efficace le sonorità tipiche del genere platform, contribuendo a ricreare quell’atmosfera nostalgica tanto cara agli appassionati. Anche le musiche si mantengono su un livello più che sufficiente: le tracce strumentali sono leggere, piacevoli e in alcuni casi persino orecchiabili, ma difficilmente resteranno impresse nella memoria. Il comparto sonoro, insomma, svolge bene il suo ruolo: accompagna l’avventura senza mai risultare invadente o ripetitivo, pur senza offrire spunti realmente memorabili.

Conclusioni

Ruffy and the Riverside è un titolo che nasce da una sincera passione per il genere platform e da un profondo amore per il videogioco classico. La sua idea centrale è tanto semplice quanto efficace, e dona al gioco un'identità tutta sua, fatta di sperimentazione, osservazione e creatività. Il comparto visivo è curato, nostalgico e piacevole da esplorare, mentre i continui riferimenti al passato parlano direttamente al cuore dei giocatori cresciuti con le icone degli anni ’90. Tuttavia, la ripetitività che emerge nelle fasi più avanzate, una componente narrativa un po’ troppo verbosa e la mancanza di una reale sfida nei combattimenti impediscono al titolo di brillare fino in fondo. Per concludere, è un gioco consigliato a chi cerca un’avventura leggera, intelligente e colorata, soprattutto se accompagnata da un pizzico di nostalgia. Non perfetto, ma sincero e genuino proprio come il suo protagonista.