logo AnimeClick.it

7.0/10
-

Due anni fa vedeva la luce un curioso episodio autoconclusivo, una produzione di nome "Kyousogiga", un'esuberante arcobaleno d'euforia che seguiva la baraonda della piccola Koto per le strade della Kyoto dietro allo specchio. Stupenda, travolgente, incomprensibile, questo quanto poteva dirsi di quella scarsa mezzora di colori, eppure già lì si trovava in nuce tutto ciò che "Kyousogiga" sarebbe diventato.
L'anno successivo venivano aggiunti a tutto ciò cinque brevissimi episodi, delle noterelle a quell'aggrovigliata matassa che era l'episodio principale, inutili ai fini esegetici, ma dei moniti per ricordare che l'idea di "Kyousogiga" era esistita e restava irrisolta.
Infine, nella stagione autunnale del 2013, la sintesi s'è avverata e tutto il materiale suddetto è confluito nell'organicità (per niente ortodossa) di una serie, "Kyousogiga" aveva preso forma in tutta la sua non lineare semplicità.

E' curioso come un'opera dalla narrazione potentemente irregolare, temporalmente altalenante nel suo abbondantissimo uso dell'analessi, che, merito d'una direzione decisamente vivace, appare fortemente contorta nella trama, lasci in verità già da sempre palese il suo tema più intimo: "Kyousogiga" è infatti "la storia d'amore e rinascita di una certa famiglia" (cit. dall'incipit di ogni episodio, tolti il primo e l'ultimo), del crescere e dell'instaurarsi d'un affetto capace di redimere la spirale della sofferenza, questo e nient'altro.

La serie ha una prima parte di carattere architettonico molto estesa, coprendo più di metà della sua interezza, che altro non fa che riallacciare tutti i nodi dell'OAV del 2011: ricostruendo la storia di una famiglia, i sogni e le disperazioni dei suoi componenti, la narrazione procede con straordinario mordente a fornire di consistenza la vita dei personaggi di Kyoto, saldando i nessi relazionali che li legano.
Questo prolisso prologo ha un carattere evidentemente inattuale, richiamandosi nella direzione e nella sceneggiatura ad una certa animazione degli ultimi anni '90 - primi anni 2000 e alla sua narrazione per assurdo, sconnessa ed euforica (un nome fra tutti sia quello della Gainax), non negandosi un piccolo citazionismo verso taluni titoli del tempo.

"Kyousogiga" ricostruisce così se stesso per potersi aprire allo spettatore, manifestando il suo plesso costitutivo solo nella tarda narrazione, svelandolo nel precipitare degli eventi nella crisi dell'aporia della sfiducia di se' di Inari e Yakushimaru, che implacabilmente costringe alla decisione.
Nella sorte di due soggettività matura così il destino di una famiglia, risalendo la genealogia della quale "Kyousogiga" ne porta all'evidenza la radice da sempre logora, che solo l'epifania di un altrettanto radicale affetto potrà sanare.
Nel frammezzo, fintantochè matura la catastrofe, per le vie di una Kyoto fantastica si sussegue una frenetica esistenza, sottesa da una stasi viscerale, un mondo dove nulla può cambiare, che sotto alla sua brillante facciata nasconde l'abisso della frustrazione e dei sogni infranti, fra la quotidianità spesa nei ricordi di Yase, la delusione di Kurama della possibilità di vedere un qualsivoglia esterno per lui inattingibile e l'incapacità di vivere di Myoue.
Il delicato equilibrio della città viene però sconvolto dall'ingresso di Koto, piccola ed esuberante fanciulla dall'incontenibile potere distruttivo, il genuino motore narrativo della vicenda d'un mondo ciecamente chiuso in se stesso, che rompendo la sua immobilità innesca la discesa degli eventi che chiameranno Kyoto a confrontarsi col suo destino.

Narrazione di paralleli e antitesi, che fa della complessità la forma della semplicità del suo contenuto, "Kyousogiga" è un sentimento, è la storia di un affetto capace di trascendere i legami di sangue, della capacità di due uomini di credere in se' e decidersi per la vita, di una ragazza di essere amata. La palingenesi di una famiglia, o, forse, la sua più autentica fondazione.