logo AnimeClick.it

-

Attenzione: la seguente recensione contiene spoiler

Molto spesso, "L'attacco dei giganti" viene sottovalutato da chi ha già macinato vari anime come un'opera "commerciale" con nulla di interessante da offrire. A mio parere, un'opinione del genere rischia di far perdere di vista quello che è il notevole punto di forza di quest'anime: la costruzione dei climax.

È vero che molti elementi dell'anime siano, in un certo senso, commerciali. A partire da una colonna sonora così eccessiva da essere quasi parodistica e da un espediente che crea le scene d'azione (il dispositivo di manovra tridimensionale, già il nome è un programma) fin troppo articolato e con il palese scopo di rendere l'azione la più dinamica ed esagerata possibile. Sono molti, a guardar bene, gli elementi esagerati dell'anime, persino il tono di voce mantenuto dai personaggi. Il mix di tutti questi elementi crea un prodotto che, a ragione, fa subito pensare alla commercialata. Il feeling adrenalinico da montagna russa senz'anima c'è, eppure questo insieme eccessivo in un qualche modo funziona. La creazione del mondo ha una coerenza così forte, con scelte di design azzeccatissime (i giganti, così come sono rappresentati, sono forse "il nemico" più disturbante mai animato), da rendere pure i suoi eccessi, in un qualche modo, ben amalgamati con la sua struttura.

Tuttavia, il vero punto di eccellenza de "L'attacco dei giganti" è nel modo in cui costruisce le rivelazioni. Siamo chiari: i giapponesi non sanno creare i colpi di scena, soprattutto per via della loro capacità di creare trame. Anche la "morte" del protagonista nelle prime puntate, sebbene di impatto, non fa credere a nessuno che quella sia la fine di Eren. Di sicuro la capacità dei mangaka di incasinare le trame fornendo poteri potentissimi ai propri personaggi salverà la situazione, e in effetti capita ben due volte nel corso delle due stagioni. Una volta capito che gli uomini possono tramutarsi in giganti è quasi banale capire chi essi siano tra i personaggi fin dalla loro prima apparizione.

Ma, come affermato in precedenza, non è tanto "il colpo di scena" a essere costruito bene (lasciamo pure questi espedienti narrativi a "Game of Thrones"), ma la scena in sé. I momenti di rivelazione sono così ben costruiti, con dei disegni che incarnano il concetto di espressività, da lasciare sempre un brivido, nonostante si sapesse già dove la trama si stava dirigendo. Lo stesso momento della "morte" di Eren, anche se è banale che la storia del protagonista non finisca lì, crea una sensazione di shock con una crudezza inusuale.

In definitiva, questo "L'attacco dei giganti" mostra tutti i tipici difetti della narrazione giapponese: l'incapacità di creare trame senza ricorrere a elementi macchinosi, ampi momenti morti, eccessiva verbosità dei personaggi e scarsa umanizzazione degli stessi. Ma eccelle in quei punti in cui invece la narrazione giapponese è forte: la costruzione del mondo e il saper catturare "l'anima" del momento. Se i difetti, in fondo, sono presenti in gran parte degli anime che si possono trovare attualmente, i suoi punti di forza sono rari e vanno particolarmente apprezzati.

Inoltre, non posso non ammirare un prodotto che fa dell'eccesso un'eleganza.