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Siamo in un periodo di riscoperta a livello mondiale di anime e manga: serie animate giapponesi (o ispirate a esse) portate a un pubblico occidentale sempre più ampio e appassionato dalle piattaforme di streaming, manga in cima alle classifiche di vendita di fumetti e libri, e l'arrivo nei prossimi anni di almeno una ventina di film e serie TV live action tratte da famosi anime e manga. Chi più, chi meno quasi tutte le grandi compagnie cinematografiche e televisive americane sono scese in campo in tal senso; a questo gruppo sembrava tuttavia mancare Disney, almeno fino allo scorso Investor Day, una vera e propria inondazione di annunci legati ai due franchise più potenti della compagnia, Marvel e Star Wars. Tra questi numerosi annunci ce ne fu uno particolarmente inaspettato: "Star Wars Visions", una serie di corti antologici realizzati da studi d'animazione giapponesi e il loro staff, da Trigger a Production I.G, passando per Science Saru o Studio Colorido.

Uscito a settembre sul servizio streaming Disney+, nella sezione dedicata a "Star Wars", "Visions" è una grandissima dichiarazione d'amore all'animazione giapponese, alla sua varietà di stili, grafici e narrativi. Character design realistici e deformed, fondali realizzati a pastello o più dettagliati, ultra-esagerazioni 'tamarre' che mettono a dura prova la sospensione dell'incredulità e vicende più intimiste e mistiche, ambientazioni da Giappone feudale e nell'immensità dello spazio... "Visions" offre una notevole varietà in grado di fare la felicità di chi ama l'animazione giapponese nella sua poliedricità e complessità.

"Visions" reinterpreta le ambientazioni e le storie classiche di "Star Wars" secondo la sensibilità estetica e narrativa degli staff scelti dai vari studi, donando punti di vista interessanti e a volte inediti per la saga. Ad eccezione di un episodio in cui rivediamo alcune delle figure famose del franchise, vengono narrate le vicende di personaggi completamente inediti che si muovono in luoghi e tempi a volte lontanissimi dalla saga degli Skywalker che ha finora quasi completamente occupato le opere animate e live action del franchise di "Star Wars". Ci rechiamo in lontani futuri in cui Jedi e spade laser sono un ricordo quasi dimenticato, in un passato in cui i Sith sono ancora forti e imperversano nella galassia, in pianeti sconosciuti in cui la forza ha persino un altro nome e viene sfruttata in maniera completamente diversa rispetto a quanto avevamo visto finora.

Questa varietà presenta comunque un elemento che fa da collante a tutti gli episodi: i cristalli kyber e le spade laser di cui sono un elemento fondamentale. In maniera più labile in alcuni episodi, più profondamente in altri, ogni episodio pone al centro della vicenda questi cristalli kyber e le rispettive spade laser, con una grande attenzione all'iconica contrapposizione spirituale e morale tra Jedi e Sith. E in questi vi è forse l'unico vero difetto di questa raccolta di corti, l'essere troppo dipendente dai combattimenti tra spade laser, dai Sith e dai Jedi. Sebbene ci siano episodi che pongono il proprio focus tematico e narrativo su altri aspetti, in solamente uno di questi non è presente uno scontro tra spade laser. Per una serie che ha fatto del suo maggiore punto di forza la grande varietà stilistica e narrativa sarebbe stato più interessante affrontare anche vicende completamente slegate da questo aspetto, come fatto per esempio dal secondo episodio, "Rapsodia su Tatooine".

In seguito all'annuncio di un anime su "Star Wars" diversi si sono chiesti cosa centrasse "Star Wars" con l'animazione giapponese, ritenendoli due mondi troppo lontani tra loro e temendo un snaturamento del franchise. Elementi nipponici sono tuttavia sempre stati presenti nella galassia lontana lontana, a partire proprio da due dei suoi elementi più iconici come i cavalieri Jedi e il concetto di forza, chiaramente ispirati alla filosofia orientale. Non è poi un segreto come George Lucas fosse un grandissimo estimatore dei film del regista giapponese Akira Kurosawa, dai quali fu notevolmente influenzato nella realizzazione della sua storica trilogia.

L'episodio scelto per iniziare "Visions" sembra proprio celebrare questo legame tra Lucas e la cultura giapponese, richiamando tantissimo l'estetica e l'impostazione registica dei film di Akira Kurosawa che lo ispirarono.
Il duello, realizzato dallo studio Kamikaze Doga (principalmente noto per essersi occupato di alcune delle opening de "Le bizzarre avventure di JoJo"), ci porta in un villaggio che richiama tantissimo il Giappone feudale. Un misterioso ronin, un samurai senza padrone, si trova invischiato nell'attacco di un gruppo di banditi guidato da una pericolosa sith, decidendo di unirsi alla difesa del villaggio e affrontare la potente duellante del lato oscuro. Tra citazioni ad "Afro Samurai" * e un ombrello di spade laser rosse che è già entrato nel cuore dei fan, la vicenda si dipana in un epico duello tra il ronin e la sith, che deve molto a "Yojimbo" e "I sette samurai" di Kurosawa. A rendere memorabile questo inizio, non è tuttavia la sceneggiatura, nel complesso abbastanza semplice, ma il comparto visivo con una colorazione in scala di grigi sporca e ruvida incredibilmente evocativa e d'atmosfera, a cui si aggiungono solo alcuni elementi colorati a fare da contrasto; vengono inoltre ricreate le imperfezioni date dai graffi e dai danni del tempo riportate dalle pellicole dell'epoca, riuscendo in questo modo a immergere lo spettatore all'interno dell'atmosfera dei vecchi film di Kurosawa.
Una scelta artistica tremendamente coraggiosa ma che mette subito in chiaro quale sia l'intento di questo "Star Wars Visions": sperimentale, provare nuove strade sia tecniche che narrative e dimostrare la grande versatilità dell'animazione giapponese.

*Essendo il character designer di questo corto, Takashi Okazaki, anche l'autore del manga "Afro Samurai", risulta davvero difficile pensare possa essere una coincidenza quella scelta estetica presente nell'episodio.

Dopo un inizio così particolare e autoriale, il secondo episodio è quanto di più diverso si potrebbe immaginare. Realizzato dallo Studio Colorido e affidato a un bel gruppetto di giovani, "Rapsodia su Tatooine" è una divertente e appassionante rock opera. Con un design dei personaggi più semplice e tendente al deformed e un comparto artistico più tradizionale nei fondali e nella colorazione, il corto diretto da Taku Kimura si allontana da Jedi, Sith, forza e duelli, per raccontarci le vicende della rock band Star Waver e le sue problematiche col capo criminale Jabba the Hut. Privo della vena epica e del pathos de "Il duello", "Rapsodia su Tatooine" diventa un piacevolissimo divertissiment che brilla proprio anche in funzione dell'enorme diversità dal suo predecessore. La colonna sonora perfettamente in linea con la musica suonata dalla band scandisce il dipanarsi dell'intera vicenda, adattandosi al meglio allo stato emotivo dei personaggi e all'atmosfera generale. A differenza dell'austerità e freddezza del ronin, il protagonista di questo secondo corto dà spazio libero alla propria emotività e personalità, affiancato da un piccolo cast di comprimari davvero azzeccato sul piano grafico (memorabile il simil-demone con tre teste e sei braccia alla batteria). Una dichiarazione d'amore alla musica, alla libertà e alla gioia di vivere, che fa da tramite tra il prodotto più autoriale e adulto e quello più fanfarone e smargiasso...

Il terzo corto, "I gemelli", era probabilmente uno dei più attesi dagli appassionati di animazione giapponese, quanto uno di quelli che più sarà difficile da accettare dai neofiti di questo media, senza dover ricorrere a una notevole dose di sospensione dell'incredulità. Hiroyuki Imaishi ("Gurren Lagann", "Kill la Kill", "Promare") è indubbiamente una delle figure cardine della moderna animazione giapponese, essendo riuscito a costruire un proprio stile estremamente riconoscibile particolarmente apprezzato da una grossa fetta del pubblico. "I gemelli", realizzato dallo Studio Trigger, è esattamente quello che ci si sarebbe potuto aspettare da un prodotto di Imaishi: esagerato, 'tamarro', completamente folle e senza senso, un'esplosione di colori e combattimenti dinamicissimi con anche interessanti scelte nelle coreografie. Portandosi dietro parte dello staff principale di "Promare", e con evidenti richiami narrativi anche a "Kill la Kill", Imaishi reinterpreta i temi portanti della saga di "Star Wars" come la contrapposizione tra Sith e Jedi, la fratellanza e la famiglia secondo la propria estetica personale. Spade laser che tagliano enormi astronavi e altre scelte stilistiche e narrative saranno sicuramente difficili da accettare per un certo tipo di pubblico, mandando tuttavia in visibilio tutti i fan dello stile di Imaishi.

Giocando nuovamente di opposti, il quarto episodio di "Visions" è quanto di più lontano ci sia dalle 'tamarrate' galattiche di Imaishi. Lento, delicato, intimista e profondo, ne "La sposa del villaggio" di Kinema Citrus ("Made in Abyss", "Barakamon") riecheggia l'anima shintoista di un Giappone antico ma mai dimenticato. In un lontano pianeta vi è un popolo che vive in comunione con la natura, rispettandola e venerandola come un'entità viva e sempre presente, governata dalla misteriosa Magina - che altro non è che un altro nome per identificare il culto della forza. Ispirandosi allo stile di vita del Giappone delle montagne, il regista Hitoshi Haga sceglie di osservare il concetto di forza da un punto di vista diverso da quello tradizionale, con una coppia di personaggi con una grande affinità a essa, senza tuttavia la capacità di utilizzarla per combattere, ma semplicemente per vivere in pace e armonia con la natura e il pianeta.
Sul piano tecnico a farla da padrone non è tanto l'aspetto grafico - comunque affidato a due veterani come Hiroshi Kato e Izumi Hoki alla direzione artistica e gestione dei fondali -, bensì l'incredibilmente evocativa colonna sonora di Kevin Penkin. Il giovane compositore australiano che abbiamo potuto apprezzare in "Made in Abyss" fa risuonare l'antico spirito shinto del Giappone, fondendo nell'orchestra occidentale strumenti tradizionali giapponesi come lo sho, lo shamisen, il koto e lo shakuhachi.
Il giovanissimo sceneggiatore Takahito Onishi supporta il regista Haga nella creazione di una trama semplice ma tremendamente efficace, che in pochi minuti riesce a far immergere lo spettatore nel dramma del villaggio e dei due sposi, facendoci cogliere tramite pochi e piccoli gesti il profondo legame tra loro, col villaggio e col pianeta stesso.

Dopo quattro prodotti così diversi tra loro, narrativamente e/o graficamente, il quinto corto risulta estremamente tradizionale; per la realizzazione de "Il nono jedi", lo storico studio d'animazione Production I.G si affida a due veterani come Kenji Kamiyama ("Ghost in the Shell Stand Alone Complex", "Seirei no Moribito", "Eden of the East") alla regia e alla sceneggiatura e Tetsuya Nishio ("Jin-Roh", "Ghost in the Shell Innocence", "The Sky Crawlers", "Naruto") al character design. Ambientato in un lontano futuro in cui Jedi e spade laser sono un ricordo lontano, il misterioso marchese Juno è intenzionato e rifondare l'ordine Jedi e ricostruire le loro perdute spade laser, così da affrontare la minaccia sith. Inizialmente pensato come due storie singole e separate (una sul fabbricante di spade laser e una sui Jedi senza padrone), e solo in un secondo momento riunite in un unico episodio di maggiore durata (coi suoi ventitré minuti è il corto più lungo di tutta l'antologia), "Il nono jedi" è l'episodio che più tutti potrebbe dare il via a una nuova saga, essendo di fatto solamente il preludio di una vicenda potenzialmente enorme. La scelta di mostrare anche il punto di vista di un fabbricante di spade laser è molto interessante e fornisce loro anche una funzione primaria a livello narrativo grazie alle innovazioni tecniche apportate a questo nuovo modello d'arma rispetto a quello tradizionale che siamo abituati a vedere. All'epoca dell'uscita de "Il ritorno dello jedi", il giovane Kamiyama rimase incredibilmente affascinato dalla scene d'inseguimento di Luke e Leila tra i boschi, decidendo di omaggiarla in questo corto tramite il personaggio di Kara.

Per il sesto corto il giovane regista Abel Gongora decide di omaggiare l'animazione giapponese che vedeva da bambino con un prodotto chiaramente ispirato all'iconico "Tetsuwan Atom" di Osamu Tezuka, così come allo stesso "Pinocchio" da cui il dio dei manga aveva tratto ispirazione per il suo robottino più famoso. Realizzato da una Science Saru in cerca della propria identità dopo l'addio del ruolo di direttore dello studio di Yuasa, "T0-B1" è un anime deliziosamente fanciullesco nel character design, nella musica, nella definizione dei fondali e nella caratterizzazione dei personaggi. Su un pianeta morto il professor Mitaka cerca insieme al suo fidato androide T0-B1 di riportare la vita sul pianeta tramite complessi esperimenti scientifici. T0-B1 non è tuttavia il classico droide che abbiamo imparato a conoscere nell'universo di "Star Wars": prova emozioni, sentimenti e sogna un giorno di diventare un coraggioso combattente jedi in grado di portare ordine e giustizia nella galassia (graficamente memorabile la sequenza in cui, immaginandosi come un bambino umano, ripercorre le sue ipotetiche battaglie come cavaliere jedi). Vuole la tradizione spirituale giapponese che ogni cosa nel mondo possa avere un'anima, anche oggetti e cose, e così è per il nostro novello Atom/Pinocchio, droide che sogna di essere uno jedi ed entrare in comunione con la forza come un vero bambino umano. Un inno alla vita, alla gioia, al non smettere mai di inseguire i propri sogni, cercando anche ogni tanto di guardare il mondo con gli occhi di un bambino innocente, deliziosamente confezionato dal giovane ma abile staff assemblato da Science Saru, che come voce di T0-B1 sceglie l'iconica Masako Nozawa, che di bambini innocenti ha sicuramente esperienza!

Uno degli errori più comuni di molti appassionati è quello di associare determinati elementi e stili grafici/narrativi a interi studi d'animazione, ignorando come all'interno della vasta produzione di uno studio possano alternarsi registi, sceneggiatori, character designer, direttori dell'animazione e artistici e tanti altri ruoli, ognuno con le proprie peculiarità da adattare di volta in volta in funzione dell'opera raccontata. Trigger ne è un perfetto esempio: dal terzo cortometraggio tutti si aspettavano una 'tamarrata' cafona ed esagerata, basandosi solamente sul nome dello studio. E se poi è stato effettivamente così, la cosa non deriva dall'essere un prodotto Trigger, bensì dallo staff guidato dal suo regista più iconico e rappresentativo, Hiroyuki Imaishi. Ma Trigger non è solo Imaishi, può essere anche altro, come ci dimostra il settimo corto dell'antologia. "Il vecchio", affidato all'altro co-fondatore dello studio, Masahiko Otsuka, è infatti molto lontano dal terzo episodio. Riprendendo un elemento fondante della saga di "Star Wars" come il rapporto tra un saggio e anziano maestro jedi con un giovane e impulsivo allievo padawan, il corto inizia con un tranquillo dialogo tra i due, tramite cui iniziare a delinearci le personalità dei due combattenti e il rapporto tra loro. La parte realmente interessante dell'episodio è tuttavia la seconda, con l'entrata in scena del vecchio che dà il titolo alla puntata. Grazie al magnifico character design dalla mangaka Kamome Shirahama ("Atelier of Witch Hat"), il vecchio si presenta come un'evocativa via di mezzo tra un demone e una scimmia, tanto vecchio e avvizzito nell'aspetto quanto pericolosamente agile nel combattimento. Gli scontri tra i Jedi e il vecchio sono magnificamente coreografati e non hanno bisogno delle esagerazioni di Imaishi per risultare appassionanti e coinvolgenti, puntando tutto sulla tensione e sull'aura di minaccia emanata dal nemico. A impreziosire l'episodio, i magnifici fondali naturali del pianeta Habo.

L'ottavo episodio, "Lop e Ocho" di Geno Studio, è il secondo corto più lungo della raccolta e probabilmente anche quello narrativamente e tematicamente più ricco. La diatriba familiare tra due sorelle costrette a combattere per fazioni opposte nonostante l'affetto reciproco e la contrapposizione tra nuove e vecchie generazioni sull'importanza del progresso sono il fulcro intorno al quale ruota l'episodio, introdotto da una bellissima panoramica del pianeta tramite cui ammirarne al contempo le meraviglie naturali e la progressiva urbanizzazione e meccanizzazione - con Yuji Kaneko ("Madoka Magica", "Josee, la tigre e i pesci", i primi OVA di "Little Witch Academia") che ci dona una cura nei fondali ben al di sopra della media di "Visions". Fortemente ispirato alla tradizionale yakuza giapponese, "Lop e Ocho" riesce a presentare alcune delle figure psicologicamente meglio caratterizzate dei nove corti, in particolare la protagonista Lop che, a differenza di quanto alcuni avrebbero potuto temere, non è inserita per mero fanservice furry, ma viene approfondita ottimamente nel suo rapporto col padre, la sorella e il pianeta che le ha dato una casa, quando era ancora una schiava imperiale senza speranze. Unendo il tutto a buone coreografie nei combattimenti e una colonna sonora ispirata, "Lop e Ocho" si presenta come uno degli episodi più completi e riusciti della raccolta.

Com'era iniziata, così si chiude quest'ennalogia: con Akira Kurosawa. Il nono corto, "Akakiri", è infatti ispirato a "La fortezza nascosta" del celebre regista giapponese. Eunyoung Choi, co-fondatrice e attuale presidente di Science Saru, dirige il più corto degli episodi della raccolta (neanche quattordici minuti totali), coadiuvata dallo sceneggiatore e dal character designer/direttore dell'animazione di "Keeo Your Hans off Eizouken". Una storia semplice (seppur non banale) che punta principalmente su suggestioni visive, dallo stile particolare delle spade laser all'uso della tavolozza, con l'atmosfera generale dell'episodio che muta in base ai cambiamenti cromatici e con grande importanza al colore rosso (a partire dal titolo stesso). Richiamando le vicende di un'importante figura della saga di "Star Wars", "Akakiri" congeda lo spettatore con una vicenda emotivamente intensa e graficamente suggestiva, con un nemico davvero ben realizzato e che consolida la grande ispirazione avuta dai vari creativi nel realizzare avversari interessanti e variegati.

I nove corti animati di "Star Wars Visions" sono una grandissima dichiarazione d'amore all'animazione giapponese, alla sua varietà stilistica, visiva, musicale e narrativa. Storie semplici ma intense, a volte incentrate su spettacolari coreografie nei combattimenti, a volte su meravigliosi fondali naturali, a volte su contrasti psicologici tra i personaggi, a volte sulla semplicità dei sogni di un bambino, a volte su particolari suggestioni visive, a volte su musiche che fanno riecheggiare l'anima di un Giappone antico... il tutto però sempre ruotante intorno alle spade laser, ai Jedi e ai Sith. Se è pur vero come essi siano da sempre tra i pilastri narrativi della galassia lontana lontana, considerando proprio la dichiarazione d'intenti di questa serie, si sarebbe potuto osare un po' di più e narrare qualcosa di slegato da questi (come per certi versi fatto nel secondo episodio).