Recensione
Lost in Starlight
7.5/10
"Forse riesco a capirlo solo ora: l'amore è l'unica cosa che siamo in grado di percepire che trascende le dimensioni del tempo e dello spazio."
Marte, anno 2025: la pionieristica stazione Demetra 2 viene colpita da un tremendo terremoto che la demolisce quasi completamente.
Houston, Terra, anno 2051: la NASA persevera nella sua conquista alla frontiera spaziale, organizzando la quarta spedizione che, fra le varie cose, farà sopralluogo proprio sul sito dei resti di Demetra 2. Nei membri dell’equipaggio compare anche Joo Nan-Young, unico elemento del gruppo ad aver perso la madre, proprio venticinque anni prima in quel tragico crollo dovuto al sisma marziano.
Joo, fra i suoi effetti personali possiede ancora un antiquato giradischi che pare esser stato di proprietà della madre defunta. Il desueto lettore è rotto e pare aver bisogno di una restaurazione coi fiocchi… ed ecco che, lungo la strada per le buone intenzioni, la giovane donna incontra e si scontra (doverosa citazione, ma senza pioggia) con un ragazzo di nome Jay, simpatico, intraprendente giovanotto che si occupa proprio di restauri e riparazioni elettroniche di variegata natura, una sorta di tecnico - non che musicista a tempo libero (cosa che verrà svelata poco più avanti ma che avrà fondamentale importanza ai fini della trama).
Un giradischi è decisamente un pezzo d’epoca e non passa affatto inosservato, così come non passa inosservata la splendente bellezza di lei, un’aura, uno sguardo e un’intesa istantanea che Jay non potrà più togliersi dalla testa.
Il dado è tratto: un classico, semplice incipit da cui nascerà un intreccio di sentimenti, un crescendo scena dopo scena, fra sfumature di tenerezza, attrazione inebriante, timidi sorrisi e anche qualche lacrima nascosta.
Può un giradischi in panne esser galeotto, e capace di legare due amanti in una maniera unica ed insostituibile? Ai posteri l’ardua sentenza, accompagnata in modo assoluto e sognante da una canzone suonata con chitarra acustica: un pezzo scritto proprio da Jay! Ebbene si, quando la giovane scienziata e futura astronauta scopre che il ragazzo di cui si sta invaghendo è anche l’autore di una delle sue canzoni preferite, i segnali cominciano a divenire troppi per essere ignorati. Fra uno sguardo profondo e un sospiro velato da una risata, il giovane decide di suonarla dal vivo, anche se quel malinconico e adorabile pezzo musicale è tuttavia incompleto… gli manca un finale adatto.
La scena, strutturata ed incentrata sulle note del pezzo, rimane il punto cardine do tutta l’opera, instaurando fra lo spettatore ed i protagonisti un ponte emotivo che rimarrà teso ed aperto fino alla fine. Ne scaturisce una storia d’amore matura, realistica (soprattutto nei primi tre quarti del film), intensa, dolce, che lentamente scivola in una sottile ed inevitabile sofferenza, perché ogni giorno che passa, porta Joo alla data di una partenza che ancora non è certa.
La partenza verso le stelle.
"Ti prometto che tornerò, te lo prometto!"
Forse sono piccoli passi per gli esseri umani, ma grandi passi per l’umanità, quelli che compiamo là fuori.
Ce lo dissero alla TV in bianco e nero, proprio in un momento storico, decisamente leggendario, della storia dell’essere umano.
Avevano la stessa valenza le leghe percorse da Colombo verso le Americhe, o di Magellano, o dei primi esploratori verso terre ignote. Siamo fatti per scoprire, la nostra mente ci porta inevitabilmente a chiederci il perché di tutto, ed è per noi naturale esser propensi alla curiosità, al desiderio di scoprire e risolvere gli enigmi che dall’alba dei tempi riempiono la nostra esistenza.
Poi, però, accade che - presto o tardi nella vita - ci si debba chiedere quanto quel che ci spinge ai limiti sia importante rispetto a ciò che ci dona serenità, affetto, senso di appartenenza: ciò che ci fa sentire protetti e chiamiamo casa.
Ciò che ci fa restare.
"Stay. Tell him to STAY!"
Un dualismo sempre esistito e che sempre esisterà, il pragmatismo in contrasto coi sentimenti d’appartenenza, d’affetto e d’amore.
Queste due tendenze vitali possono coesistere nella stessa persona? Possono sopravvivere ad una relazione basata sull’amore?
Lost in Starlight sorprende, soprattutto nella prima metà, poiché reo di un finale piuttosto scontato (e va benissimo) ma monotematico, a scapito di un quadro più grande che forse sarebbe stato meglio esplorare con più enfasi e dettagli.
Questo però non deve screditare più di tanto l’opera: I coreani entrano nell’animazione lungometrata con questa piccola perla che si merita un sincero applauso. Disegni, animazioni e trama di fondo sono decisamente promossi; molti sono i riferimenti ai capolavori del passato che trattano scienza, fisica interstellare, e soprattutto romanticismo nelle sue più disparate, profonde e struggenti forme.
Ciò che ci viene proposto è lo scenario d’un futuro prossimo artisticamente eccellente e realistico. La resa grafica è ottima; l’interpretazione di una Corea del sud modernizzata ricorda a tratti scene già viste in numerosi anime e film Sci-fi, a cominciare da appartamenti semisospesi in agglomerati urbani al neon e dalle slanciate architetture minimali, per arrivare a dialoghi con immagini olografiche e altre piccole perle fantascientifico-domestiche insospettabilmente vicine alla nostra realtà.
Se proprio dobbiamo muovere una critica negativa, questa si focalizza senza dubbio sulla mancanza di originalità. È tutto già visto, già vissuto, già percepito, anche a livello emotivo. Questo non per forza risulta una pecca, ma incanala il film su dei binari facilmente leggibili, anche se a tratti ci regala pathos e dolci sorrisi come solo il cinema Coreano riesce a tessere.
“È il fantasma, è lui che ci sta mandando dei messaggi dalla libreria!"
Il focus è quasi tutto sulla storia d’amore, ma il traino drammatico che porta Joo nello spazio è il tragico lascito della madre. È qualcosa a cui non si può sottrarre, un destino “scritto nelle stelle”, come recitava Saint Seiya. Un genitore sparito, un fantasma che aleggia nelle memorie della sua famiglia, un cruccio, un tarlo, un espediente narrativo che, a visione ormai avviata, propone diversi scenari finali, dal più banale al più spaventoso ed inaspettato.
Altro punto a favore, è la colonna sonora: niente di eclatante, ma svolge il suo onesto lavoro; fra il dolce ed il malinconico, lenisce i nostri timpani di sfumature pastellate adatte ad una storia romantica, ma al tempo stesso onirica e sul filo del dolore, capace di richiamare le atmosfere surreali del sensei Shinkai, ma mai di accostarvisi alla pari.
L’uso della CG misto alle varie animazioni crea un amalgama mai stucchevole. Le scene scivolano spesso via scaldando il cuore con piacevole naturalezza (per non parlare delle sequenze spaziali che sono la parte migliore di tutta l’opera). Lo stile romantico si percepisce quindi in molteplici sfumature; gli sfondi appaiono curati in modo maniacale e non hanno niente da invidiare ai più blasonati lungometraggi del genere, mentre risulta decisamente meno incisivo lo stile dedicato ai personaggi, una sorta di scelta retro un po’ incerta – ma pertinente, almeno secondo il gusto dei creatori.
Siamo di fronte quindi ad una trama dalla struttura blanda e di giusto impatto, gli sceneggiatori fanno il loro compitino senza eccedere in eccentricità, e forse tale condotta si rivela un ingenuo peccato. Il potenziale per stupire c’era eccome! Joo intraprende più che un viaggio verso Marte, un percorso dentro sé stessa, cercando il coraggio per affrontare i demoni del proprio animo e le ombre di un passato che tormentano lei e suo padre da ormai troppi, troppi anni.
E sono proprio gli ultimi minuti del lungometraggio che paiono mettere sul piatto qualcosa di eclatante che si rivela emozionante ma non esplosivo: come già citato, rimembrando blandamente i mirabolanti e strazianti finali di Makoto Shinkai, Realtà e Sogno si confondono in un susseguirsi di momenti molto intensi.
La scelta registica rimane coerente alla logica con cui il film è stato costruito, ed il finale, ergo, sebbene banale, risulta lineare ed onesto.
Fra le sequenze più belle, rimane il romantico e toccante il dualismo che si crea sulle note della magica canzone di Jay: lui impegnato a ritrovare la sua vecchia band, lei a milioni di chilometri nello spazio profondo, entrambi impantanati nelle proprie lotte interiori e quotidiane, entrambi legati, uniti, vicini e lontanissimi, virtualmente mano nella mano grazie a quelle note che sfiorano lo spettatore al cuore in modo commovente.
Una storia d’amore in do minore che sarà sicuramente apprezzata dagli amanti del genere e non solo: forse è mancato un pizzico di coraggio narrativo, ma di certo non sono mancati sentimento e dolcezza.
Marte, anno 2025: la pionieristica stazione Demetra 2 viene colpita da un tremendo terremoto che la demolisce quasi completamente.
Houston, Terra, anno 2051: la NASA persevera nella sua conquista alla frontiera spaziale, organizzando la quarta spedizione che, fra le varie cose, farà sopralluogo proprio sul sito dei resti di Demetra 2. Nei membri dell’equipaggio compare anche Joo Nan-Young, unico elemento del gruppo ad aver perso la madre, proprio venticinque anni prima in quel tragico crollo dovuto al sisma marziano.
Joo, fra i suoi effetti personali possiede ancora un antiquato giradischi che pare esser stato di proprietà della madre defunta. Il desueto lettore è rotto e pare aver bisogno di una restaurazione coi fiocchi… ed ecco che, lungo la strada per le buone intenzioni, la giovane donna incontra e si scontra (doverosa citazione, ma senza pioggia) con un ragazzo di nome Jay, simpatico, intraprendente giovanotto che si occupa proprio di restauri e riparazioni elettroniche di variegata natura, una sorta di tecnico - non che musicista a tempo libero (cosa che verrà svelata poco più avanti ma che avrà fondamentale importanza ai fini della trama).
Un giradischi è decisamente un pezzo d’epoca e non passa affatto inosservato, così come non passa inosservata la splendente bellezza di lei, un’aura, uno sguardo e un’intesa istantanea che Jay non potrà più togliersi dalla testa.
Il dado è tratto: un classico, semplice incipit da cui nascerà un intreccio di sentimenti, un crescendo scena dopo scena, fra sfumature di tenerezza, attrazione inebriante, timidi sorrisi e anche qualche lacrima nascosta.
Può un giradischi in panne esser galeotto, e capace di legare due amanti in una maniera unica ed insostituibile? Ai posteri l’ardua sentenza, accompagnata in modo assoluto e sognante da una canzone suonata con chitarra acustica: un pezzo scritto proprio da Jay! Ebbene si, quando la giovane scienziata e futura astronauta scopre che il ragazzo di cui si sta invaghendo è anche l’autore di una delle sue canzoni preferite, i segnali cominciano a divenire troppi per essere ignorati. Fra uno sguardo profondo e un sospiro velato da una risata, il giovane decide di suonarla dal vivo, anche se quel malinconico e adorabile pezzo musicale è tuttavia incompleto… gli manca un finale adatto.
La scena, strutturata ed incentrata sulle note del pezzo, rimane il punto cardine do tutta l’opera, instaurando fra lo spettatore ed i protagonisti un ponte emotivo che rimarrà teso ed aperto fino alla fine. Ne scaturisce una storia d’amore matura, realistica (soprattutto nei primi tre quarti del film), intensa, dolce, che lentamente scivola in una sottile ed inevitabile sofferenza, perché ogni giorno che passa, porta Joo alla data di una partenza che ancora non è certa.
La partenza verso le stelle.
"Ti prometto che tornerò, te lo prometto!"
Forse sono piccoli passi per gli esseri umani, ma grandi passi per l’umanità, quelli che compiamo là fuori.
Ce lo dissero alla TV in bianco e nero, proprio in un momento storico, decisamente leggendario, della storia dell’essere umano.
Avevano la stessa valenza le leghe percorse da Colombo verso le Americhe, o di Magellano, o dei primi esploratori verso terre ignote. Siamo fatti per scoprire, la nostra mente ci porta inevitabilmente a chiederci il perché di tutto, ed è per noi naturale esser propensi alla curiosità, al desiderio di scoprire e risolvere gli enigmi che dall’alba dei tempi riempiono la nostra esistenza.
Poi, però, accade che - presto o tardi nella vita - ci si debba chiedere quanto quel che ci spinge ai limiti sia importante rispetto a ciò che ci dona serenità, affetto, senso di appartenenza: ciò che ci fa sentire protetti e chiamiamo casa.
Ciò che ci fa restare.
"Stay. Tell him to STAY!"
Un dualismo sempre esistito e che sempre esisterà, il pragmatismo in contrasto coi sentimenti d’appartenenza, d’affetto e d’amore.
Queste due tendenze vitali possono coesistere nella stessa persona? Possono sopravvivere ad una relazione basata sull’amore?
Lost in Starlight sorprende, soprattutto nella prima metà, poiché reo di un finale piuttosto scontato (e va benissimo) ma monotematico, a scapito di un quadro più grande che forse sarebbe stato meglio esplorare con più enfasi e dettagli.
Questo però non deve screditare più di tanto l’opera: I coreani entrano nell’animazione lungometrata con questa piccola perla che si merita un sincero applauso. Disegni, animazioni e trama di fondo sono decisamente promossi; molti sono i riferimenti ai capolavori del passato che trattano scienza, fisica interstellare, e soprattutto romanticismo nelle sue più disparate, profonde e struggenti forme.
Ciò che ci viene proposto è lo scenario d’un futuro prossimo artisticamente eccellente e realistico. La resa grafica è ottima; l’interpretazione di una Corea del sud modernizzata ricorda a tratti scene già viste in numerosi anime e film Sci-fi, a cominciare da appartamenti semisospesi in agglomerati urbani al neon e dalle slanciate architetture minimali, per arrivare a dialoghi con immagini olografiche e altre piccole perle fantascientifico-domestiche insospettabilmente vicine alla nostra realtà.
Se proprio dobbiamo muovere una critica negativa, questa si focalizza senza dubbio sulla mancanza di originalità. È tutto già visto, già vissuto, già percepito, anche a livello emotivo. Questo non per forza risulta una pecca, ma incanala il film su dei binari facilmente leggibili, anche se a tratti ci regala pathos e dolci sorrisi come solo il cinema Coreano riesce a tessere.
“È il fantasma, è lui che ci sta mandando dei messaggi dalla libreria!"
Il focus è quasi tutto sulla storia d’amore, ma il traino drammatico che porta Joo nello spazio è il tragico lascito della madre. È qualcosa a cui non si può sottrarre, un destino “scritto nelle stelle”, come recitava Saint Seiya. Un genitore sparito, un fantasma che aleggia nelle memorie della sua famiglia, un cruccio, un tarlo, un espediente narrativo che, a visione ormai avviata, propone diversi scenari finali, dal più banale al più spaventoso ed inaspettato.
Altro punto a favore, è la colonna sonora: niente di eclatante, ma svolge il suo onesto lavoro; fra il dolce ed il malinconico, lenisce i nostri timpani di sfumature pastellate adatte ad una storia romantica, ma al tempo stesso onirica e sul filo del dolore, capace di richiamare le atmosfere surreali del sensei Shinkai, ma mai di accostarvisi alla pari.
L’uso della CG misto alle varie animazioni crea un amalgama mai stucchevole. Le scene scivolano spesso via scaldando il cuore con piacevole naturalezza (per non parlare delle sequenze spaziali che sono la parte migliore di tutta l’opera). Lo stile romantico si percepisce quindi in molteplici sfumature; gli sfondi appaiono curati in modo maniacale e non hanno niente da invidiare ai più blasonati lungometraggi del genere, mentre risulta decisamente meno incisivo lo stile dedicato ai personaggi, una sorta di scelta retro un po’ incerta – ma pertinente, almeno secondo il gusto dei creatori.
Siamo di fronte quindi ad una trama dalla struttura blanda e di giusto impatto, gli sceneggiatori fanno il loro compitino senza eccedere in eccentricità, e forse tale condotta si rivela un ingenuo peccato. Il potenziale per stupire c’era eccome! Joo intraprende più che un viaggio verso Marte, un percorso dentro sé stessa, cercando il coraggio per affrontare i demoni del proprio animo e le ombre di un passato che tormentano lei e suo padre da ormai troppi, troppi anni.
E sono proprio gli ultimi minuti del lungometraggio che paiono mettere sul piatto qualcosa di eclatante che si rivela emozionante ma non esplosivo: come già citato, rimembrando blandamente i mirabolanti e strazianti finali di Makoto Shinkai, Realtà e Sogno si confondono in un susseguirsi di momenti molto intensi.
La scelta registica rimane coerente alla logica con cui il film è stato costruito, ed il finale, ergo, sebbene banale, risulta lineare ed onesto.
Fra le sequenze più belle, rimane il romantico e toccante il dualismo che si crea sulle note della magica canzone di Jay: lui impegnato a ritrovare la sua vecchia band, lei a milioni di chilometri nello spazio profondo, entrambi impantanati nelle proprie lotte interiori e quotidiane, entrambi legati, uniti, vicini e lontanissimi, virtualmente mano nella mano grazie a quelle note che sfiorano lo spettatore al cuore in modo commovente.
Una storia d’amore in do minore che sarà sicuramente apprezzata dagli amanti del genere e non solo: forse è mancato un pizzico di coraggio narrativo, ma di certo non sono mancati sentimento e dolcezza.